Il nono Anno Santo e il sacco di Roma del 1527
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Indetto da Clemente VII, il nono Giubileo si svolse nel 1525, in una fase molto travagliata per la Chiesa e per Roma. Due anni più tardi nella Città Eterna giunsero i lanzichenecchi, in prevalenza protestanti, che portarono una tremenda devastazione.
I primi decenni del Cinquecento sono tra i più travagliati nella storia della Chiesa. In meno di vent’anni (dal 1517 al 1534) avvenne una profonda lacerazione in seno alla Chiesa con la separazione da Roma dapprima dei protestanti, guidati da Lutero (1517), e poi degli anglicani (1534). In mezzo a questi due eventi si collocano il nono Giubileo (1525) e il sacco più devastante che sia mai avvenuto a Roma (1527).
Il successore di Leone X (papa nel 1513-1521), Adriano VI (1522-1523), l’ultimo pontefice non italiano fino all’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978, tentò di riformare la Chiesa e di estirpare la corruzione e alcune storture legate alle indulgenze, senza riuscirvi. Il suo pontificato durò infatti troppo poco, neanche due anni. Gli successe Giulio de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico, dotato di grande cultura, eletto papa col nome di Clemente VII. Fu mecenate di grandi artisti e intellettuali come Michelangelo e Guicciardini.
Fu lui a indire il Giubileo del 1525, cinque mesi dopo la sua elezione. In base alla sua bolla, anche i pellegrini morti in viaggio verso Roma o prima di aver terminato la visita delle basiliche avrebbero potuto lucrare l’indulgenza. Per la prima volta vennero coniate medaglie che ricordassero il Giubileo con il ritratto del Papa e la Porta Santa.
In quella stessa fase storica vennero fondati due ordini religiosi: i Cappuccini e i Teatini. I primi nacquero, intorno al 1525, per iniziativa di Matteo da Bascio che intendeva riportare i Francescani all’antico stile dettato da san Francesco, improntato alla povertà, alla penitenza e alla predicazione. Ricorderemo tutti la stima che l’ordine dei Cappuccini avrebbe ottenuto solo un secolo più tardi, immortalata nel romanzo I promessi sposi in cui è proprio un frate cappuccino a rappresentare quella parte della Chiesa che incarna Cristo operante in terra con dedizione fino al martirio durante la peste del 1629-1630.
San Gaetano da Thiene e Gian Pietro Carafa promossero la nascita dell’ordine dei Teatini – riconosciuto da Clemente VII nel giugno 1524 – intenzionato a riportare la Chiesa alla purezza evangelica e a estirpare i mali che la danneggiavano e producevano scandalo.
Proprio questi due ordini furono in prima fila durante il Giubileo per rispondere alle esigenze dei pellegrini che affluirono a Roma. Non furono molti, secondo le cronache, certamente molto meno di quelli che giunsero a Roma durante il Giubileo del 1500 indetto da papa Alessandro VI. Del resto, il clima in Europa era molto cambiato: in Germania si assisteva alla rivolta dei contadini e si temeva l’espansione dei Turchi. In questa situazione la diffusione della peste a Roma rese ancora più complesso l’arrivo in città.
Nel 1525 i due maggiori scrittori di prosa italiana del secolo, Machiavelli e Guicciardini, si trovavano a Roma. Machiavelli presentò a Clemente VII le sue Istorie fiorentine. Ricevette dal Papa il compito di creare un esercito non mercenario, proprio come il politico aveva annotato nel VI capitolo del Principe. Clemente VII aveva ridato fiducia al politico fiorentino, che divenne centrale nell’apparato pontificio dal 1525 al 1527 (anno della morte di Machiavelli). Per l’Anno Santo, Machiavelli compose l’Esortazione alla penitenza in cui indicava due santi come riferimento da imitare per imparare una buona penitenza: «Ma perché e’ non basta pentirsi e piangere (ché bisogna prepararsi in le opere contrarie al peccato), per non poter errare più, per levare via l’occasione del male, conviene imitare a san Francesco e san Girolamo».
