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IL MESSAGGIO

Il Papa: la vocazione è per tutti ed è un "esodo"

Papa Francesco ha reso pubblico il suo Messaggio per la 52esima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che sarà celebrata il 26 aprile. Francesco invita a non considerare la vocazione qualche cosa che riguarda solo i sacerdoti, perché ogni vocazione è un «esodo», e ci chiede di «uscire» da noi stessi.

Ecclesia 14_04_2015
Papa Francesco

Il 14 aprile 2015 Papa Francesco ha reso pubblico il suo Messaggio per la cinquantaduesima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, formalmente datato 29 marzo: una meditazione sulla relazione che intercorre fra vocazione ed esodo. Francesco invita a non considerare la vocazione qualche cosa che riguarda solo chi sceglie il sacerdozio e la vita religiosa, perché ogni vocazione è un esodo, e ci chiede di «uscire» da noi stessi e di sentire come compito e destino la missione, che comprende anche l’annuncio e la messa in pratica della dottrina sociale della Chiesa.

Dopo avere rilevato che la Chiesa celebra fedelmente la Giornata per le Vocazioni da più di cinquant'anni,  il Papa ne ha ricollegato la nascita al comando stesso di Gesù a pregare perché «il signore della messe … mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gesù esprime questo comando nel momento in cui invia in missione settantadue discepoli. La Chiesa, ricorda il Concilio Ecumenico Vaticano II, «è per sua natura missionaria» e «la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione». L’azione dello Spirito Santo inserisce ogni fedele, ciascuno secondo la sua vocazione propria – dunque, non solo i sacerdoti –, in questo «dinamismo missionario, suscitando in noi il desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per la causa del Regno di Dio». Vale per tutti: «l’offerta della propria vita in questo atteggiamento missionario è possibile solo se siamo capaci di uscire da noi stessi».

Che rapporti ci sono fra la vocazione, o meglio la risposta alla vocazione, che è sempre un dono di Dio, e l’esodo?  «Quando sentiamo la parola “esodo” », spiega il Pontefice, «il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa». Il libro dell’Esodo – il secondo libro della Bibbia –, «rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare dalla schiavitù dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che avviene in noi per mezzo della fede». Questo è il nostro esodo: «il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre».

Dunque, ogni vocazione è un esodo. «Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra». Sappiamo quanto stia a cuore a Papa Francesco il verbo “uscire”. Ma attenzione: questa “uscita” «non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza». Lo insegna Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).

La vocazione è un atto d’amore, e Francesco ricorda che la natura dell’amore cristiano è stata definita da Benedetto XVI nella sua prima enciclica, Deus caritas est proprio con riferimento all’esodo. L’amore, scriveva Papa Ratzinger, è «un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio». Così, l’esperienza dell’esodo è il «paradigma della vita cristiana». Il paradigma dell’esodo «consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo pasquale». Lo vediamo nella storia della salvezza, da Abramo a Mosé e fino all’incarnazione di Gesù Cristo. Sempre si manifesta l’«azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli». Si tratta però di corrispondere alla chiamata di Dio, di «lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della nostra vita e della nostra felicità».

L’esodo è insieme individuale e comunitario. «Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”, non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite». Dio stesso «esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria del suo popolo e interviene per liberarlo». Segno e testimone di questa dinamica nella storia, «la Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi».

Il paradigma dell’esodo comprende anche la dottrina sociale della Chiesa. Infatti «questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra». Certamente la vocazione cristiana, in quanto esodo, è «radicata nella contemplazione del cuore del Padre»: ma «non è mai una fuga dalla vita e dal mondo», anzi «spinge al tempo stesso all’impegno solidale» per la costruzione di una società di verità, di giustizia e di pace.

Solo chi vive secondo il paradigma dell’esodo può essere veramente felice. «Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di gioia e di significato. Vorrei dirlo – insiste Francesco – soprattutto ai più giovani che, anche per la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi, sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede cristiana limiti la loro libertà. Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino!». Vivere l’esodo renderà la vita di ogni giovane, come di ogni cristiano, «ogni giorno più ricca e gioiosa». E qualcuno si lascerà «sorprendere dalla chiamata di Dio» al sacerdozio o alla vita religiosa.

Il Papa però insiste: la Giornata delle Vocazioni non è solo per chiedere al Signore che mandi alla Chiesa sacerdoti e religiosi, è per aiutare tutti a riflettere sulla vocazione. La vocazione è dire sì al Signore che ci chiama a uscire da noi stessi e ad andare verso Dio nella missione. Sarà di aiuto in questa riflessione, conclude il Pontefice, meditare sull’esempio della Madonna. «La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore». Maria «ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri».