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San Felice I a cura di Ermes Dovico
PASQUA

In attesa di vederlo «come Egli è»

In questa società così impoverita e immeschinita dall’assenza di Cristo dobbiamo essere suoi umili ma fedeli testimoni e sentire che, poiché noi apparteniamo a Cristo, il mondo è nostro, il mondo ci appartiene, è il campo della nostra quotidiana missione.

Editoriali 22_04_2019
La glorificazione di Cristo nella corte del Paradiso

Certamente il demonio è stato in qualche modo protagonista con Cristo del cammino verso la Passione e la Resurrezione. E ha condizionato gravemente il Signore, che è stato sottoposto a tentazioni di ogni tipo. Ma la tentazione suprema era quella che il figlio di Dio si proclamasse Dio: non con Dio, ma contro Dio. Questa terribile tentazione è stata vinta dal Signore con una limpida risposta: «Sta scritto…».

C’è un ordine profondo nella natura, c’è la bellezza straordinaria della natura che è uscita bella e grande dal cuore e dalle mani di Dio, soltanto segnata dalla possibilità del peccato e dell’errore dell’uomo. Questa bella Creazione è comunque molto minore della bellezza della Redenzione. Non sarebbe valsa la pena di nascere se non per essere redenti, affermava con la profondità e la semplicità dei santi, il grande padre Sant’Ambrogio: la Pasqua, fratelli miei, ci chiama a prendere coscienza in modo ancora più profondo e radicale che noi viviamo già nel tempo di Dio, che illumina e cambia la nostra esistenza.

È solo la presenza del Signore morto e risorto che rende santo il tempo, santo il giorno, santa la vita. Una vita non immune dai limiti e dai peccati, non assicurata in una tranquillità che oggi sembra essere l’unico ideale, non una vita comoda; ma una vita – ci ricordava Benedetto XVI – bella e buona. Bella perché in essa rifulge il volto della misericordia del Signore, e buona perché solo la Sua misericordia può farci camminare verso una lenta e misurabile approssimazione al Signore che ci guida e che noi seguiamo.

Ritroviamo il Signore nel mistero della Chiesa, compagnia piena della Sua grazia e accompagnata dai limiti degli uomini, che i padri hanno definito santa per la santità di Cristo, e peccatrice per i peccati degli uomini.

Noi ci sentiamo parte di questo popolo santo in cui il Signore è presente. È nella Chiesa nostra madre, sempre amata, che dobbiamo sempre di nuovo incontrarlo, ritrovarlo, seguirlo, immedesimarci in Lui. Noi non possiamo più tollerare che a tanti livelli dell’ecclesiasticità si parli della Chiesa solo male, solo per ricordare i limiti della pedofilia, peraltro amplificati aldilà della effettiva realtà. Noi non possiamo sentire parlare della Chiesa come di una qualsiasi struttura sociale, nella quale vigono le regole della maggioranza e della minoranza, della democrazia e dell’autoritarismo. Noi dobbiamo anzitutto sentirci dire che la Chiesa è mistero, come ha definito in modo incomparabile il Concilio Vaticano II, purtroppo citato sempre ossessivamente secondo una sola versione.

Noi vogliamo essere fedeli amici di Cristo perché fedeli seguaci della Chiesa, e in essa desideriamo che il nostro cammino sia un andare sempre più vicino a quel Signore che ci guida, attendendo il giorno beato e benedetto in cui potremo vederlo «come Egli è», secondo l’intuizione insuperabile dell’apostolo Paolo.

Questo per noi è il senso del nostro vivere oggi in questo 2019 e in questa società così gravemente segnata dall’apostasia da Cristo; in questa società così impoverita e immeschinita dall’assenza di Cristo dobbiamo essere suoi umili ma fedeli testimoni e sentire che, poiché noi apparteniamo a Cristo, il mondo è nostro, il mondo ci appartiene, è il campo della nostra quotidiana missione, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore.

* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio