Il panino negato
Secondo la Cassazione il panino da casa per gli studenti non è un diritto e la pretesa dei genitori costituirebbe “un’ingerenza”. I giudici dimenticano che non è lo Stato ad avere il diritto all’educazione, bensì i genitori, come riconosce anche la Costituzione. Altrimenti si abbraccia una concezione statalista, che oltre a negare la libertà d’educazione mette in pericolo tutte le altre libertà.
Caro direttore,
i giornali hanno pubblicato la notizia secondo la quale la Corte di Cassazione a sezioni unite ha stabilito che “il panino da casa non è un diritto” e che, quindi, gli studenti che frequentano scuole che non organizzano l’assistenza ai bambini che si portano il pranzo da casa devono per forza accedere alla mensa scolastica.
La questione era nata perché molti genitori di Torino avevano chiesto, soprattutto per ragioni economiche e per ragioni che attengono alla qualità del vitto fornito nelle mense, di poter rinunciare al sevizio della mensa scolastica, dato che i propri figli si portavano “il panino” da casa, confezionato dagli stessi genitori. Nello spazio di una lettera, non voglio soffermarmi sugli aspetti organizzativi e sociali di questa questione (eventualmente ci tornerò), ma desidero commentare un passaggio della sentenza della Corte di Cassazione, che viene riportato virgolettato da La Stampa del 31 luglio. Il testo da me incriminato afferma che la pretesa dei genitori costituisce “un’ingerenza dei privati nella gestione di un servizio pubblico” (sic!).
Con tutto il rispetto dovuto all’Alta Corte, mi pare che la stessa abbia dimenticato alcuni passaggi fondamentali della nostra Costituzione, la quale stabilisce che il diritto all’educazione spetta a un solo soggetto costituito dalla famiglia a cui partecipa lo studente. Lo Stato non ha il DIRITTO all’educazione, ma ha il semplice compito di provvedere ad assicurare che tutti i cittadini e tutte le famiglie possano accedere all’istruzione. Tanto è vero che il ministero competente è sempre stato denominato dell’Istruzione e non dell’Educazione. Sono solo gli Stati dittatoriali che si arrogano il diritto (come fece il fascismo) di educare la gioventù.
Se tutto questo è costituzionalmente vero, la Corte di Cassazione non può considerare i genitori che mandano i figli a scuola come dei semplici “privati” che si ingeriscono in un servizio pubblico. I genitori non sono i “clienti” di una mensa o di un ristorante; i genitori non sono i clienti di una scuola, ma sono i soggetti titolari di un “diritto” che li rende compartecipi delle responsabilità educative della scuola stessa. E la scuola non può ignorare le istanze legittime e ragionevoli dei genitori. C’è un intero corpo di leggi che prevede la partecipazione dei genitori alla gestione della scuola. Mi pare che la Corte di Cassazione si sia dimenticata di tutte queste leggi oltre che della Costituzione e pare abbracciare una concezione statalista negata dalla Costituzione stessa.
Questa infelice espressione usata dalla Cassazione, comunque, mette in rilievo che nella cultura dominante nel nostro Paese non riesce, in vario modo e in diverse circostanze, a passare il concetto che i titolari del DIRITTO ALL’EDUCAZIONE sono i genitori e solo i genitori. Carta (costituzionale) canta in questo senso. Ciò mi fa dire che una delle battaglie principali che occorre combattere è quella per affermare che tale diritto venga concretamente realizzato. In questo senso non si può non guardare con favore il Ddl presentato in Parlamento, che fa riferimento al “costo standard”, applicando il quale ogni famiglia potrebbe scegliere la scuola di maggiore gradimento, secondo la propria impostazione di vita (compresa quella di dare o no i panini confezionati ai propri figli).
Insomma, il caso che ti ho sottoposto è di rilevanza particolare, ma anch’esso mette in luce quale sia la posta in gioco. Senza la libertà di educazione, tutte le altre libertà, prima o poi, cadrebbero.