(In)giustizia climatica, la Corte Europea ci fa "verdi"
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La difesa del clima è un diritto umano: la sentenza con cui la CEDU dà ragione a un'associazione di nonne e condanna la Svizzera per non aver ridotto abbastanza le emissioni di gas serra, segna una pericolosa svolta che apre a una stagione di denunce in tutti gli Stati europei per sovvertire le legislazioni nazionali.
In tempi normali suonerebbe come una barzelletta: un’associazione di nonne fa causa alla Svizzera perché quando fa troppo caldo non possono uscire di casa. E la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) dà loro ragione e condanna la Svizzera. Purtroppo, è tutto vero ed è solo l’ultimo episodio di una serie di deliri e follie climatiche. E il peggio è che la sentenza stabilisce un pericoloso precedente che aprirà una stagione di denunce e ricorsi in tribunale in tutta Europa per imporre le politiche volute dai movimenti ecologisti più radicali.
L’iter giudiziario era iniziato in Svizzera già nel novembre 2016, quando l’associazione Verein KlimaSeniorinnen Schweiz – che rappresenta oltre 2mila donne per buona parte ultrasettantenni – si era rivolta al governo federale svizzero e alle autorità ambientali competenti denunciando le inadempienze in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Di tribunale in tribunale la vicenda si era poi trascinata fino alla Corte Suprema Federale dove le nonne lamentavano la violazione del loro diritto alla vita garantito dalla Costituzione svizzera e del loro diritto alla privacy e alla vita familiare. La Corte elvetica aveva dato loro torto, non riconoscendole come vittime reali e non ritenendo minacciata la loro vita privata e familiare. Da lì quindi la denuncia è passata alla Corte Europea; anzi si tratta di una doppia denuncia: una dall’associazione in quanto tale e un’altra di quattro donne ultraottantenni che lamentavano il peggioramento delle proprie condizioni di salute durante le ondate di calore, con conseguenze rilevanti per le loro condizioni di vita e benessere.
In discussione gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (accesso alla Corte) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare). La Corte ha rigettato la denuncia delle ultraottantenni, perché non soddisfano i criteri per avere lo status di vittima e non ha quindi neanche discusso la violazione dell’articolo 2 perché la denuncia dell’associazione rientra nell’articolo 8. La CEDU infatti – cioè la stessa Corte che non aveva nulla da obiettare al fatto che le autorità inglesi obbligassero pazienti come Alfie Evans e altri a morire impedendone il trasferimento in altri ospedali dove sarebbero stati curati – ritiene che i cambiamenti climatici minaccino il godimento dei diritti umani. E che quindi le associazioni che ne hanno titolo possano denunciare i singoli Stati che non prendono adeguate misure per fronteggiarli.
Così la Svizzera dovrà pagare 80mila euro all’associazione delle nonnine ecologiste, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, ma soprattutto dovrà colmare le lacune nelle sue politiche climatiche perché la Corte ha stabilito che è obbligo degli Stati dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. Si capisce allora il tripudio degli ecologisti europei, da Greta Thunberg in giù: pensano di poter ottenere per via giudiziaria ciò che la realtà sta dimostrando impossibile, a meno di veder crollare definitivamente l’economia e la società europea. L’obiettivo “Net Zero” si sta rivelando ogni giorno di più una pericolosa utopia di cui anche i governi più “verdi” stanno prendendo atto, ed è per questo che frenano su alcuni provvedimenti.
La sentenza della Corte Europea entra perciò a gamba tesa nella politica sostituendosi ai Parlamenti nazionali e al voto popolare dando per scontato ciò che scontato non è: l’emergenza climatica provocata dall’uomo, la certezza che l’obiettivo di “neutralità carbonica” tenga l’aumento della temperatura globale sotto gli 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, l’efficacia e l’utilità delle politiche di mitigazione. Comprensibile quindi la reazione scandalizzata dei principali quotidiani svizzeri e anche del governo che vedono nella sentenza della CEDU una «minaccia alla democrazia». Parole ben calibrate, perché nella Svizzera dove le principali scelte politiche dipendono direttamente dal voto popolare, un referendum del 2021 ha bocciato le misure draconiane proposte del governo per tagliare del 50% le emissioni di gas serra entro il 2030. Il governo quindi si trova ora costretto a decidere se rispettare la volontà popolare così chiaramente espressa o la sentenza di Strasburgo: non a caso il partito centrista UDC, che fa parte della coalizione di governo ha chiesto di uscire dal Consiglio d’Europa.
E la sentenza è tanto più clamorosa se si considera – malgrado quel che sostiene la CEDU - che la Svizzera non è stata con le mani in mano riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra: aveva pienamente raggiunto l’obiettivo per il 2010, previsto dal Protocollo di Kyoto; è rimasta di pochissimo al di sotto dell’obiettivo fissato per il 2020 con gli Accordi di Parigi (2015); e per il 2030 prevede comunque di ridurre le emissioni del 35%, sempre rispetto al 1990.
Alle nonnine svizzere bisognerebbe poi spiegare che, per quanto si deve stare attenti alle ondate di calore, la mortalità è molto più alta con il freddo: almeno dieci volte di più, secondo uno studio su 854 aree urbane europee.
Ma ancora più insidiosa – se possibile – è la sentenza della CEDU nella parte che riguarda l’articolo 6 della Convenzione sui diritti umani: in pratica qui la Svizzera è condannata perché i suoi tribunali non hanno dato «motivazioni convincenti» per «considerare non necessario esaminare il merito» delle denunce. Secondo la CEDU i tribunali nazionali sono obbligati a «considerare la convincente evidenza scientifica riguardo i cambiamenti climatici». Ma soprattutto la CEDU richiama tutti i tribunali locali a intervenire in materia di clima realizzando così la cosiddetta «giustizia climatica». È questo anche uno dei motivi per cui è stata invece rigettata l’istanza di sei giovani portoghesi contro Portogallo e altri 32 stati: hanno omesso di ricorrere prima ai tribunali portoghesi.
Aspettiamoci dunque nei mesi a venire una pioggia di denunce nei tribunali di ciascuno Stato: tra blocchi stradali, episodi di eco-terrorismo, imposizione di stili di vita, e ora il ricorso ai giudici, le lobby ecologiste hanno ormai dichiarato guerra ai popoli europei. Invece di preoccuparsi di un’emergenza climatica che non esiste, la politica dovrebbe preoccuparsi, e molto, di questa emergenza democratica.
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