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RIFLESSIONE

Incidenti stradali, emergenza educativa

Mentre si introduce il nuovo reato di omicidio stradale, vi proponiamo un intervento svolto due anni fa dai monsignor Luigi Negri sul tema.

Attualità 01_03_2012
Incidente stradale
Il governo ha annunciato l’intenzione di inserire nel codice penale il reato di omicidio stradale a carico di chi provoca incidenti mortali sotto l’effetto di alcool e droghe. In questo modo le pene per chi si macchia di questa colpa diventano molto più pesanti: da 8 a 18 anni di reclusione, e il ritiro a vita della patente. Si tratta di misure probabilmente necessarie come deterrente a una guida irresponsabile, ma non bisogna dimenticare che se così tanti incidenti succedono a causa di guida in stato di ebbrezza o per consumo di droghe, c’è un problema a monte, e la repressione da sola non basta a rispondervi. Lo aveva detto con chiarezza monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, intervenendo al Meeting di Rimini nel 2009 a un incontro organizzato dall’Ania (l’associazione delle imprese assicuratrici) sul tema della sicurezza stradale. Essendo quel giudizio molto attuale, vi proponiamo ampi stralci dell’intervento di monsignor Negri:

«…Per indicare dove sta per me il problema cito una frase terribile, terribilmente profetica ma straordinariamente efficace. Nella Apologia di Socrate, scritta da Platone, a un certo punto Socrate, per mostrare la funzione educativa che ha avuto con tutta la realtà e soprattutto con quella giovanile, dice: “perché vedi in questa città si muore male perché si vive male; si muore senza dignità perché si è vissuti senza dignità”. Allora, la prima osservazione sta proprio qui, nella questione fondamentale, nel senso che riguarda il fondamento, ciò che sta dietro tutti i particolari, tutti gli ambiti, tutte le dimensioni della nostra vita. E’ venuto il momento di dire che non funziona più l’immagine di vita che abbiamo. Non funziona più nel senso che non è reale, che non è realistica; non si può costruire su una immagine di vita che è fondata solo sul soggetto che può fare tutto quello che vuole, tutto quello che desidera. Per secoli, per due secoli, il soggetto si è pensato forte perché aveva una ragione forte e attraverso la scienza e la tecnica pensava di dominare la realtà. Poi si è pensato che la vita umana avesse dignità perché poteva costruire una società nuova, essendo quella vecchia irrimediabilmente fallita.

Adesso siccome sono andate in crisi, perché la storia è testarda, sono andate in crisi sia le grandi illusioni razionaliste sia le grandi illusioni ideologiche, allora che cosa rimane? La vita si fonda sul fatto che uno può viverla come vuole. È un progetto, un progetto che un uomo deve ostinatamente perseguire e per il quale sostanzialmente ha a disposizione ormai soltanto i suoi desideri e istinti. Fare quello che pare e piace, fare quello che si sente, per ottenere il massimo di benessere a tutti i livelli e il massimo di successo a tutti i livelli.

Concepire la vita così vuol dire mettere in gioco la dignità dell’uomo. Se si vive così, allora si paga anche il prezzo che non si riesce ad ottenere il benessere, perché mentre si persegue il benessere si muore; non si riesce ad ottenere il possesso, perché mentre si persegue il possesso si muore. La sostanza dunque diventa: dove sta la verità della persona, dove sta la dignità della sua vita, il valore della sua esistenza in qualsiasi momento della sua esistenza e quale che siano poi le stagioni lungo le quali questa esistenza si coniuga? Dobbiamo forse capire che è necessario contrapporre o superare l’idea della vita, della persona, della vita umana e della persona umana, superare l’idea che si tratti di un oggetto da manipolare. Se la vita è un oggetto da manipolare a un certo punto qualcuno manipolerà l’uomo che pensa di realizzarsi attraverso la manipolazione degli oggetti. Perché tutto sommato… Come diceva Giovanni Paolo II (così una citazione dei miei datori di lavoro devo pur farla, mi spiego), come diceva Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, doveva essere il secolo questo che celebrava i diritti dell’uomo; è stato il secolo che ha visto gli uomini vittime di alcuni pochi che pretendevano di avere su di loro tutti i diritti.

Allora, chiediamoci che cosa è la vita, ecco la seconda osservazione. La vita di oggi non funziona, la persona di oggi non funziona, l’immagine di realizzazione della personalità non funziona perché questi sono gli esiti. Forse è un’altra la strada da prendere: andare da quello che ha sei sette anni e parla con i suoi genitori, quello che va a scuola e fa le elementari o le medie, quello che si accompagna con i suoi amichetti sulle piazze dei miei paesi o nei, come si chiamano, luoghi di incontro delle grandi città. Bisogna forse cominciare a dire loro che la vita non gli appartiene come un oggetto. La vita è grande perché lui e la sua vita appartengono a un Altro.

Il senso profondo della vita non è nella sua possibilità di essere oggetto di espressione istintiva. Il senso profondo della vita, il suo valore, è che la vita è un mistero, è un mistero, ci eccede, ci precede e ci eccede, ci è stato dato, non ne siamo padroni, ne siamo amministratori e ci sarà chiesto conto di come abbiamo amministrato la nostra vita. L’uomo è grande perché appartiene a un mistero più grande di lui, perché è stato fatto ad immagine e somiglianza del Mistero, a immagine e somiglianza di Dio.


