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OMS

Il rischio è nelle diete errate, più che nella carne

L'Oms consiglia l'inserimento di carni conservate e carni rosse nelle liste nere delle sostanze (rispettivamente) cancerogene e probabilmente cancerogene. Panico in Italia. Giustificato? Non proprio. Sono alimenti che comportano un pericolo, ma che non costituiscono un rischio elevato. E' semmai una dieta sbilanciata ad aumentare il rischio.

Creato 31_10_2015
Finocchiona cancerogena?

Il 26 ottobre 2015 lo Iarc di Lione, struttura di ricerca appartenente all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Agenzia dell’Onu, ha ritenuto di diffondere un report, pubblicato su The Lancet, con cui le carni conservate (gruppo 1 = cancerogene) e le carni rosse (gruppo 2 = probabilmente cancerogene) sono state proposte per la black list dei materiali con effetto cancerogeno.

La cosa ha destato in molti una comprensibile sorpresa e apprensione (in taluni anche “gioia”… vedi Prof. Veronesi), ma nulla di simile in chi, come chi scrive, è avvezzo a definire “veleno bianco” lo zucchero (ma anche la farina doppio zero e…) se in eccesso; utilizza a scopo didattico una tabella di Keys e colleghi (2004), aggiornata alla luce di Food, nutrition, physical activity and the prevention of cancer: a global perspective del Wcrf/Aicr pubblicato nel 2007 e più recentemente alla luce del World Cancer Report 2014 pubblicato dallo stesso IARC, tabella che riporta 8 regole per la prevenzione del cancro in generale (non solo al colon-retto); in laboratorio ha lavorato con molti materiali cancerogeni (amianto, benzene, alcol…) e sa distinguere fra pericolo e rischio (quando ci si reca nelle aree rurali di paesi come India e Congo, i pericoli sono molti ma, con le dovute cautele, i rischi sono pochi e comunque sopportabili).

Lo zucchero viene citato per primo, e a ragion veduta, poiché ormai è considerato fra le prime cause di obesità-diabete 2 e quindi indirettamente del cancro; infatti, la regola n° 3 della predetta tabella dice: “evitare bevande zuccherate e i fast food (o uso molto limitato)”. Per molte ragioni lo zucchero non entrerà nella black list, ma ciò non toglie che sia concausa di tumori e altro (nota bene: se in eccesso e quindi causa di obesità).

Va citato, per secondo, un altro composto presente, seppure in maniera meno sistematica, nelle nostre diete: l’alcol e le bevande alcoliche; non pare siano stati citati, ma fanno parte del gruppo 1  della black list e nessuno si è scandalizzato, perché – ancora una volta – “è la dose che fa il veleno”, come asseriva Paracelso nel 1500; la “mia” tabella, alla regola n° 6, suggerisce tuttavia di non superare un “quartino” di vino al giorno per l’uomo e metà per la donna (quanti se ne curano?). 

E veniamo ora alle carni: alla regola n° 5 della “mia” tabella, troviamo “moderare il consumo di carni rosse (non oltre 70 g/die) e limitare molto la carne conservata. Pollame e pesce fresco non sono ritenuti possibile causa di cancro”. Il rigore nei confronti delle carni conservate è comprensibile alla luce di studi di tipo epidemiologico che hanno mostrato una relazione col cancro, ma anche del fatto che in esse sono potenzialmente presenti sostanze ad azione cancerogena: talune amine, nitrosamine, composti derivati dalla combustione (fumi). Il lettore si sarà reso conto che qui si scrivono cose “micidiali” con una certa nonchalance, ma la ragione è molto semplice ed è già stata richiamata: pericolo (cancerogeno) non significa necessariamente rischio inaccettabile (per l’elevata probabilità che si manifesti). Basti dire che nel gruppo 1 troviamo anche la miscela di estrogeni-progesterone dei contraccettivi, lo smog atmosferico, la polvere di legno ecc...

Dunque, essere nel gruppo 1 insieme al tabacco (fumo) implica senza dubbio una prudenza, ma non un terrore; nello specifico devo sottolineare che la “mia” famosa tabella non parla solo di “peccati” di cui evitare gli eccessi (zucchero, carni rosse o conservate, alcol, sale, integratori alimentari), ma anche di “virtù” da praticare, sempre allo scopo di prevenire i tumori. Sono tre le virtù: non ingrassare troppo, praticare regolare attività fisica e – regola n° 4 – “inserire nella dieta almeno 400 g/die di frutta e ortaggi (purché non amidacei come le patate). Inoltre, a ogni pasto, usare anche cereali o legumi integrali”.

