Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
medio oriente

Il vicario di Beirut dei Latini: «Siamo vicini al baratro»

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Una guerra tra Israele ed Hezbollah sarebbe drammatica e basta una goccia per far esplodere un conflitto che nessuno vuole. A La Bussola il monito di mons. Cesar Essayan: «È tempo di deporre le armi e avviare un processo di pace duraturo».

Esteri 28_06_2024 English Español

Prima il viaggio in Israele, Giordania, Egitto e Libano del segretario di Stato americano Antony Blinken, poi quello di Amos Hockstein, consigliere della Casa Bianca. Entrambi con una missione specifica: far cessare il conflitto tra israeliani e Hamas, ma soprattutto evitare che scoppi una nuova guerra tra Israele ed Hezbollah. La diplomazia americana sembra non riuscire nel proprio intento, visto che il responsabile della politica estera del governo israeliano, Israel Katz, ha dichiarato che Israele non può consentire all'organizzazione terroristica degli Hezbollah di attaccare il suo territorio e che presto saranno prese delle decisioni importanti.

Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha invece rivolto un invito al ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l'esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di cento razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele, e tu te ne stai seduto senza fare nulla. Devi intervenire», ha dichiarato Ben-Gvir attraverso un video che ha condiviso su X. L'esercito israeliano, da parte sua, ha già approvato i piani, ed è pronto per attaccare il movimento islamista libanese mettendo già in allerta gli oltre cinquantamila riservisti che potrebbero essere richiamati molto presto.

«Sarà una guerra assurda. Inutile. Che provocherà solo morte e distruzione. La violenza genera violenza. È arrivato il tempo di deporre le armi e avviare seriamente delle trattative per intraprendere un processo di pace lungo e duraturo in questa regione martoriata». Sono le parole del vescovo Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut dei Latini. Lo raggiungiamo telefonicamente mentre è in visita ad una famiglia che da poco ha lasciato il villaggio d’origine, nel sud del Libano, per sfuggire ai bombardamenti israeliani che ogni giorno martellano questa parte del Paese dei cedri.

È sconfortato per tutto quello che sta accadendo nel suo Paese, ma anche per i morti e i feriti sia di Gaza, che d’Israele. È convinto che solamente quando i palestinesi avranno un loro Stato, gli israeliani potranno vivere senza alcuna paura nella loro terra, e che il Libano potrà essere un paese libero e tranquillo, ci potrà essere vera pace. La guerra non porta mai benefici al popolo, continuerà ad arricchire solamente i potenti di questo mondo.

Eccellenza, c'è il rischio di un'escalation che allarghi il conflitto?
«Se ci sarà una guerra tra Israele ed Hezbollah sarà qualcosa di drammatico. Nessuno si fermerà. Ci saranno morti e distruzione. Ci saranno devastazioni in Libano, ma anche in Israele. Quello che preoccupa è che gli altri Paesi vicini non staranno a guardare. Diventeranno anche loro degli attori principali, utilizzando tutto il loro arsenale di morte».

Si riferisce anche allo Yemen?
Non solo. Anche l'Iran è pronto a confrontarsi. Non bisogna sottovalutare la Siria che gode dell'appoggio incondizionato della Russia».

All'orizzonte, dunque, giorni difficili...
«Basta una goccia in più nel bicchiere per fare esplodere un conflitto che nessuno, ripeto nessuno vuole. Attualmente in Libano viviamo in una situazione di guerra. Molti villaggi del sud sono stati distrutti e lo stesso vale per Israele. I rifugiati aumentano sempre di più, da ambo le parti».

Ci potrebbe essere qualche provocazione anche esterna per far scoppiare la guerra?
«Assolutamente sì. Ci sono tanti attori che agiscono, purtroppo, fuori dal palcoscenico».

Possiamo aspettarci un conflitto come quello del 2006?
«Può accadere di tutto. Forse anche peggio».

Quale il ruolo dell'Iran?
«Credo che l'Iran stia trattando con gli Stati Uniti. Tutto dipende dai risultati di queste trattative».

A suo parere le minacce di Hassan Nasrallah, capo del partito sciita degli Hezbollah, ad un paese della Nato (Cipro) vanno prese in considerazione?
«Sono messaggi indiretti. Sono dei dispacci cifrati diretti sia gli Stati Uniti, che all'Europa. Entrambe, queste potenze, non possono sottovalutarli. Ma il vero problema è l'Iran».

