Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina d’Alessandria a cura di Ermes Dovico
ATTENTATO

Il terrorismo islamico miete ancora vittime in Somalia

Due autobombe esplose a Mogadiscio per mano di Al Shabaab, che dal 2006 combatte contro il governo somalo e controlla ampie regioni. Il presidente Mohamud promette che attentati simili non si verificheranno più. Ma lo aveva già fatto, invano, nel suo primo mandato e la pace e la prosperità auspicate allora dall'inviato dell'Onu sono molto lontane.

Esteri 02_11_2022

Il 29 ottobre al Shabaab, il gruppo jihadista somalo affiliato ad al Qaeda, ha fatto esplodere due autobombe a Mogadiscio, la capitale della Somalia. L’attentato, il cui bersaglio era il ministero dell’istruzione situato in una zona molto frequentata della città, ha provocato una strage. Le due autobombe sono esplose a pochi minuti una dall’altra, la seconda dopo che molta gente era già accorsa in aiuto.

Il bilancio provvisorio è di almeno 120 morti e 300 feriti, tra cui studenti, giornalisti, commercianti e anche dei bambini uccisi tra le braccia delle madri, ma il numero delle vittime è destinato a salire perché mancano ancora all’appello delle persone, molti feriti sono in condizioni critiche e inoltre Mogadiscio non dispone di strutture sanitarie sufficienti. Il 30 ottobre il ministro della sanità Ali Haji, che presiede un comitato subito creato per affrontare l’emergenza, ha chiesto a Kenya, Turchia, Egitto e Arabia Saudita di mandare dei medici per assistere i feriti ai quali il personale sanitario locale non è in grado di provvedere e per i quali non è possibile organizzare un ponte aereo per trasportarli altrove. È stata anche lanciata una campagna per la donazione di sangue: quello quello disponibile non basta perché non esiste nel paese una banca del sangue nazionale e gli ospedali privati fanno pagare le trasfusioni anche alle vittime dell’attentato.
Per numero di perdite umane e danni l’attentato al ministero dell’istruzione è il più grave messo a segno dai jihadisti dopo quello del 14 ottobre del 2017 che uccise quasi 600 persone, sempre a Mogadiscio e con delle autobombe.

Al Shabaab combatte contro il governo somalo dal 2006. Attualmente controlla gran parte delle regioni meridionali e centrali della Somalia e, anche dopo essere stato allontanato da Mogadiscio e da alcune altre importanti città, riesce a compiere attacchi e attentati in aree difese dalle truppe governative e da quelle straniere che da quasi 20 anni proteggono le istituzioni politiche del paese. Nella capitale prende di mira edifici pubblici e ritrovi frequentati da politici e funzionari locali e da diplomatici e uomini d’affari stranieri. Si finanzia con il traffico di droga e con i proventi del bracconaggio. Nei propri territori impone tasse alla popolazione rurale e dazi per il transito di merci. Altrove estorce denaro ai titolari delle attività economiche in cambio della assicurazione di non subire attacchi. Persino dei funzionari governativi pagano per la loro sicurezza. Secondo l’Hiral Institute, specializzato in problemi di sicurezza nel Corno d’Africa, al Shabaab incassa così almeno 15 milioni di dollari al mese, oltre metà dei quali a Mogadiscio.

All’indomani dell’attentato al ministero dell’istruzione, il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha parlato alla popolazione: «sono qui per assicurare il popolo somalo che attentati come questo non si verificheranno più – ha detto – le bombe erano un messaggio dei militanti, per far sapere che sono ancora vivi nonostante le sconfitte subite da parte delle truppe governative». Mohamud è stato eletto lo scorso maggio, ma aveva ricoperto la carica di capo dello stato una prima volta dal 2012 al 2017. Anche allora, quasi con le stesse parole, aveva detto che i jihadisti avevano i giorni contati. Ormai sconfitti, l’intensificazione dei loro attentati era solo una disperata ultima fiammata. All’epoca la sua elezione era stata accolta con favore a livello internazionale. L’inviato speciale Onu in Somalia Augustine Mahiga aveva definito il suo insediamento l’inizio di una nuova era per il paese, un grande passo verso la pace e la prosperità grazie alla vittoria su al Shabaab e sulla corruzione che continuava a stornare dalle casse statali gran parte dei miliardi donati dalla cooperazione allo sviluppo.

A distanza di anni, oggi la Somalia ancora non conosce pace né prosperità. Al Shabaab, nonostante qualche sconfitta e la perdita di alcune decine di combattenti, continua a uccidere. A Mogadiscio a fine settembre un attentato dinamitardo suicida contro una base militare nella zona ovest della città ha ucciso un soldato e ne ha feriti sei (32 morti e 40 feriti secondo al Shabaab). Nelle settimane successive i jihadisti hanno colpito in diverse città: tra gli attacchi più gravi, quello che ha portato all’uccisione del comandante della polizia della capitale a Bal’ad e quello a un albergo a Kismayo conclusosi con la morte di nove persone e il ferimento di circa 50. 

I jihadisti non risparmiano niente e nessuno. In tutto il paese e soprattutto nelle regioni da loro controllate milioni di persone sono ormai quasi del tutto prive di mezzi di sussistenza a causa della siccità che ha colpito la regione da tre anni e che continua a uccidere il bestiame e a bruciare i raccolti. A giorni potrebbe essere dichiarato lo stato carestia. Ma i convogli di aiuti alimentari e sanitari quando entrano in territorio al Shabaab devono pagare dazio per proseguire e vengono saccheggiati. Il 30 settembre uno è stato attaccato e distrutto e 18 civili sono stati uccisi.