Inferno o Purgatorio: i perché di una sentenza
Nella seconda cantica di Dante troviamo in parte gli stessi peccati, ma l'atmosfera è diversa, più simile a quanto si vive sulla Terra. La differenza sta nel pentimento e nella contrizione di chi si affida a Dio con la sua fragilità, incontrando così la Misericordia.
Inizia oggi un percorso sul Purgatorio dantesco, una cantica bellissima, purtroppo non sempre apprezzata e adeguatamente studiata a scuola. Dopo il viaggio nell’Inferno, il Regno senza Dio, dove campeggiano grandi personaggi solitari, individualistici, presi da passioni totali e assolute, dominati dal male senza percepire il desiderio di redenzione, Dante ritorna a rivedere le stelle, sul far dell’alba, di fronte al «dolce color d’oriental zaffiro» e ad uno spettacolare «tremolar de la marina».
Ritornano la luce, il cielo stellato, la notte, dominano gli affetti, le amicizie, il senso della coralità e della comunità, il movimento e il cammino sostituiscono la staticità dell’Inferno. L’ansia di redenzione che si è manifestata anche solo per un istante in Terra trova una risposta nell’infinita misericordia divina. Dante viator incontra i grandi amici già defunti (Casella, Forese Donati), i poeti che gli sono stati maestri nell’arte della scrittura (a Virgilio si aggiungono Stazio, Guido Guinizzelli, Arnaut Daniel, …).
Per ben sei canti (dal XXI al XXVI) l’autore mette a tema la sua passione più grande, la poesia, in attesa di ritrovare Beatrice, colei che gli ha cambiato la vita in gioventù (Vita nova) e che è andata in suo soccorso ora che si è smarrito nella selva oscura, a metà della sua vita. Insomma, il Purgatorio è senz’altro la cantica più terrena, che rispecchia meglio la nostra condizione di homo viator. Se noi in Terra sperimentiamo in alcuni casi la condizione di tristezza dell’Inferno quando rifiutiamo Dio e la felicità del Paradiso quando ci facciamo abbracciare dal suo amore misericordioso, viviamo in realtà sempre la situazione di chi è in cammino verso la propria vera patria.
L’uomo di oggi ha dimenticato la condizione del pellegrino, mentre l’anima più autentica del Medioevo (che Dante incarna pienamente) è rappresentata dal movimento, non solo dei pellegrini, ma anche dei monaci che si muovono per tutta Europa evangelizzando, costruendo monasteri, diffondendo il verbo di Cristo. Ovunque arrivano, coltivano i campi, trasmettono la cultura antica, diventano un polo di aggregazione per la gente che abita vicino al monastero.
Fatta questa premessa, vogliamo ora cercare di spiegare perché le anime finiscano all’Inferno o nel Purgatorio di Dante. L’Inferno è per chi lo desidera o per chi non crede alla sua esistenza. Chiunque, invece, si rivolgesse a Dio con le parole di Tommaso da Celano musicate nel Requiem di Mozart «Rex tremendae maiestatis,/ qui salvandos salvas gratis,/ salva me fons pietatis» (ovvero «Re di autorevolezza tale da incutere timore, che salvi gratuitamente chi deve essere salvato, salva me, Tu che sei sorgente di misericordia») incontrerebbe l’infinito amore del Padre, quell’amore descritto così bene nella parabola del «Padre misericordioso» o nella parabola della vigna sopra ricordata quando, invece, l’invidia pretenderebbe che l’amore di Dio si misuri sulla nostra idea riduttiva di amore, ovvero sulla nostra pochezza.
Interessante è, quindi, notare che nel Purgatorio dantesco si trovano talvolta anime che hanno commesso colpe anche più gravi rispetto ad altre che si trovano all’Inferno. Non è la gravità della colpa a stabilire la collocazione dell’anima. Solo il pentimento e la contrizione possono permettere all’uomo di ottenere la salvezza domandandola a Colui che solo può donarla.
