Il Nobel a Narges Mohammadi, la donna iraniana più perseguitata
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Premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, dissidente iraniana, dentro e fuori dal carcere dal 2001. Il suo attivismo, anche in difesa dei prigionieri, è il simbolo delle donne iraniane che resistono all'oppressione del regime islamico.
Il Nobel per la pace può essere assegnato a un campione della causa della pace e dei diritti umani, oppure può essere simbolico e assegnato collettivamente a una intera categoria sociale o a un’associazione. In questo caso, il Nobel è stato assegnato con entrambi i criteri: lo ha vinto, materialmente, la dissidente iraniana Narges Mohammadi e però è stato dedicato alla donne iraniane che protestano contro il regime dall’anno scorso.
La dissidente, dal carcere di Evin (nei pressi di Teheran), in cui è detenuta, ha fatto sapere di sentirsi ancora più forte e determinata nella lotta contro il regime islamico che reprime i diritti delle donne. “Al fianco delle madri coraggiose dell'Iran... continuerò a lottare contro l'implacabile discriminazione, la tirannia e l'oppressione di genere da parte dell’oppressivo governo religioso fino alla liberazione delle donne”.
Il comitato del Nobel, ha dichiarato di aver assegnato alla dissidente 51enne il prestigioso premio per la sua “lotta contro l’oppressione della donna in Iran e la sua battaglia per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti”. Lo stesso comitato ha anche dichiarato di riconoscere il coraggio di quelle centinaia di migliaia di persone che “hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico iraniano nei confronti delle donne”.
Perché proprio la Mohammadi, sulle 20mila persone (stimate) che sono state arrestate a seguito delle manifestazioni? Perché è un simbolo umano di resistenza, dentro e fuori dal carcere da 22 anni. Ha dunque vissuto in prima linea tutti i cicli rivoluzionari iraniani, dal 1997 ad oggi. È stata presa di mira dal regime sin dai tempi del presidente “riformista” Khatami, per aver difeso i diritti delle vittime della repressione, in quanto portavoce dell’associazione (ora vietata) Defenders of Human Rights Center, finanziato anche dal premio Nobel Shirin Ebadi.
Dal 2001 ad oggi ha passato più tempo in carcere che in libertà, arrestata per 13 volte, condannata a un totale di 31 anni di detenzione e 154 frustate. E divenendo così un’implacabile critica dei metodi carcerari, facendo trapelare lettere dalla sua cella in cui si descrivevano le condizioni dei detenuti, intraprendendo scioperi della fame, prendendo le difese di prigionieri che subivano torture fisiche e psicologiche, anche organizzando proteste.
La sua attività è stata incredibilmente rischiosa e ne ha subito le conseguenze: Mohammadi ha dichiarato di essere stata aggredita, più volte, fisicamente, anche da agenti maschi e da un direttore del carcere, nonostante le leggi islamiche in vigore in Iran impongano agli uomini di non toccare le donne con cui non sono imparentati. “Come mai non si devono rispettare le leggi islamiche (in carcere, ndr)? Quindi quello che avete sentito dire (sulla necessità di rispettare le regole islamiche, ndr) era una bugia”, aveva dichiarato due anni fa a Radio Farda. “Io protesto contro le aggressioni degli uomini del regime islamico contro le donne e non sarò messa a tacere”.
Da anni, la Mohammadi non può più rivedere marito e figli. Suo marito è anch’egli un attivista politico, Taghi Rahmani. Dal 2012, assieme ai figli Alì e Kiana, vive in esilio volontario in Francia, se dovesse tornare in patria sarebbe anch’egli arrestato. I due coniugi dissidenti si sono dunque “divisi i compiti”: il marito, con i figli, in Francia a sensibilizzare l’opinione pubblica europea da un luogo sicuro, lei in patria, fra un arresto e l’altro, a continuare la lotta da dietro le sbarre. Anche nei periodi di libertà, la Mohammadi ha vissuto da sorvegliata speciale e con il divieto di lasciare il Paese, neppure per andare a trovare i famigliari. Nonostante tutto ha sempre ripreso la sua attività di difensore dei diritti umani, in pubblico e comunicando anche con l'estero. Suscitando sempre nuove attenzioni del regime.
Il regime iraniano non ha digerito l’annuncio del premio Nobel alla sua cittadina dissidente. “Notiamo che il Comitato per il Nobel per la Pace ha assegnato il Premio per la Pace a una persona che è stata condannata per ripetute violazioni di leggi e atti criminali”, recita il comunicato del portavoce del Ministero degli Esteri Nasser Kanani. “Condanniamo questa mossa politica e faziosa”.
Intanto però, lo stesso regime torna a distinguersi per un altro grave atto di repressione. Una ragazza di 16 anni, colpevole di non portare il velo islamico in pubblico, sarebbe stata picchiata a sangue dalla polizia morale nella metropolitana di Teheran. Ora, secondo fonti iraniane di Radio Farda, verserebbe in gravissime condizioni. La polizia nega ogni responsabilità e parla di incidente (la ragazza sarebbe caduta da sola), ma intanto non permette alcuna visita dei genitori. La madre della ragazza è stata arrestata fuori dall’ospedale in cui è ricoverata in terapia intensiva.