Giunti a questo punto, sono possibili alcune considerazioni che si avvalgono anche di precisazioni degli stessi estensori del report Iarc su carni e cancro.

Il Dr. K. Straif, che fa parte del segretariato Iarc/Oms, ha asserito che il rischio individuale di contrarre cancro per effetto delle carni, rimane basso; diverso è il peso per la società in quanto molti consumano carne e quindi il numero di persone da curare per il cancro potrebbe essere significativamente superiore. Detto in questo modo, peraltro corretto, qualcuno potrebbe pensare: è importante non essere fra coloro che sono predestinati a contrarlo; in realtà il concetto va letto alla luce di due ben note circostanze: non esiste rischio zero e comunque non è una predestinazione (per “evitare” il cancro, basta non esagerare con le carni e praticare le tre virtù).

Molto di quanto ha portato alla decisione di inserimento delle carni nei gruppi 1 e 2 dei cancerogeni, è basato su studi di tipo epidemiologico che sicuramente associano fenomeni caratterizzati dallo stesso andamento, ma non necessariamente fra loro connessi meccanicisticamente (causa-effetto); nello specifico, gli autori asseriscono di aver usato anche studi di tipo case-control comparison, ma ciò non esime da una certa deriva in grado di falsare i risultati (anche perché i “mangiatori di carne” hanno spesso altre abitudini alimentari negative – quali il basso consumo di “fibre vegetali” - di non facile correzione in sede di elaborazione dei dati statistici). Comunque, il direttore dello Iarc (il dottor C. Wild) riconosce che a fronte degli effetti sicuramente positivi delle carni, ve ne possono essere di negativi legati alla cancerogenicità; pertanto, le competenti autorità dovranno fare uno sforzo di ricerca per giungere a una valutazione del rischio (risk assessment) che consenta di fare un bilancio fra benefici e rischi (ma su base scientifica, non viscerale come spesso si è fatto).

All’interno di quanto sopra rientra certamente l’affermazione di Keys e colleghi (2009), lo stesso della “mia” tabella e che per inciso è un vegano. Avendo infatti osservato che, in una dieta ricca di frutta-verdura, la presenza di carne era risultata determinare meno cancro al colon, rispetto a una dieta vegetariana, ipotizzava che l’abbondanza di vegetali sarebbe in grado di mitigare i potenziali effetti negativi della carne. Se questo fosse confermato, due considerazioni sarebbero possibili:

- che da un lato gli studi epidemiologici possano presentare una qualche discrepanza circa i rapporti carni/cancro (dunque da rivedere);

- che d’altro canto siano nel giusto i sostenitori della dieta mediterranea quale nostra “santa protettrice” nei confronti di questo della carne e di altri rischi alimentari. Anche qui si noti bene che la dieta mediterranea non è affatto vegetariana, come conferma la definizione che ne ha dato l’UNESCO nel 2010, ma ricca di vegetali freschi e fibrosi (non certo pane, pasta e pizza come spesso si ritiene), con moderate quantità di prodotti di origine animale (pesce, carni, latte e derivati, uova).

Per concludere, c'è da rammaricarsi non tanto per l’iniziativa Iarc, forse “dovuta” e che ci si augura possa dare il via a studi realmente in grado di precisare i pro e contro delle carni, ma piuttosto per il modo in cui è stata divulgata (in Italia diversamente che altrove?). Ciò detto, che si può aggiungere?... state sereni? Sicuramente non basta… mentre si dovrebbe invitare tutti – a partire dai dietologi – a farsi parte diligente nel saper riconoscere pregi e difetti dei singoli alimenti per “poterli chiamare a far parte di diete plausibili”, integrandosi a vicenda. Ricordando tuttavia che ciò non basta, fondamentali sono la quantità ingerita e gli stili di vita che modificano i fabbisogni; dunque essenziali, oltre alla attività fisica, sono l’autocontrollo: alla bocca, cioè quanto si mangia e si beve, e “alla vita”, cioè la lunghezza della cintura, per mantenere un peso corretto che significa mangiare ciò che serve (di una grande varietà di alimenti vegetali e animali). 

*Presidente della Associazione Ricercatori Nutrizione Alimenti (Arna)