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collateralismo

Il sindacato (diviso) protesta solo contro il centrodestra

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Quello di venerdì prossimo sarà uno sciopero politico, come traspare dai proclami di Landini che studia da parlamentare. La Cisl si smarca da Cgil e Uil: la triplice non c'è più ma come da "tradizione sindacale" la piazza è sempre sbilanciata a sinistra.

Politica 27_11_2024

Che lo sciopero generale proclamato per venerdì prossimo da Cgil e Uil sia un’iniziativa fortemente politica è fuori discussione. Traspare nitidamente dai proclami bellicosi dei suoi promotori, in primis il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che incita alla rivolta sociale contro la manovra di governo e non perde occasione per criticare qualsiasi cosa faccia l’esecutivo.
Come tutti i suoi predecessori, Landini studia già da parlamentare e leader del Pd e quando finirà il suo mandato al sindacato certamente un posto in Parlamento e in prima linea in un ipotetico governo di centrosinistra ci sarà anche per lui. Nessun dubbio su questo, quindi meglio da parte sua accumulare crediti che potrà portare all’incasso quando si aprirà la corsa alle candidature e ci sarà un rimescolamento di carte anche negli schieramenti.
Visto che i partiti di centrosinistra, peraltro divisi al loro interno, non hanno modo di impensierire, né numericamente né come originalità di proposta, le forze di maggioranza, ecco che la magistratura da una parte e i sindacati dall’altra possono fare quell’opposizione che in una democrazia matura dovrebbe essere portata avanti nelle aule parlamentari e nell’agone politico, alimentando la dialettica e il confronto di idee.

Rispetto al passato, però, quando la triplice sindacale era compatta e portava in piazza migliaia e migliaia di manifestanti, oggi Cgil e Uil puntellano i partiti di sinistra per procacciare un futuro politico ai propri leader, mentre la Cisl si mantiene più super partes e semmai strizza l’occhio ad ambienti del centrodestra. Se ne è avuta la riprova proprio nelle ultime ore ascoltando le dichiarazioni del segretario nazionale della Cisl, Luigi Sbarra, che ha preso nettamente le distanze dallo sciopero generale indetto per venerdì e che rischia, ancora una volta, di provocare enormi disagi agli innocenti, ai senza diritti, ai soggetti fragili, a quanti non possono permettersi di aggirare lo sciopero con mezzi di trasporto personali. «Con le controparti ci si misura sul merito, sui contenuti, sulle scelte», ha detto Sbarra. «Da quattro anni a questa parte un pezzo di sindacato italiano proclama sistematicamente scioperi generali. Delle due l’una: o abbiamo sindacalisti che non ne azzeccano una ai tavoli di confronto e non portano risultati da prima del governo Draghi oppure forse un approccio preconcetto, pregiudiziale c’è. In entrambi i casi vedo un problema molto grave nella qualità della rappresentanza di alcune sigle, poi chiaramente rispettiamo, anche se non condividiamo, le scelte degli altri ma il nostro intento è lavorare attraverso il dialogo, la contrattazione, la negoziazione, per portare a casa risultati per le persone che noi rappresentiamo».

Il segretario della Cisl ha lasciato intendere quello che ormai gran parte degli italiani pensa: Cgil e Uil mostrano una spiccata propensione a dichiarare mobilitazioni generali quando al governo c’è il centrodestra, mentre sarebbe più saggio e responsabile usare lo strumento dello sciopero quando altre vie di confronto risultano impraticabili. Peraltro Sbarra ha ammesso che molte rivendicazioni dei sindacati sono state accolte dal governo in fase di preparazione della manovra, soprattutto per quanto riguarda la tutela del ceto medio. E allora perché continuare il muro contro muro?

Ma la storia sindacale italiana parla chiaro: fin dal primo governo Berlusconi, nel 1994, Cgil, Cisl e Uil, all’epoca unite, decisero di scendere in piazza per protestare contro “una legge finanziaria iniqua e inaffidabile”. Era l’epoca di Sergio Cofferati, Sergio D’Antoni e Pietro Larizza. Tra il 1996 e il 2001 a governare fu il centrosinistra e, come per incanto, gli scioperi cessarono. Ripresero, guarda caso, nel 2002, a meno di un anno dal ritorno a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi, per difendere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Cofferati nel frattempo fece il salto della quaglia, dal sindacato alla politica, e ottenne un mandato come sindaco di Bologna e due come parlamentare europeo. Una “giusta” ricompensa per aver bombardato da leader sindacale i nemici di sinistra. Gli successe Guglielmo Epifani, che non interruppe la consuetudine delle porte girevoli sindacato-politica e infatti intraprese una brillante carriera anche come segretario (ad interim) del Pd, oltre che come parlamentare (dal 2013 al 2021).
Altrettanto si potrebbe dire di Susanna Camusso, ora senatrice del Pd, che da segretaria Cgil fu morbida con i governi di sinistra, tranne che con il Jobs Act di Renzi, vero bersaglio di Cgil e Uil (ma non della Cisl).

A conti fatti appare dunque palese lo sbilanciamento dell’azione sindacale in favore della sinistra, come se i sindacati fossero costole di quella parte politica e dovessero ciclicamente spalleggiarla per consentirle di abbattere i governi di centrodestra e tornare al potere. Evidentemente, però, si tratta di qualcosa di patologico, visto e considerato che i sindacati, in base all’art. 39 della Costituzione, mai attuato, dovrebbero essere davvero rappresentanti di tutti i lavoratori e non cedere in alcun modo a tentazioni di collateralismo, per non inficiare l’essenza della loro missione: quella di difendere i diritti di chi lavora, a prescindere dal colore politico.



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