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EDITORIALE

In memoria di don Francesco Ventorino

È morto dopo lunga malattia don Francesco Ventorino, per tutti "don Ciccio", fondamento del movimento di Comunione e Liberazione in Sicilia. Per il quotidiano La Sicilia è stato «educatore fra i più grandi che Catania abbia avuto dal secondo dopoguerra». Lo ricordiamo attraverso le parole del suo amico monsignor Luigi Negri.

Editoriali 18_08_2015
Don Ciccio Ventorino

È morto ieri pomeriggio, 17 agosto, dopo una lunga malattia don Francesco Ventorino, per tutti "don Ciccio", grande amico di don Luigi Giussani e fondamento del movimento di Comunione e Liberazione in Sicilia. Aveva 83 anni e il quotidiano La Sicilia lo ricorda come «educatore fra i più grandi che Catania abbia avuto dal secondo dopoguerra». È stato autore di numerosi volumi di filosofia, teologia e spiritualità, ma - come ricorda sempre La Sicilia - «le maggiori energie di don Ciccio furono dedicate all'educazione dei giovani e ai più poveri. Dalla sua fervente azione missionaria nacquero, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, numerose iniziative di carità e di promozione sociale nei quartieri più disagiati di Catania, da San Cristoforo a Librino, dal Villaggio Sant'Agata ai Cappuccini». Dal 2013 era cappellano del carcere di Piazza Lanza a Catania, dove aveva anche voluto celebrare i suoi 60 anni di sacerdozio. I funerali si svolgeranno mercoledì 19 alle 16.30 nel Duomo di Catania. Ricordiamo questa straordinaria figura attraverso le parole del suo amico monsignor Luigi Negri, arvivescovo di Ferrara-Comacchio.

Mio carissimo don Ciccio,

è arrivato il tempo del nostro congedo qui sulla terra, anche se in questo momento, profonda e irresistibile, sento nel cuore la certezza che la nostra comunione non viene meno ma, al contrario, si riformula in modi nuovi e definitivi.

Ci siamo incontrati tanti anni fa quando io, come ricordava spesso don Giussani, “portavo ancora i calzoni corti” ed ero studente dei primissimi anni dell’Università Cattolica mentre tu eri giovane e coltissimo prete della tua Diocesi. 

Ci siamo incontrati in una vacanza del movimento di GS, e da quei giorni insieme abbiamo realmente fatto parte di quella grande storia che dal cuore di don Giussani diventava in ciascuno di noi, e per la nostra amicizia, una vita intensa, appassionata, da approfondire continuamente e da comunicare dentro gli ambienti in cui eravamo chiamati a vivere, per scelte o per condizioni.

Sono stati anni di straordinaria intensità umana e cristiana che, a ricordarli, la commozione diventa irresistibile, perché hanno generato in noi un’incredibile dilatazione dell’intelligenza e del cuore, un approfondimento sistematico e continuativo del mistero di Cristo nel mistero della Chiesa, una conoscenza della nostra identità umana e insieme l’impeto di donare la vita nuova di Cristo in noi al cuore, all’intelligenza e alla sensibilità di tutti quelli che ci passavano accanto. 

Sì, perché ci era stata offerta la grande capacità di leggere, nel nome del Signore, l’uomo e il mondo del nostro tempo e dei tempi che si sarebbero succeduti inesorabilmente. 

Una capacità di conoscere e di giudicare la situazione del mondo che appartiene essenzialmente alla Chiesa, e in cui si innesta la capacità di incontrare. Ricordo ancora, in occasione del trentennale del Movimento, le parole di San Giovanni Paolo II che ci disse: «Quello che amo in voi è la vostra capacità di incontrare, di conoscere e di valorizzare». 

Grazie don Ciccio! Perché pur nella diversità dei momenti, nell’emergere di chiarezze, nella percezione di difficoltà o di fatiche, noi ci siamo appartenuti l’un l’altro; perché insieme appartenevamo - nel grande Movimento guidato da Giussani - alla compagnia con il mistero del Signore che ha reso inesorabilmente positiva la nostra esistenza, pur carica degli inevitabili limiti della condizione umana. 

Grazie don Ciccio, perché mi sei stato amico fedele. Quest’amicizia infatti è l’eredità più preziosa che abbiamo vissuto, che tu oggi mi lasci e insieme porti con te. 

È un’amicizia che fiorisce dalla consapevolezza che il Signore ci ha concesso di vivere insieme l’esperienza straordinaria di quel grande umanesimo cristiano che è l’espressione storicamente più vera e più significativa della fede ecclesiale. A partire dall’insegnamento di don Giussani, abbiamo valorizzato, attraverso maestri nuovi - che hanno esplicitato le sue intuizioni - la grandezza di quella civiltà e di quella cultura che si ergono ancora, a secoli di distanza, come punto più alto di comprensione del mistero di Dio e del mistero dell’uomo.

Attraverso l’obbedienza a don Giussani, abbiamo seguito insieme il Signore che ci ha portato dove ha voluto e ci ha fatto fare cose che forse non avremmo nemmeno desiderato fare, ma abbiamo dato il nostro contributo - particolare ma significativo - ad una grande vicenda di vita umana e cristiana che costituisce la ragione della commozione che ci prende ad ogni apertura di giornata: “Benedetto sei Tu Signore Dio d’Israele, perché hai visitato e redento il tuo popolo”.

Ora te ne vai dalla nostra compagnia fisica e, mentre stringo per l’ultima volta la tua mano, sento di dirti un profondo grazie che scaturisce dall’intimo della mia intelligenza e del mio cuore. 

Quante cose mi hai insegnato! Quante cose ho comunicato avvertendo che erano un modo con cui cercavo di dilatare ad altri quello che avevo imparato da te e dai tuoi libri, i più preziosi dei quali sono stati certamente i volumetti che hai dedicato al recupero del grande insegnamento di don Giussani. 

Molte cose sono state faticose, soprattutto in questi ultimi anni che tu ed io sognavamo diversi, come compimento straordinario di una ricchezza umana oltre ogni immaginazione. Purtroppo così non è stato. Sono venuti tempi di prova, di dolore e di umiliazione. Anche in questo, senza giudicare nessuno, ci siamo affidati al mistero del Signore che, come ci ricordava Giussani, scrive diritto su righe storte.

Caro Ciccio, devi aspettare ancora un po’ di tempo, ma non credo molto, perché questo nostro incontro possa ritornare ad avere concretezza e carnalità finalmente eterne. 

Di fronte al Signore, che tu già vedi così come Egli è, non posso non dire che nel tuo volto ho visto, lungo tutti questi anni, riverberarsi quella tranquilla e profonda capacità di dominare - in nome di Cristo - lo spazio e il tempo, e di vivere in modo positivo tutte le circostanze dell’esistenza, anche le più difficili.

Con l’antica espressione medievale – sebbene mi abbiano riferito che l’età medievale non è più così amata anche nello spazio della convivenza di tanti nostri amici -  ti dico: «Ciccio a Dio». 

+ Luigi Negri