Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
TRANSIZIONE ACCIDENTATA

Il nuovo Afghanistan preso tra due fuochi

Una road-map educativa per insegnare agli afghani a far da sé. La deputata Golalei Safi Nur spiega il Paese.

Attualità 08_02_2011
Safi Nur

 

«Per avere democrazia non bastano le elezioni». Golalei Safi Nur, parlamentare afghana eletta per due legislature consecutive nella provincia di Balkh, nel nord del Paese, ne è convinta: «Le istituzioni democratiche sono l’esito di una processo profondo di educazione del popolo. In Afghanistan la cosa è più che evidente. L’educazione, l’educazione della popolazione alla libertà politica deve essere oggi la nostra prima priorità».

Laureata in Medicina all’Università medica statale di Crimea, a Simferopol, in Ucraina, ha esercitato per un decennio come oftalmologa prima di lasciare l’Afghanistan per poi tornarvi nel 2004. Membro della Commissione Parlamentare Sanità, in passato ha lavorato per l’organizzazione femminile “Medica Mondiale” nell’unità traumi psicologici. Colpisce una sua battuta. «In Afghanistan molto si è fatto per migliorare la condizione femminile, campo, questo, che mi vede direttamente impegnata. Molto c’è da fare, in questo e in diversi altri settori, ovvio, ma nessuno può negare i grandi progressi compiuti. La si smetta allora di preoccuparsi solo delle donne afghane come se nulla fosse avvenuto e si pensi ad altro. Per esempio alla situazione retriva in cui versano le donne in Arabia Saudita. Di ciò nessuno ha mai voglia di parlare…».

Grazie alla European Foundation Democracy di Bruxelles, Safi Nur sta girando l’Europa per spiegare la realtà del suo Paese. Assolutamente complessa.  Assieme a lei raccontano il nuovo Afghanistan Afzal Nooristani, avvocato, direttore esecutivo della Legal Aid Organization of Afghanistan (34 professionisti che patrocinano gratuitamente per i più poveri) e Hayatullah Ahadyar, ex giornalista ora giudice di primo grado al Tribunale contro il narcotraffico.

«Non appartengo ad alcun partito», dice Safi Nur. «Da noi ve ne sono più di cento... Rappresento invece la provincia dove sono stata eletta da indipendente, grazie al fatto che il sistema di quote previsto dal nostro sistema elettorale riserva alle donne il 25% dei seggi ».
La parlamentare descrive una situazione socio-politica non priva di successi, ma a tratti davvero caotica. «Viviamo tra due fuochi. Da un lato ci sono le pressioni internazionali che ci giungono dalle democrazie occidentali, dall’altro c’è il popolo afghano. L’Occidente spinge l’acceleratore sul processo di democratizzazione, minacciando talvolta di sospendere gli aiuti economici se non attuiamo una riforma dopo l’altra. La base resta invece ancora saldamente ancorata a un passato tradizionale che spesso giudica con sospetto le spinte straniere. L’impasse deriva dal fatto che senza gli aiuti occidentali il nuovo Afghnistan non potrebbe fare alcunché, anzi non esisterebbe neppure. Al contempo non si può però ignorare la grande massa degli afghani, ineducata e spesso retriva…».

«La questione della libertà religiosa, per esempio, è un nodo spinoso», glossa l’avvocato Nooristani. «La nostra Costituzione la garantisce formalmente. Essa non solo consente libertà di culto alle “religioni del libro” tradizionalmente tollerate dall’islam, ma permette anche il libero esercizio di tutte le altre oltre i dettami coranici. Detto questo, esistono però problemi assai concreti». La questione delle conversioni è un problema serio anche nel nuovo Afghanistan. «Le fonti del nostro diritto sono molteplici. Ci sono riferimenti alle leggi internazionali, abbiamo preso a prestito esempi dalle legislazioni francese e tedesca, ma accanto a tutto ciò ci sono la religione, la tradizione, la dottrina giurisprudenziale, le procedure legali… Spesso le fonti rischiano di confliggere e così vengono affrontate caso per caso, nella pratica. Insomma, ogni tanto qualcuno viene trascinato in tribunale perché si è convertito, che so dall’islam al cristianesimo. Di per sé non lo impedirebbe la legge, ma la cultura ha il sopravvento e così ne nascono dei vespai».

Safi Nur interviene piccata: «Perché, del resto, concentrare l’attenzione sul singolo caso di un convertito, rischiando di mandare all’aria il lento lavorio che stiamo compiendo per radicare una nuova mentalità, dunque una nuova legalità?». Forse i diretti interessati la pensano diversamente, ma questa è la realtà dell’Afghanistan oggi, preda, non è un segreto, di mille contraddizioni, capace di anelare a un futuro diverso, ma assolutamente confuso sulla strada da seguire.

«Vede», aggiunge Safi Nur, «l’Afghanistan ha bisogno di camminare con le proprie gambe. Abbiamo necessità di trovare la nostra strada. Il supporto occidentale ci è indispensabile, ma spesso è un fardello pesante». Comprensibile. Un Paese che amministra il diritto di famiglia secondo la sharia, ma che al contempo vuole lasciarsi alle spalle un passato che nessuno rimpiange, ha più di un grattacapo.
«La legge fondamentale del nostro Paese è chiara», precisa il giudice Ahadayar, «ma le sue applicazioni sono tutt’altro argomento. Ciò di cui abbiamo bisogno è imparare il modo giusto per applicare il diritto nuovo tenendo conto di una realtà articolata, spesso legata a tribalismi contrapposti o definita da concezioni che stanno agli antipodi di quelle occidentali».

Chiarissimo. Come  chiaro è il fatto che questa educazione non può essere un mero importo dall’esterno, peggio ancora se dall’alto. Esistono allora forze interne al Paese, siano esse culturali, politiche o sociali, in grado di avviare subito questo processo di educazione fondamentale per il radicamento di nuove istituzioni democratiche? Nessuno dei tre interlocutori risponde in modo negativo. Il loro imbarazzo, però, è palpabile.