Il Papa: «la verità non si muta secondo le mode»
Nella veglia di preghiera con le associazioni ecclesiali italiane e nella solenne Messa di apertura del Sinodo di domenica 4 ottobre Papa Francesco ha spiegato che cosa si aspetta dall’assise episcopale: fedeltà alla dottrina, proclamazione coraggiosa della verità che «non muta secondo le mode» e insieme misericordia per le persone sole e ferite. Il Sinodo, ha chiesto il Papa, «abbracci le situazioni di vulnerabilità», ma «ricordi che il Vangelo è la “buona notizia” da cui ripartire».
Nella veglia di preghiera di sabato 3 ottobre con le associazioni ecclesiali italiane e nella solenne Messa di apertura del Sinodo di domenica 4 ottobre Papa Francesco ha spiegato che cosa si aspetta dall’assise episcopale: fedeltà alla dottrina, proclamazione coraggiosa della verità che «non muta secondo le mode» e insieme misericordia per le persone sole e ferite. Ai laici, il Papa ha spiegato che con il Sinodo si tratta di «accendere una piccola candela nel buio che ci circonda». Serve? «Non sarebbe ben altro ciò di cui c’è bisogno per diradare l’oscurità? Ma si possono vincere le tenebre?». Ci sono tempi in cui non solo «simili interrogativi si impongono con forza» ma «la tentazione porta a tirarsi indietro, a disertare e a chiudersi, magari in nome della prudenza e del realismo, fuggendo così la responsabilità di fare fino in fondo la propria parte».
Anche Elia tenta di sfuggire al suo dovere di profeta: ma Dio lo richiama, «non nel vento impetuoso che scuote le rocce, non nel terremoto e nemmeno nel fuoco. La grazia di Dio non alza la voce; è un mormorio, che raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera – quel filo di silenzio sonoro –, li esorta ad uscire, a tornare nel mondo, testimoni dell’amore di Dio per l’uomo, perché il mondo creda». Pregate perché i padri sinodali, ha detto il Papa con una citazione ecumenica del defunto Metropolita greco-ortodosso di Antiochia Ignazio IV Hazim, tengano al centro Cristo e lo Spirito Santo, perché «senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi».
Il Sinodo, ha chiesto il Papa, «abbracci le situazioni di vulnerabilità» e «le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture», ma «ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane “buona notizia” da cui sempre ripartire», attingendo sempre dal «tesoro della viva tradizione». Il Papa ha evocato il beato Charles de Foucauld, «grande esploratore (che) abbandonò in fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile». Entrare come Charles de Foucauld nel mistero della Famiglia di Nazareth è il primo passo per capire che cos’è la famiglia, «mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla».
La Chiesa deve rivolgersi alle famiglie «con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti». Non c’è giustizia senza compassione, ma anche non c’è compassione senza giustizia. Solo mettendo insieme misericordia e giustizia – e non sempre è facile – la Chiesa «può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi». Sono temi che Papa Francesco ha ripreso nell’omelia della Messa di apertura del Sinodo, che ha diviso in tre parti, dedicate rispettivamente al dramma della solitudine, all’amore sponsale fra un uomo e una donna, e alla famiglia.
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La solitudine è un’esperienza così umana che la sperimenta per primo Adamo, il quale – prima della creazione di Eva – si sentiva solo perché non trovava «un aiuto che gli corrispondesse» (Gen 2,20). Oggi la solitudine è uno dei grandi drammi del mondo, anche se non è quello di cui si parla di più. Pensiamo, ha detto il Papa, «agli anziani abbandonati perfino dai loro cari e dai propri figli; ai vedovi e alle vedove; ai tanti uomini e donne lasciati dalla propria moglie e dal proprio marito; a tante persone che di fatto si sentono sole, non capite e non ascoltate; ai migranti e ai profughi che scappano da guerre e persecuzioni; e ai tanti giovani vittime della cultura del consumismo, dell’usa e getta e della cultura dello scarto».
Oggi viviamo «il paradosso di un mondo globalizzato dove vediamo tante abitazioni lussuose e grattacieli, ma sempre meno il calore della casa e della famiglia; tanti progetti ambiziosi, ma poco tempo per vivere ciò che è stato realizzato; tanti mezzi sofisticati di divertimento, ma sempre di più un vuoto profondo nel cuore; tanti piaceri, ma poco amore; tanta libertà, ma poca autonomia». È la stessa esperienza di Adamo: «tanta potenza accompagnata da tanta solitudine e vulnerabilità; e la famiglia ne è l’icona». Anche la famiglia soffre di solitudine: c’è «sempre meno serietà nel portare avanti un rapporto solido e fecondo di amore: nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà, nella buona e nella cattiva sorte. L’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso e guardato come se fosse roba dell’antichità. Sembrerebbe che le società più avanzate siano proprio quelle che hanno la percentuale più bassa di natalità e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di suicidi e di inquinamento ambientale e sociale».
