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Napoli

Il “Pulcinella” fallico, la volgarità spacciata per arte

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A firma di Gaetano Pesce, “Tu si’ na cosa grande”, presentata come un simbolico Pulcinella, appare come un pene in erezione. L’opera - che non pubblichiamo per scelta - è emblema di tanta arte “rivoluzionaria” contemporanea, povera di contenuti (ma costosissima), che sa far parlare di sé solo per la volgarità.

Cultura 14_10_2024
Gaetano Pesce nel 2019 (LaPresse, ritaglio)

Nei giorni scorsi un'installazione di ben 12 metri di altezza è stata collocata al centro di Piazza del Municipio a Napoli. Il titolo dell'opera è “Tu si’ na cosa grande” e porta la firma di Gaetano Pesce (1939-2024), artista e designer ligure di origine sorrentina, morto il 3 aprile di quest’anno. L'opera si compone di una lunga base cilindrica schizzata di colori primari e di un elemento sommitale obliquo di colore bianco, di forma semisferica. Questa sorta di colonna viene descritta dai curatori come la moderna versione di un simbolico Pulcinella, prototipo ed emblema dell'anima partenopea. Completano l’installazione due cuori trafitti di colore rosso vivo, che in particolare prospettiva assumono il ruolo di base del totem appena descritto.

C'è da dire che chiunque veda l'installazione non scorge, per prima cosa, la figura di Pulcinella, bensì, a detta quasi unanime del pubblico esterrefatto, un pene in erezione a cui i due cuori trafitti fungono da testicoli. Alla sommità del nostro “Pulcinella” sono attaccate due cordicelle che giungono fino a terra, da cui pendono bandierine triangolari multicolori. Significativa la presenza delle autorità partenopee, sindaco in testa, all'inaugurazione dell'opera di Pesce, anche per via dell'esorbitante cifra stanziata per realizzarla: 180.000 euro, di cui ben 120.000 finanziati dal Comune. Molti critici d'arte ed esperti del settore hanno, come al solito, indicato nella capacità di “far discutere” e di “provocare” il vero valore dell'opera, sottolineando come la valenza erotica dell'installazione descriva una componente della figura di Pulcinella radicata nella cultura napoletana.

Ma com’è possibile che la nuova religione laica, ovvero l'arte “rivoluzionaria”, possa giungere a celebrare nuovi culti fallici in una piazza pubblica di Napoli con il plauso di autorità e mondo intellettuale? Dobbiamo concludere che siamo giunti ormai al trionfo del pansessualismo collettivo, cioè a quella condizione in cui si identifica la vita umana anzi, l'essenza più profonda della vita umana, con le energie pulsionali di matrice sessuale. Un dato esperienziale su tutti, a riprova di questa tesi: un tempo si giurava o si rafforzava l'enfasi di una frase usando, a volte a proposito, a volte a sproposito, il nome di Dio; oggi il rafforzativo per eccellenza del parlare quotidiano ha quasi sempre a che fare con l'organo genitale maschile (Veneto a parte).
Con il ritorno al clima di neopaganesimo in cui siamo precipitati, è inevitabile che spuntino nei luoghi pubblici nuovi “alberi della libertà”. Così, infatti, erano chiamati gli alberi o i pali sovrastati dal cappello frigio, installati dai francesi giacobini nelle piazze italiane durante l'occupazione napoleonica, attorno ai quali si ballava la danza della Carmagnola, simbolo di lealtà e di adesione ai valori rivoluzionari.

La nuova rivoluzione, l'unica realmente riuscita del Novecento, è proprio la rivoluzione sessuale esplosa negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Il credo da essa diffuso, che predica la libertà assoluta della sessualità svincolata da ogni limite di ordine etico, si è così capillarmente diffuso e radicato nelle coscienze da rendere ormai accettabile che famosi pornodivi si qualifichino e accreditino quali educatori della sessualità dei ragazzi addirittura nei salotti televisivi delle prime serate Rai. Ecco chi canta in cerchio la nuova Carmagnola attorno al feticcio di Piazza del Municipio.

Ma torniamo al campo artistico: la povertà del linguaggio formale che è proprio di tanta arte “rivoluzionaria” (leggi “contemporanea”) deve ricorrere alla volgarità e alla dissacrazione di ciò che c'è ancora di sacro e di solenne per ottenere visibilità. Si tratta, essenzialmente, di una forma di parassitismo che, apparentemente, dona alla pulce la forza del cervo a cui succhia il sangue, dimenticando che senza il cervo (vale a dire i nostri centri storici, le nostre chiese, i nostri castelli e palazzi nobiliari, le nostre piazze e i paesaggi) la pulce morirebbe nella sua anonima insignificanza. È per questo che architetti e artisti oggi vanno alla ricerca dei luoghi più incontaminati e simbolici che popolano il tessuto storico del nostro Paese, industriandosi in tutti i modi di popolarli di opere il cui unico fine è contraddire e sovvertire la bellezza in cui sono inserite, ben consapevoli del fatto che, se queste stesse loro creazioni fossero esposte in qualche periferia anonima, verrebbero completamente ignorate. In questo contesto si inserisce anche l'installazione napoletana.
A volte sorge il dubbio che sia meglio non parlare nemmeno di simili operazioni, al fine di non dare maggiore visibilità ad opere che meriterebbero l'oblio.

Tuttavia, è bene continuare a scandalizzarsi anziché assuefarsi ad un tale corso degli eventi. Lunga sarebbe la lista degli artisti che hanno usato, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, il sesso come campo di elezione del loro linguaggio, tanto che oggi, tra le moderne performance e installazioni, abbondano episodi di autolesionismo, coprofagia, rapporti sessuali di ogni genere e specie. In questo clima culturale c'è da augurarsi che, come i napoletani seppero scacciare le truppe napoleoniche guidate da Gioacchino Murat al suono del canto sanfedista – bella ed energica tammurriata –, ci siano uomini e intellettuali coraggiosi in grado di liquidare questi deliri della mente nello spazio che gli è proprio, non riservando finanziamenti o spazi pubblici per celebrare la riduzione dell'essere umano al puro esercizio genitale. Sono ancora tanti coloro che preferirebbero partecipare all'erezione di un monumento piuttosto che al monumento di un'erezione.