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IL BELLO DELLA SCUOLA/23

Insegnanti e ragazzi insieme per uno scopo più grande

Partecipare alla Colletta alimentare è davvero una bella esperienza, che coinvolge gli studenti, tanto che molti di loro vi partecipano anche dopo le superiori. Un gesto di carità che è una sorpresa continua, perché ci rende più lieti. E a cui quindi, a scuola, è importante dare seguito perché si educhi a capire che siamo nati per essere amati e per amare.

Cultura 01_12_2019

Gli studenti che partecipano una volta alla Colletta alimentare spesso partecipano anche gli anni successivi, anche quando hanno terminato il liceo. Questo testimonia che è davvero una bella esperienza.

L’Associazione Onlus Banco Alimentare da anni raccoglie le eccedenze alimentari e le ridistribuisce a enti e iniziative che, in Italia, si occupano di assistenza e di aiuto ai poveri e agli emarginati. La raccolta cerca di rispondere concretamente all’emergenza povertà in Italia, assistendo oltre un milione di persone. Ma questo non basta: il bisogno è ben più grande. Per questo dal 1997 l’ultimo sabato di novembre si tiene la Giornata nazionale della Colletta alimentare in migliaia di supermercati.

Ecco i dati dell’anno scorso: più di 145.000 volontari all’opera, 8.200 tonnellate di cibo raccolte in un solo giorno, cinque milioni e mezzo di italiani che hanno acquistato il cibo per i più poveri, tremila punti vendita aderenti. Sono numeri incredibili che testimoniano il gesto di un intero popolo, il più grande gesto di carità fraterna nel nostro Paese.

Che sorpresa è rendersi conto che un gesto così dignitoso, un gesto di carità, è per noi, perché possiamo essere più lieti! Che sorpresa è assistere a un giorno ordinario che diventa straordinario, perché l’amore unisce, fa condividere, riempie di senso e della sua presenza il vuoto della giornata! Si può sempre scommettere sulla nostra umanità e su quella altrui, perché, come dice un personaggio del romanzo Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos, «ogni uomo conserva sempre la possibilità di amare. L’Inferno è non amare più».

Il rischio principale che si corre, dopo alcuni anni di partecipazione alla Colletta, è, però, quello di pensare di conoscere e sapere già. È il pericolo della scontatezza. A un gesto ci si deve preparare. Come diceva san Vincenzo de’ Paoli:

«Assimiliamo lo spirito di Cristo così da poter operare come Lui; poiché non è tutto fare il bene, occorre farlo bene, ad imitazione di Nostro Signore, del quale è detto che ha fatto bene ogni cosa».

Per questo, a scuola, il mese di ottobre organizziamo un incontro con un responsabile del Banco per avviare il percorso che porterà alla  partecipazione alla Giornata nazionale della Colletta alimentare. Quel giorno possono davvero accadere fatti straordinari. Uno tra i tanti sorprendenti che mi sono capitati in questi anni durante la Colletta alimentare documenta in maniera emblematica che questa giornata è, in primo luogo, un’occasione di incontro e di condivisione del significato del gesto.

Una volta entrò nel supermercato una signora anziana, si chiamava Elena. Poteva avere forse ottant’anni. Mentre procedeva con passo lento e stanco, alcuni miei studenti la fermarono per invitarla a fare la spesa, ma lei non volle sentire ragioni. In maniera un po’ incauta e repentina la incalzai: «Signora, le devo dire una cosa importante!». Allora, arrabbiata e con sguardo di rimprovero, la signora iniziò a farmi una predica sui giovani di oggi e sulla loro presunzione, mi raccontò la sua storia: il trasferimento nei campi di concentramento in gioventù, la fortuna di essere un’esperta in un settore che poteva servire ai nazisti, la povertà sperimentata nel secondo dopoguerra.

La ascoltai attentamente. Col passare dei minuti il suo sguardo s’intenerì e divenne meno duro. Dopo un po’, mi chiese di poter far la conoscenza anche degli altri volontari e iniziò a fermare i clienti del supermercato. A coloro che non si fermavano non risparmiava le critiche: «Vergognatevi!». Dopo due ore, la signora donò una spesa per la colletta. E poi, visto che aveva la febbre, la invitammo ad andare a casa a riposarsi. Questa volta, che fatica a convincerla a ritornare a casa!

Mi apparve chiaro quel giorno come la solitudine (o la percezione della solitudine) rende tristi e, nel tempo, la tristezza rende più chiusi, più cinici, un po’ più cattivi. Ma, spesso, basta poco (uno sguardo, un sorriso, l’attenzione e il calore umano che riscaldano il cuore raffreddato) perché ci si possa rimettere in moto e sentirsi ancora amati e capaci di amare. Nell’esperienza dell’amore la persona coglie la propria dimensione strutturale di essere dipendente da un altro e percepisce un compimento, una soddisfazione, una letizia maggiori rispetto a una posizione narcisistica di auto soddisfazione: siamo nati, infatti, per essere amati e per amare. L’apertura all’altro è, quindi, una dimensione naturale per l’essere umano che spesso, crescendo, finisce per dimenticarselo, fino a quando non fa nuovamente esperienza di essere amato.

Nei giorni successivi alla Colletta, a scuola, riprendiamo l’esperienza, perché l’avventura della scoperta della dimensione della carità non finisce con la colletta. Un esempio è il fatto che nelle classi che partecipano da anni abbiamo contribuito al sostegno a distanza organizzato con l’Avsi.

Quest’anno abbiamo conosciuto Antonino Masuri, volontario dell’Avsi che vive in Kenya da più di 12 anni, e Lamas Maiyah, ragazzo dello slum (baraccopoli) di Kibera (a Nairobi) che ha partecipato allo spettacolo teatrale (che è divenuto poi anche film) Dante a Kibera. «Abbiamo parlato di un uomo che si perde in una foresta oscura, fatta di paura, disperazione, mancanza di senso della vita», dice Marco Martinelli, attore che ha seguito il progetto. «Di come quell’uomo, nel momento in cui spera di esserne uscito, si trova divorato da belve feroci ed ha la forza di capire che non si salverà da solo. Questo è il grido di Dante: miserere di me». Lamas ne è certo: «Kibera è stata per me la selva oscura. Ho incontrato persone, volontari di Avsi, che mi hanno fatto conoscere il Purgatorio e il Paradiso».

Così si incarnano e si capiscono meglio le parole che Calvino scrive ne La giornata di uno scrutatore: «Questo modo d’essere è l’amore […]. L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo».