Immortalità artificiale: un avatar al posto del caro estinto
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Morto che parla: non è la tombola, bensì l'ultima promessa dell'IA, che pretende di ricreare volto e voce dei defunti. Estrema e vana illusione dell'era post-cristiana, dimenticando che è la preghiera il vero ponte verso l'aldilà.
La preghiera per creare un ponte tra i viventi e i cari estinti? Roba vecchia di quando non c’era la tecnologia attuale. Oggi ci pensa l’Intelligenza Artificiale (IA) a permettere di interloquire con il de cuius.
Eternal You, un documentario presentato al Sundance Film Festival, ha indagato le nuove potenzialità dell’IA in relazione alla creazione di avatar il più possibile simili al padre, alla nonna o al marito che non c’è più al fine di poterli vedere e parlare ancora con loro. Il defunto torna in vita con il suo viso e la sua voce, dedotta da video o registrazioni, con i suoi aspetti caratteriali, tramite il ricordo degli amici e parenti, e con la sua forma mentis, grazie all’analisi dei suoi scritti.
E così abbiamo il caso della signora Jang Ji Sung, mamma sudcoreana, che ha voluto parlare con l’avatar della figlia Nayeon, morta a sette anni. Oppure Josh il quale, grazie alla startup Project December, può chattare con la sua ragazza del liceo scomparsa prematuramente. L’inventore della startup, Jason Rohrer, ha – tanto per rimanere in tema – seppellito la sua coscienza sotto la prospettiva di lauti guadagni e così risponde alle critiche: «Non è mia responsabilità fermare questa tecnologia perché alle persone potrebbero non piacere le risposte che dà».
In tutti noi c’è il desiderio di continuare a parlare con i nostri cari che non ci sono più. Lo possiamo fare? Sì è lecito. I nostri pensieri rivolti a loro giungeranno a questi ultimi? Se Dio lo permette, accadrà. E loro possono mettersi in contatto con noi? L’evocazione dei morti così come l’avvalersi di medium sono pratiche vietate dalla Chiesa (cfr. CCC nn. 2116-2117) anche perché spesso queste pratiche sono varchi dove possono passare forze demoniache. La Chiesa in merito alle anime defunte ci dice solo una cosa: di pregare e offrire sacrifici per loro. Ci consiglia la cosa migliore: far del bene a loro. Ciò non toglie che quelli che stanno là, per permissione divina, possano a volte farsi presenti tra quelli che stanno qui. C’è un caso famoso presente nei Vangeli: quando Gesù si trasfigurò sul Monte Tabor, Mosè ed Elia apparvero anche a Pietro, Giacomo e Giovanni e iniziarono a parlare con Gesù (cfr. Mt 17, 1-9). Oltre a questo, ma non è materia di fede, molti sono i santi che hanno avuto colloqui con le anime defunte. Ma tutto questo sempre per volontà di Dio.
Oggi invece abbiamo inventato l’IA che è diventata il nuovo medium per fare una videochiamata nell’Aldilà e per far tornare in vita chi è già nell’eternità. Da una parte questa esigenza parossistica di voler vedere e sentire il proprio caro è sintomo quasi certo che la persona non ha elaborato il lutto, non ha accettato con serenità la morte dell’amato. Lo vuole con sé costi quel che costi. Il rifiuto della morte è certificato dall’accettazione della farsa, perché la madre che vuole parlare con la figlia defunta sa perfettamente che quella che vede e sente non è sua figlia, ma una ricostruzione di un computer. È l’ipertrofia del virtuale che mima il reale, che falsifica gli affetti, che rende artefatte le emozioni, che illude come potrebbe fare qualsiasi altra droga capace di far accedere a paradisi artificiali. Qui di artificiale c’è una pseudo intelligenza che ci vuole portare in un surrogato di paradiso. Meglio quindi una finzione consolante che una realtà desolante.
L’estinto che resuscita in forma di avatar è l’ultima frontiera della tecnologia postumana che vorrebbe spingersi al di là della vita per connettersi con il regno dei morti e così eternare qui sulla Terra ciò che invece è transeunte. È una sorta di immortalità offerta a tutti: poter vivere per sempre tramite non un alter-ego digitalizzato, ma tramite il proprio ego digitalizzato. Uno zombie tecnologico. Questa nuova trovata, allora, non spalanca le porte nell’Aldilà, ma le serra nell’Aldiqua perché rende immanente l’assolutamente trascendente come potrebbe essere l’anima che vola in Cielo perché tenta di tradurla in bytes. È una delle tante prove del fatto che oggi l’homo technologicus ha spento per sempre la speranza nella vita eterna ed invece accende sempre più ceri all’altarino della tecnica. Per paradosso l’avatar del nonno morto non ci fa sentire il nonno più vicino a noi, non ci mette in comunicazione con lui, ma fa ripiegare noi e il nostro dolore, la nostra nostalgia, il nostro rammarico, la nostra disperazione su noi stessi, centuplicando così il dolore, la nostalgia, il rammarico e la disperazione. Non solo tutto questo non è dialogo, bensì solipsismo, ma conferma che l’apparenza non ha mai un effetto lenitivo, bensì solo peggiorativo.
Questo accade anche perché nell’attuale era decisamente postcristiana non ci si affida più alla comunione dei santi, comunione che esiste anche tra i vivi e i morti (cfr. CCC n. 958), ma alle community social, ad intelligenze non umane, a speranze fatte di silicio.
Infine appare tristemente curioso che in quest’affanno di riportare in vita chi non c’è più per parlarci, non parliamo più con Chi è morto, ma ora vive per sempre. L’inginocchiatoio davanti a qualsiasi tabernacolo è infatti quella invenzione tecnologica raffinatissima che permette a ciascuno di noi di colloquiare non con un defunto qualsiasi, ma con Dio in persona. In carne ed ossa senza bisogno di avatar.
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