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PETRARCA. IL POETA DEL DESIDERIO/6

In sant’Agostino scopre la sua vera inquietudine

Letterato e teologo, monaco agostiniano e vescovo di Monopoli dopo il 1340, Dionigi da Borgo San Sepolcro incontra Petrarca prima del 1333 e gli regala Le confessioni di Sant’Agostino ove il santo racconta con schiettezza e profondità il percorso della propria conversione. E il santo diventa uno dei maestri del Petrarca.

Cultura 21_02_2016
Francesco Petrarca

Letterato e teologo, monaco agostiniano e vescovo di Monopoli dopo il 1340, Dionigi da Borgo San Sepolcro incontra Petrarca prima del 1333 e gli regala Le Confessioni di Sant’Agostino ove il santo racconta con schiettezza e profondità il percorso della propria conversione. Il santo diventa uno dei maestri del Petrarca, punto di riferimento ideale cui guardare per uscire dalla palude del peccato e decidersi definitivamente per una scelta categorica di vita santa. Segni dell’ammirazione che Petrarca nutre nei confronti di sant’Agostino si vedono chiaramente nel De secreto conflictu curarum mearum noto anche come Secretum o nella lettera indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro ove il poeta racconta dell’ascesa al Monte Ventoso (Mont Ventoux) vicino a Valchiusa in Provenza.

Inserita nel quarto libro delle Familiares, questa epistola simboleggia l’atto di nascita dell’alpinismo («anche se altri alpinisti avevano già scalato altre montagne di molte altre parti del mondo» come scrive Rebecca Solnit in Storia del camminare), documento dell’impresa che il poeta compie nel 1336 in compagnia del fratello Gherardo, ma, nel contempo, occasione per un esame di coscienza e per una perlustrazione della propria debolezza spirituale. In effetti, il racconto dell’ascesa assume un valore profondamente simbolico. Dopo aver pensato a un possibile compagno di viaggio per compiere la scalata, non trovando nessun amico che possa essere adatto per volontà e indole, Petrarca sceglie il fratello più giovane Gherardo. Avvicinatisi ai piedi del monte, i due incontrano un vecchio pastore che cerca di dissuaderli dal salire, raccontando loro che anche lui cinquant’anni prima aveva compiuto l’impresa, ma, una volta raggiunta la meta, «non ne aveva riportata che delusione e fatica». L’incontro rappresenta una prima tentazione per il Petrarca che potrebbe distoglierlo dall’obiettivo prospettandogli i sacrifici e le privazioni.

Così pure, una volta iniziata la salita al monte, emergono i due diversi temperamenti di Gherardo e di Francesco: il primo cerca di salire «per una scorciatoia lungo il crinale del monte», il secondo vuole trovare «un sentiero più agevole dall’altra parte del monte», una via più lunga, ma più piana, per scansare la fatica. Così Gherardo sale rapidamente verso l’alto e Francesco lo raggiunge solo più tardi e i due fratelli procedono insieme, solo per poco tempo, però, perché un po’ più tardi il poeta è ancora alla ricerca di vie più semplici e così rimane più in basso. Così Petrarca racconta quei momenti: «Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più». 

Così Petrarca comprende che l’episodio è una metafora della vita e della ricerca della beatitudine: «La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio». La vita è un pellegrinaggio rivolto ad una meta che tutti aspirano di raggiungere. Allora Petrarca si rende conto della validità dell’insegnamento di Ovidio secondo il quale «volere è poco; occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo». Questo è semplicemente un esempio, uno dei tanti, in cui emerge il colloquio continuo e costante del letterato con gli antichi, amici sempre presenti e maestri di vita.  

Petrarca comprende che nella sua vita sta differendo la salita verso la vera beatitudine per sostare in mezzo a falsi piaceri, rappresentai dalle valli e dai pianori. Una volta che Petrarca si inerpica più in alto, inizia ad avvistare un panorama meraviglioso che si spinge fino alle cime delle Alpi «gelide e nevose». Il poeta prova nostalgia per la sua terra amata, rammentando che è il decimo anniversario dell’addio a Bologna, probabilmente in seguito alla notizia della morte del padre. Poi, salito ancora, Petrarca riesce ad avvistare Acque Morte e la foce del Rodano, quando decide di leggere qualche passo delle Confessioni, libro che porta sempre con sé, «libretto di piccola mole, ma di infinita dolcezza». Lo apre e vi legge queste parole: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi». 

Petrarca scopre la dimensione della propria interiorità, la profondità dell’anima. Comprende che nulla accade mai a caso, che le pagine di sant’Agostino sono state scritte per lui: «Sapevo […] che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri; tanto più che ricordavo ciò che di se stesso aveva pensato Agostino quando, aprendo il libro dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse queste parole: “Non gozzoviglie o ebbrezze, non lascivia e impudicizie, non risse e gelosia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non seguite la carne nelle sue concupiscenze». 

Petrarca fa riferimento all’episodio che sant’Agostino racconta nel capitolo VIII del Libro IX delle Confessioni: «Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: "Prendi e leggi, prendi e leggi". Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: "Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi". Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze". Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono».

Per tutto il viaggio di ritorno Petrarca rivolge gli occhi della mente in se stesso e non parla per tutta la discesa dal Monte Ventoso. Ogni tanto volta lo sguardo indietro a contemplare la cime del monte. Segno, questo, che a differenza di sant’Agostino che dopo la lettura del passo sceglie in maniera categorica di andare dietro a Gesù, Petrarca non sa staccarsi dai beni terreni, ma continua ad amarli «con più vergogna, con più tristezza».