Il testo di Machiavelli è ricco di richiami ai Padri della Chiesa (Lattanzio, Ambrogio, Agostino) ed è fondato su un’opera molto apprezzata a Roma, il De immensa Dei misericordia (1524) di Erasmo da Rotterdam, schierato contro la riforma luterana. Dal momento che Lutero aveva attaccato la Chiesa di Roma proprio a partire dalla penitenza, l’opera di Machiavelli assumeva un profondo significato antiluterano proprio nell’anno giubilare in cui si invitavano i fedeli alla penitenza e al pellegrinaggio a Roma.
Nel nono Giubileo i protestanti provenienti dai Paesi transalpini non scesero a Roma. Vi giunsero due anni più tardi i lanzichenecchi, protestanti dell’esercito di Carlo V, e vi portarono grande devastazione. Roma era già stata saccheggiata otto volte prima di allora. Guicciardini raccontò il sacco del 1527 nella Storia d’Italia. La mattina del 6 maggio 1527 le truppe imperiali di Carlo V entrarono a Roma saccheggiando e depredando. Il comandante Georg von Frundsberg aveva fatto ritorno in patria per motivi di salute. Carlo III di Borbone, che gli successe al comando, morì quello stesso 6 maggio in uno scontro. Le truppe rimasero così senza comando, libere di darsi alla razzia e al bottino, anche secondo le regole dell’esercito secondo le quali se non fosse stata distribuita la cinquina (la paga ogni cinque giorni) i soldati potevano depredare liberamente nelle città. In questo modo ciascuno si sentì autorizzato «a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all’autorità e degnità de’ prelati, ma eziandio a’ templi a’ monasteri alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre» (Guicciardini). Il bottino fu immenso: tante erano le ricchezze accumulate in città dai nobili, dai mercanti, dagli ecclesiastici. Numerosi furono i prigionieri di nobili e importanti famiglie per cui veniva richiesto il riscatto «con grossissime taglie». Cardinali e alti prelati vennero vilipesi dai soldati tedeschi di fede protestante che avevano in odio la Chiesa romana: posti su «bestie vili con le insegne delle loro dignità», furono condotti in giro per la città come fossero bottino di guerra, alla maniera degli antichi trionfi romani; molti furono torturati o morirono durante le torture. Vennero saccheggiati i palazzi di tutti i cardinali, eccetto di quelli che offrirono ingenti quantità di denaro perché fossero salvaguardate le vite e i beni dei mercanti che si erano ivi rifugiati. Alcuni edifici di costoro che trattarono furono comunque saccheggiati in seguito.
In città si sentivano anche le urla delle donne romane e delle monache che furono sottoposte alla violenza dei soldati. Si udivano i lamenti di quanti erano sottoposti a torture perché pagassero la taglia o perché rivelassero dov’erano le ricchezze nascoste. Le chiese furono sottoposte a saccheggi e spogliate degli ornamenti sacri. Correva voce, continua Guicciardini, che tra denari, oro, argento e gioielli il sacco fosse ammontato a più di un milione di ducati, ma che con le taglie l’ammontare fosse molto superiore.
Le guardie svizzere sacrificarono la loro vita per la salvezza di Clemente VII, che riuscì a trovare rifugio in Castel Sant’Angelo. Più tardi, nel giugno 1527 il Papa venne imprigionato in un palazzo del quartiere Prati. A dicembre una spedizione di cavalieri riuscì a far fuggire il pontefice, travestito da ortolano, e scortato verso Orvieto. I lanzichenecchi se ne andarono da Roma solo nel febbraio dell’anno successivo. Era finita l’epoca d’oro del Rinascimento quando la Città Eterna ospitava i maggiori artisti e offriva i cantieri più straordinari d’Europa. Per tanti anni, fino al 1534, gli artisti operarono in altre corti italiane. Roma perse quasi la metà della popolazione, non solo per gli scontri, ma anche per la peste e le malattie portate dai saccheggiatori.