Porre questa questione nella vita di un ragazzo, di un bambino,, vuol dire aprire la questione educativa. Ma la questione educativa non su un punto o su un altro: poi la questione educativa diventerà educazione stradale come diventa educazione affettiva, L’educazione diventa un’educazione particolare ma prima occorre aprire la questione dell’educazione al senso della vita. Bisogna che li educhiamo al senso della vita e se non siamo capaci di educarli al senso della vita, occorrerà che impariamo noi prima per poterli educare al senso della vita. Il senso della vita, la comunicazione del senso della vita da una generazione all’altra è il filo conduttore dinamico della società. Se non esiste passaggio fra una generazione e l’altra, la società non va in crisi in un particolare o in un altro, ma la società finisce. Ritengo che la nostra società, se non fa uno scatto sul piano della comunicazione dei valori, finisce, anche se può materialmente sopravvivere. Abbiamo visto società sopravvivere centinaia d’anni, sopravvivere alla fine morale ed etica, morale e antropologica. L’impero romano è uno degli esempi più preclari: è sopravvissuto secoli alla fine della sua cultura avvenuta tre-quattrocento anni prima delle invasioni barbariche. Allora è il passaggio, è il passaggio dei valori, della concezione ultima della vita.

Io ho citato spesso in questi mesi, preoccupato dell’educazione, una grande frase di straordinaria attualità del grande letterato Bernanos che diceva, nel 1914, all’inizio di quella serie di tragici avvenimenti internazionali che hanno segnato l’ultima fase di questa desacralizzazione e quindi di questa disumanizzazione della nostra società, diceva: “La nostra generazione ha chiesto alle generazioni precedenti delle ragioni per vivere. Per tutta risposta ci hanno mandato a morire sulla Marna”. La Marna è stata la battaglia più terribile della prima guerra mondiale. In pochi giorni, qualche settimana, sono morti 300 mila soldati franco - tedeschi. Ma la Marna è quello che abbiamo descritto, l’inizio della Marna è quello che abbiamo descritto. Li respingiamo perché non sappiamo che cosa dirgli per vivere.

È necessaria dunque una ripresa fondamentale della funzione educativa di chi nella vita della società ha questa funzione educativa: innanzitutto la famiglia, accanto ad essa la Chiesa, e poi tutte quelle realtà istituzionali o libere che hanno qualche cosa dire, perché l’educazione la fa chi può, l’educazione la fa chi sa, non è necessario stabilire dei ruoli invalicabili; è necessario anche a questo livello stabilire delle sinergie. Ma non si possono lasciare i giovani ai margini della società pensando di, come dire, di pagare, di contrabbandare quella dignità che non trovano con il benessere, perché di questo benessere si muore. Mentre della dignità, se la dignità è ritrovata ed assodata, non si muore mai, anche quando si muore. È una grande questione educativa che non interessa soltanto i credenti. È una grande questione educativa che interessa i credenti e gli uomini di buona volontà. Ed espelle, ed è venuto il momento di espellerlo, ciò che rimane dell’ideologismo del passato, che non ha più nessun senso, perché questo ideologismo ha prodotto questi disastri. E si devono anche espellere coloro che sacrificano il bene dei propri fratelli uomini e dei giovani per il perseguimento degli interessi economici. Su questi si deve dire un no, franco e deciso. Non debbono più determinare la situazione del nostro paese dal punto di vista della realtà educativa.

E da ultimo: c’è una giusta severità. S. Tommaso d’Aquino diceva che la legge, che è una espressione fondamentale di chi guida e quindi di chi persegue il bene comune, la legge deve essere moderatamente repressiva se vuole ottenere risultati. È indubbio che la legge e anche questa serie di aggiornamenti significativi, ma più che gli aggiornamenti, permettetemi, mi pare che sia una situazione totalmente nuova in rapporto al passato, non fanno nascere il valore della vita. Il valore della vita nasce altrove, il valore della vita nasce nella coscienza della persona che è aiutata a percepire il mistero della sua esistenza ed è aiutata a svolgere il mistero della sua esistenza. È lì, è nella profondità della coscienza personale ed è nella profondità dell’esperienza di una socialità buona, quella della famiglia e delle realtà del popolo in cui si esprime la cultura del nostro popolo, è lì che l’esperienza della vita attinge il massimo di chiarezza e il massimo di dignità. Ma se la legge è pensata in funzione, in difesa e nella promozione di questi valori, ha un valore fondamentale. Pertanto occorre che ci siano delle istituzioni che sappiano andare anche contro corrente, contraddicendo quel permissivismo di carattere etico e di carattere sociale che è stata la tragedia degli ultimi decenni in Italia, per stabilire delle regole fondamentali di comportamento normativo. Certo non affidiamo alle leggi la nascita dei valori; affidiamo alle leggi la difesa e la promozione dei valori. Noi dobbiamo correre a tutti i livelli il grande compito che Cesare Pavese ha tante volte emblematizzato nel suo Mestiere di vivere: la vita è un mestiere; bisogna sapere quali sono i contenuti di questo mestiere, bisogna impararlo, bisogna essere aiutati ad impararlo, bisogna essere aiutati ad esprimerlo».

* Vescovo di San Marino-Montefeltro