Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Antonio Maria Zaccaria a cura di Ermes Dovico
ISLAM

L'Iran torna in un cono d'ombra. E la repressione riparte

Finita la guerra, colpito il programma nucleare iraniano, è anche finito l'interesse internazionale per Teheran. Che ora volge le sue armi contro il dissenso interno. 

Editoriali 05_07_2025
Cerimonia dell'Ashoura in Iran (La Presse)

Finita la “Guerra dei 12 giorni” fra Israele e Iran, il regime islamico di Teheran è più debole o più forte di prima? Gli israeliani non hanno colpito solo i siti nucleari e le industrie militari che fabbricano missili. Hanno anche condotto una serie di raid per uccidere i vertici della Guardia Rivoluzionaria che, non solo è in controllo del programma nucleare, ma è anche e soprattutto il principale strumento repressivo del regime. Una guerra persa (e l’Iran ha innegabilmente perso) può essere motivo di caduta di un regime già contestato, ma la storia iraniana dimostra che la popolazione reagisce ad ogni attacco esterno aggrappandosi all’idea di patria, a prescindere dal regime al potere. Così è stato, ad esempio, durante la guerra contro l’Iraq del 1980-88.

Le informazioni che giungono dall’Iran sono frammentarie e non verificabili, secondo Amnesty International, circa mille iraniani sono stati arrestati nelle ultime due settimane. I checkpoint si sono moltiplicati nelle città e mentre i media continuano a dare notizie di arresti di spie israeliane, la polizia morale ha dato un ulteriore giro di vite alla repressione per implementare le regole coraniche ancor più rigidamente che in passato. Internet (completamente chiusa durante la guerra) è stata riaperta, ma le autorità non permettono ancora di usare le app di conversazione da persona a persona.

Le valutazioni post-belliche in Israele e negli Usa (intervenuti per una sola notte, ma in modo decisivo) riguardano soprattutto il livello di distruzione del programma nucleare, vero obiettivo dell’operazione Rising Lion. Trump ha dichiarato più volte di non volere un cambio di regime. Per questo i dissidenti, pur sollecitati alla ribellione, da Netanyahu all’inizio del conflitto, rischiano di essere dimenticati.

Masih Alinejad, giornalista iraniana-americana che vive a New York ed è una delle principali attiviste contro la teocrazia di Teheran, ha ricevuto messaggi da alleati politici che la avvertivano di una sanguinosa repressione in corso. «Voglio solo parlare direttamente al presidente Trump», ha detto un giovane, con il volto nascosto e la voce distorta, il 23 giugno. «La Repubblica Islamica ci annienterà dopo il cessate il fuoco. Uccideranno tutti noi, tutti quanti, chiunque si opponga al regime».

Pessimista è l’attivista premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, che al Wall Street Journal dichiara: «La situazione del popolo iraniano è più pericolosa ora che prima della guerra». «Sono profondamente preoccupata per la situazione degli attivisti della società civile, degli attivisti politici e in particolare dei giovani che sono attivi nelle attività sociali», ha affermato la Mohammadi. «Purtroppo, penso che la repressione si intensificherà ulteriormente nei prossimi giorni». La Mohammadi, che è stata arrestata per ben 13 volte ed ora rischia di tornare in carcere, era comunque contraria alla guerra. E ritiene che ogni cambio di regime spinto dall’esterno sia illegittimo.

Non così la più ottimista Mahi Tavabeghavami, attivista esule in Italia, che al quotidiano Il Riformista, dichiara: «Come ho sempre detto, la guerra non è mai bella ma, per noi iraniani, che fino ad oggi abbiamo sempre protestato a mani nude e ne abbiamo subìto le conseguenze, questi attacchi ci sono apparsi come uno squarcio di luce nel buio del regime oppressivo degli ayatollah». Secondo la Tavabeghavami la rivoluzione è ancora possibile, perché: «L’insoddisfazione verso il regime è estremamente diffusa in Iran. Le proteste recenti dimostrano una profonda frustrazione per la repressione, la crisi economica, la corruzione e la mancanza di libertà. Sondaggi hanno mostrato che la maggioranza degli iraniani desidera un cambio di regime e una forma di governo democratica».

Ma non va sottovalutata la reazione dell’apparato repressivo islamico: «Molti dei responsabili attuali in Iran sono stati coinvolti anche in quanto accaduto durante la guerra Iran-Iraq e subito dopo, comprese le esecuzioni di massa dei prigionieri politici», ha dichiarato Mahmood Amiry-Moghaddam, dissidente e attivista per i diritti umani esule in Norvegia, a The Free Press. «Non c'è quindi alcun dubbio che potrebbero farlo di nuovo».

L’interesse internazionale per la questione iraniana si è però esaurito con la conclusione del conflitto internazionale e con la fine (apparente) della minaccia nucleare. Anzi c’è anche la possibilità, ventilata da Trump, che siano allentate le sanzioni a Teheran. Il pericolo è che l’Iran torni in un cono d’ombra in cui il regime, libero dalla pressione di una guerra e delle sanzioni, abbia carta bianca contro i suoi nemici interni. Cioè: contro gente comune e inerme identificata come “nemica”.