In Etiopia quasi tutti i profughi sono tornati a casa, o forse no
Il governo etiope annuncia che in tutto il paese restano solo 100.000 sfollati. Ma le ong raccontano di ritardi negli aiuti, discriminazioni, sfollati costretti a lasciare i campi profughi a forza
Intervenendo alla sessione di apertura del parlamento a camere unite il 7 ottobre, il presidente dell’Etiopia Sahle-Work Zwede ha annunciato che in un anno il governo è riuscito a far sì che la maggior parte dei due milioni cittadini sfollati (quasi tre milioni secondo stime dell’Unhcr, n.d.A.), a causa dei conflitti etnici acuitisi nel 2018 dopo che Abiy Ahmed ha assunto la carica di primo ministro, potessero tornare a casa. Nei campi profughi resterebbero soltanto circa 100.000 persone. Secondo il presidente, nell’anno trascorso il governo inoltre ha provveduto al rimpatrio di oltre 90.000 cittadini bloccati all’estero in diversi paesi, molti dei quali in condizioni difficili, alcuni in carcere. Un rapporto dell’organizzazione non governativa Medici senza frontiere ha però evidenziato alcuni problemi sorti nonostante l’impegno e le risorse profuse dalle organizzazioni umanitarie. Nelle regioni di Gedeo e West Guji in particolare si è scoperto che gli aiuti sono stati distribuiti in base allo status e non dei bisogni, escludendo chi non era stato registrato come sfollato, in pratica tutte le persone originarie del West Guji. In questa regione inoltre molti sfollati al loro ritorno non hanno potuto rientrare a casa per motivi di sicurezza o perché la loro abitazione era andata distrutta e quindi sono stati sistemati in edifici pubblici privi di servizi di base. A questo si aggiunge il fatto che le comunità di origine hanno manifestato pregiudizi e atteggiamenti ostili nei confronti degli sfollati di ritorno e anche questo ha contribuito a rendere difficile assisterli e aiutarli. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la risposta governativa alla crisi umanitaria è stata criticata. Sembra che per molti mesi in alcuni campi profughi gli aiuti sono stati sospesi per “incoraggiare” gli sfollati a tornare a casa. In alcune aree del paese gli sfollati in realtà sono stati riportati a casa a forza anche se ancora mancavano le condizioni di sicurezza.