Nella storia dell’umanità Cristo è il solo che abbia saputo valorizzare il limite umano e il peccato in prospettiva della nascita di un uomo nuovo. Pensiamo alla figura di Zaccheo, pubblicano che sale sull’albero per vedere Gesù. La consapevolezza della necessità di aiuto lo ha indotto a desiderare di cercare Gesù. Quando lo incontra, Gesù ha una premura tutta riservata a lui, come se in quel momento fosse la persona più importante della Terra. La misericordia con cui Gesù lo guarda lo guarisce. Non un discorso, ma uno sguardo induce Zaccheo al desiderio di vivere diversamente e di non peccare più. Questo incontro capita anche alla prostituta che tutti vorrebbero lapidare. Sorprendendo tutti, Gesù dice: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» e ancora «Va’ e non peccare più».
Così, nella parabola della vigna il Signore ha cercato operai per la sua vigna fino all’ultima ora e al momento di pagare i vignaiuoli ha assegnato a tutti la stessa ricompensa, rispondendo a chi si lamenta per questa sua bontà: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».
L’idea di giustizia umana, invece, non riesce a concepire una bontà che possa premiare allo stesso modo persone che hanno lavorato differentemente. L’uomo chiama questa misura dell’altrui operato giustizia. Ciò che non si adegua a questa misura è ingiusto. La Misericordia di Dio è oltre ogni umana misura e giustizia, va oltre ogni previsione non premiando, però, chiunque, bensì chi con contrizione e verità di cuore riconosce il Mistero buono e si affida a Lui con tutta la propria fragilità.
Il moralismo contemporaneo tende a dividere le persone in buone e cattive in maniera manichea, a rintracciare nell’operato altrui il male e a perseguire un bieco giustizialismo che prima o poi arriva a condannare tutti. L’atteggiamento di Cristo è quello di scommettere sempre e ovunque sull’uomo peccatore, sorprendendo gli astanti già pronti a scagliare la prima pietra contro la prostituta o deludendo i farisei quando decise di andare a pranzo dal pubblicano Zaccheo, da tutti considerato come una persona di malaffare. In questi episodi Gesù mostra il volto misericordioso di Dio Padre.
Se l’Inferno dantesco è impostato sul sistema aristotelico per cui si può errare per incontinenza, per violenza o per frode, l’impostazione morale che presiede il Purgatorio è, invece, mutuata dal sistema morale tomista per cui l’amore può sbagliare per «malo obbietto» (amore per il male del prossimo), «per poco vigore» (insufficiente intensità dell’amore verso Dio) o «per troppo vigore» (amore per i beni terreni oltre il giusto limite).
Di conseguenza, la montagna del Purgatorio, ubicata proprio agli antipodi di Gerusalemme, presenta sette balze, questa volta dal vizio capitale più grave al meno grave: superbi, invidiosi, iracondi, accidiosi, avari e prodighi, golosi e lussuriosi. Dante si immagina che le anime purganti giungano sulle rive del Purgatorio, inizino a salire tutti insieme attorno alla montagna e rimangano nelle balze relative ai vizi capitali di cui si sono macchiati in proporzione alla gravità del vizio.
Il vizio è il peccato riasserito e diventato abitudine per cui la persona perde anche la consapevolezza della colpa per l’abitudine acquisita: «errare è umano, perseverare è diabolico». Stazio, anima incontrata da Dante nel Purgatorio, ha espiato la sua colpa tra gli accidiosi per quattrocento anni, tra gli avari e i prodighi per cinquecento anni e poi ha trascorso altri secoli nelle altre balze. Come si vede alcuni peccati sono collocati sia nell’Inferno che nel Purgatorio. All’Inferno Dante punisce le anime nel cerchio correlato al peccato che ha portato l’anima alla dannazione eterna. In una dimensione escatologica siffatta diventa fondamentale la dimensione della vigilanza, perché la nostra vita potrebbe finire quando non siamo pronti. Il Vangelo ci richiama più volte alla conversione, al pentimento, all’attesa del momento in cui il Signore ci chiamerà a sé.
Altra virtù che si rende indispensabile è l’umiltà, ovvero il riconoscimento che siamo polvere, anche se abbiamo nel cuore il desiderio dell’eternità e siamo fatti per l’eternità. Senza umiltà non si può riconoscere la divina Misericordia. Senza umiltà non si può iniziare neppure a mendicare e intraprendere il cammino di purificazione. Ecco perché prima di iniziare il viaggio nel Purgatorio Dante deve cingersi di un giunco (simbolo dell’umiltà) e deve pulire il viso con la rugiada. Proprio per questo motivo nella seconda cantica grande importanza rivestirà il canto XI, dedicato ai superbi.