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Ora di dottrina / 127 – La trascrizione

Il merito – Il testo del video

La vita eterna si può meritare o è solo ed esclusivamente un dono di Dio? Le tre obiezioni fondamentali alla dottrina cattolica. L’armonia tra grazia e merito spiegata da san Tommaso. Il libero arbitrio. Giustizia commutativa e giustizia distributiva.

Catechismo 01_09_2024

Proseguiamo il nostro percorso sulla grazia. Per diversi incontri, prima della pausa estiva, abbiamo trattato a lungo della grazia, la sua essenza, i suoi effetti, eccetera. Nell’ultimo incontro, abbiamo visto il grande tema della giustificazione. Oggi e la prossima domenica tratteremo un altro grandissimo tema, frutto di moltissime controversie, ossia il merito.

Cerchiamo di capire qual è il problema che c’è dietro l’idea di un merito, cioè di meritare la vita eterna, espressione che utilizziamo molto. Ci sono almeno tre tipi di obiezioni che vengono mosse.

La prima obiezione è di tipo più etico, cioè richiama un’etica che si ritiene pura, di derivazione kantiana, secondo la quale si deve compiere il bene per il bene, il bene per essere buoni, cioè non in vista di un vantaggio, di una ricompensa che ne deriva. In sostanza, in questa linea, l’idea di una ricompensa meritata, è qualche cosa che andrebbe a rovinare, a rendere impura un’etica degna di questo nome.

Una seconda critica viene invece dalla teologia spirituale. Qui ci spostiamo più all’interno del cristianesimo. Questa critica dice: Dio va amato per Sé stesso. Dunque, se io spero una ricompensa, se desidero, attendo, esigo una ricompensa – perché il merito indica un rapporto di giustizia, come vedremo tra poco –, allora non si ama più Dio in modo puro.

Una terza obiezione è di natura più dogmatica e viene soprattutto dal mondo protestante: il merito sarebbe una sorta di “attentato” alla grazia; siccome il merito richiede l’idea di una giustizia, siccome il merito è ciò che viene dato per giustizia, questo risulterebbe del tutto incompatibile con il fatto che siamo nell’economia della grazia. In sostanza, in questa prospettiva, il merito e la grazia si escludono: se affermo il merito, nego la grazia; e se invece voglio affermare la grazia, devo negare un merito vero e proprio.

Dunque, queste sono le tre grandi obiezioni che vengono fatte al merito, in tre ambiti differenti. In modo diretto risponderemo la prossima domenica, perché ci servono un paio di lezioni per porre i princìpi fondamentali che poi ci permetteranno con una certa facilità di sciogliere questi problemi. Attenzione, le obiezioni non sono banali.

Dobbiamo comprendere bene che cos’è la grazia e che cos’è il merito. Ancora una volta chiediamo soccorso a san Tommaso che dedica al tema del merito la quæstio 114 della I-II della Somma Teologica, quæstio che si compone di dieci lunghi articoli. Noi oggi ne vedremo una parte, i primi tre, che danno proprio i princìpi basilari. La prossima volta concluderemo con gli altri articoli e così avremo la possibilità di sciogliere queste tre obiezioni che sono ancora molto diffuse e fanno in qualche modo arricciare il naso anche tra i cattolici quando parliamo di merito o magari creano invece un’idea del merito completamente sbagliata.

Vediamo dunque prima di tutto che cos’è un merito, da un punto di vista non teologico: che cosa si intende per merito? Il merito è una retribuzione dovuta, quindi si colloca nella sfera della giustizia, del diritto della persona, di una ricompensa che è dovuta. Se io produco qualche cosa per qualcuno, non mi viene dato un compenso per beneficenza, ma ho diritto a questo compenso. Parlare di merito significa non riferirsi alla liberalità di una persona che mi dà qualcosa, ma un vero e proprio diritto che io posso esibire; quindi siamo proprio nell’ambito della giustizia, di ciò che è dovuto. Il che implica due aspetti. Quando parliamo di diritto, vuol dire che c’è una persona che ha una responsabilità, cioè che pone liberamente degli atti a cui si risponde – da qui responsabilità – con una ricompensa; per cui, solo in senso lato, al cagnolino che ha fatto la guardia si dà in ricompensa l’osso: non è propriamente dovuto; mentre è dovuto per esempio il corrispettivo a un operaio che lavora.