Il secondo grande tema che il Pontefice indica al Sinodo è l’amore sponsale tra l’uomo e la donna. È la risposta di Dio alla solitudine di Adamo: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18). Queste parole «dimostrano che nulla rende felice il cuore dell’uomo come un cuore che gli assomiglia, che gli corrisponde, che lo ama e che lo toglie dalla solitudine e dal sentirsi solo». Ecco dunque «il sogno di Dio per la sua creatura diletta: vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e donna; felice nel cammino comune, feconda nella donazione reciproca». Gesù lo ha ripetuto: «Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,6-8).
Gesù in quell’occasione risponde «in maniera schietta e inaspettata» a una domanda sul divorzio: «riporta tutto all’origine, all’origine della creazione, per insegnarci che Dio benedice l’amore umano, è Lui che unisce i cuori di un uomo e una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre! Gesù ristabilisce così l’ordine originario ed originante». Da quest’ordine voluto da Dio, che comprende l’indissolubilità in modo originario, nasce il terzo tema del Sinodo, la famiglia in quanto istituzione: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 10,9). Oggi sembra difficile. Ma «solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e “usque ad mortem”. Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà destinata alla solitudine! Infatti la paura di aderire a questo progetto paralizza il cuore umano». Oggi si «ridicolizza questo disegno», che però silenziosamente attrae e affascina anche chi lo nega. L’uomo di oggi sembra capace solo di «andare dietro agli amori temporanei ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai piaceri carnali ma desidera la donazione totale».
Papa Francesco ha letto un testo del suo predecessore, l’allora cardinale Ratzinger, in un libro del 1989 sulle virtù teologali: «Ora che abbiamo pienamente assaporato le promesse della libertà illimitata, cominciamo a capire di nuovo l’espressione “tristezza di questo mondo”. I piaceri proibiti hanno perso la loro attrattiva appena han cessato di essere proibiti. Anche se vengono spinti all’estremo e vengono rinnovati all’infinito, risultano insipidi perché sono cose finite, e noi, invece, abbiamo sete di infinito». In un contesto sempre più difficile, il Papa chiede al Sinodo fedeltà, verità e carità. Anzitutto, «fedeltà al suo Maestro come voce che grida nel deserto, per difendere l’amore fedele e incoraggiare le numerosissime famiglie che vivono il loro matrimonio come uno spazio in cui si manifesta l’amore divino; per difendere la sacralità della vita, di ogni vita; per difendere l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale come segno della grazia di Dio e della capacità dell’uomo di amare seriamente».
Quindi, verità. Attenzione, ha detto il Papa ai padri sinodali, «la verità non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti. La verità che protegge l’uomo e l’umanità dalle tentazioni dell’autoreferenzialità e dal trasformare l’amore fecondo in egoismo sterile, l’unione fedele in legami temporanei». E ha voluto citare ancora Benedetto XVI, dall’enciclica Caritas in veritate: «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità». Ma – ed ecco la difficoltà – il Sinodo dovrà esprimersi con fedeltà e verità, ma farlo «nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri», ma «si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di essere “ospedale da campo”, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza».
La Chiesa cammina con chi è ferito non per esaltare la ferita: «insegna e difende i valori fondamentali», ma lo fa con l’atteggiamento e lo stile di un «buon samaritano dell’umanità ferita». E qui Papa Francesco ha citato un altro predecessore, san Giovanni Paolo II in un discorso del 1978: «L’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso e amato […] Noi dobbiamo amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo». «Una Chiesa con le porte chiuse – ha concluso il Pontefice – tradisce sé stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera». Al Sinodo, ha promesso Francesco all’Angelus della domenica, «terremo lo sguardo fisso su Gesù per individuare, sulla base del suo insegnamento di verità e di misericordia, le strade più opportune per un impegno adeguato della Chiesa con le famiglie e per le famiglie, perché il disegno originario del Creatore sull’uomo e la donna possa attuarsi e operare in tutta la sua bellezza e la sua forza nel mondo di oggi».
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