Un eventuale conflitto appare senza alcuna soluzione finale?
«Esatto. Questa eventuale guerra può durare mesi. Forse anni. Oltre agli aspetti politici che non vanno sottovalutati, tra questi: le elezioni in America, l'uscita definitiva dalla scena politica di Netanyahu alla guida di Israele, la sopravvivenza degli Hezbollah e soprattutto la stabilità della regione».

E il Libano che ruolo ha in questo scenario?
«Difficile dare una risposta. Ci sono troppe contraddizioni. Da una parte gli Stati Uniti che stanno costruendo la loro ambasciata, che sarà la più grande e la più importante di tutta la regione, dall'altra parte Hassan Nasrallah e il capo del Parlamento libanese che controllano quasi tutto il Libano. Ma come potranno andare d'accordo queste due forze? Chi ci rimetterà sarà solamente il popolo libanese. E sarà molto difficile anche per i cristiani vivere in questa situazione. Già molti di loro stanno abbandonando il Paese. Una grande tragedia. Avremo un Libano senza più la sua identità».

La chiesa di San Giorgio a Yaroun è stata danneggiata ...
«È una chiesa cattolica romana costruita nel 1923. Potrebbe essere un messaggio molto chiaro rivolto ai cristiani da parte degli israeliani. Un messaggio di questo tipo: se i cristiani non si ribellano o non prendono le distanze dagli Hezbollah gli israeliani sono pronti ad usare tutti i mezzi a loro disposizione per allontanarli. È un invito: ribellatevi agli Hezbollah».

Lo stesso messaggio, secondo lei, è stato rivolto ai cristiani di Gaza quando venne bombardata dagli israeliani la chiesa di san Porfirio provocando ben diciassette morti?
«Penso di sì. Ma i cristiani vogliono la pace, non desiderano la guerra».

Il Golan è diventato un altro punto caldo nella crisi siriana. Perché?
«Il Golan è destinato ad essere teatro di tensioni e azioni militari anche nel prossimo futuro. Ma sono sempre messaggi ad Israele che possono aprire più fronti contro lo Stato ebraico».

Come state vivendo questa situazione?
«Molto male. La sensazione è che ci stiamo avvicinando al baratro».

E i giovani?
«Sicuramente non andranno a combattere. Nessuno andrà a fare la guerra. Non sentono proprio questo conflitto, che lo ripeto, è assurdo».

Nel frattempo, in questo clima di forti tensioni, su invito di Marwan Sehnaoui, presidente dell’associazione libanese dei Cavalieri dell’Ordine di Malta, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, ha compiuto il suo viaggio nel Paese dei Cedri. Non sono mancate le visite a diversi centri medici e associazioni dell’Ordine, diffusi su tutto il territorio libanese, comprese le regioni confinanti con Israele e attualmente colpite dalle ostilità. Va sottolineato che quella di Parolin è una visita principalmente pastorale, anche se sulla sua agenda vige una certa discrezione. Il viaggio si è concluso ieri, 27 giugno, in concomitanza con l'incontro tra Papa Francesco e il Gran Maestro dell’Ordine, fra John Dunlap.

Sul fronte israeliano c’è da registrare la decisione degli Stati Uniti di bloccare temporaneamente l'invio di armi ad Israele, un modo questo, per portare a miti consigli il primo ministro Netanyahu, che nel frattempo ha trovato un appoggio da parte dell’India che ha reso disponibili i propri arsenali. Solidarity Network Against the Palestinian Occupation (RESCOP) denuncia che 20 tonnellate di motori per razzi, 12,5 tonnellate di razzi con cariche esplosive, 1.500 kg di sostanze esplosive e 740 kg di cariche e propellenti per cannoni sono stati recentemente inviati a Tel Aviv da Nuova Delhi. Il 6 giugno, all'indomani del bombardamento israeliano di un rifugio delle Nazioni Unite, nel campo profughi di Nuseirat a Gaza, è stato pubblicato un video dei resti di un missile sganciato da aerei da guerra israeliani. Tra le parti aggrovigliate, in un’etichetta, era riportato: “Made in India”.

A Gerusalemme e in molte altre città israeliane, oltre alle proteste dei familiari degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza, cresce la mobilitazione degli ebrei ultraortodossi contro il governo. Vogliano la guerra contro Gaza e il Libano ma non vogliono combatterla e tanto meno arruolarsi. Uno scontro interno al governo che sicuramente provocherà altra stabilità a Netanyahu.



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