Detto questo, in linea generale, su cosa intendiamo per merito, capite che si pone subito il problema-chiave: l’uomo può meritare qualcosa da Dio? Verrebbe da dire: no, su tutta la linea. Cioè, se Dio è Dio e l’uomo è l’uomo, la disparità delle parti in atto sembrerebbe dare una risposta categorica. E invece la risposta è più complessa e richiede diverse distinzioni.

San Tommaso risponde a questa domanda nell’art. 1 della quæstio 114. Tra Dio e l’uomo, ragiona san Tommaso, non c’è chiaramente rigorosa uguaglianza, anzi: Dio è Dio, appunto, e l’uomo è l’uomo. C’è una certa uguaglianza. Perché “una certa”? Perché sia Dio che l’uomo sono esseri responsabili. Cioè, hanno in modo, potremmo dire, analogo, non in modo uguale, un libero arbitrio. Però, non essendoci un’uguaglianza, un rapporto paritario, chiaramente non si può applicare al rapporto Dio-uomo una giustizia commutativa. La giustizia commutativa richiede che ci sia uno che è debitore verso qualcun altro. Ora, Dio non è mai debitore nei nostri confronti: siamo noi debitori nei confronti di Dio. Chiaramente, sotto questo punto di vista, non si può applicare il criterio della giustizia commutativa. E secondo la giustizia commutativa noi non possiamo esigere nulla da Dio.

Però c’è una certa giustizia distributiva. Ricordate la giustizia distributiva? Ne abbiamo parlato quando abbiamo fatto l’Ora di dottrina dedicata alla virtù della giustizia. Consiste in una distribuzione di beni in modo che ciascuno riceva il proprio, ciò che gli è dovuto. In che senso? Leggiamo un passo fondamentale che pone proprio il principio-chiave su cui si costruirà tutta l’argomentazione successiva, che ritroviamo nell’art. 1 di san Tommaso: «L’uomo può avere merito presso Dio solo presupponendo l’ordinazione divina, in modo che egli con la sua attività venga a ricevere da Dio a mo’ di ricompensa ciò a cui Dio stesso ha ordinato la sua facoltà operativa» (I-II, q. 114, a. 1). Cosa vuol dire? Qui i termini-chiave sono ordinazione divina e facoltà operativa dell’uomo. Che cosa ci sta dicendo san Tommaso? Ci sta dicendo che Dio ha stabilito, ha ordinato, ha posto un ordine per cui la creatura razionale, in questo caso l’essere umano, muove sé stesso ai propri atti, che è appunto il senso del libero arbitrio: l’uomo muove liberamente sé stesso a compiere una cosa piuttosto che un’altra, ad agire o non agire.

Ora, il fatto che Dio abbia posto che la creatura razionale sia principio dei propri atti, cioè muova sé stessa, vuol dire che il suo agire è un agire responsabile. E dunque, essendo responsabile, è un agire meritorio: meritevole di ricompensa o sanzione. È quello che “sperimentiamo” quotidianamente. Se io vado da una persona e le tiro un pugno sono meritevole di condanna. Se io lavoro per qualcosa sono meritevole di una paga, di essere pagato per quello che faccio, eccetera.

Detto altrimenti, la retribuzione, che avviene per il merito, quindi secondo giustizia, non è altro che ciò a cui l’uomo è stato preordinato da Dio, cioè quel dono che ci mette al livello di meritare. Ripeto: è per questo ordinamento divino, questo pre-ordine divino, per cui l’uomo agisce essendo padrone dei propri atti, e dunque responsabile, che noi abbiamo in qualche modo la possibilità di meritare. Non abbiamo la possibilità di meritare in senso assoluto. Abbiamo la possibilità di meritare, perché Dio ha ordinato le cose in questo modo, cioè che l’uomo agisca in modo libero, in modo responsabile, in modo da meritare.

Leggiamo due obiezioni a cui san Tommaso risponde nell’art. 1. Le obiezioni sono tre, ma ho scelto le due che mi sembrano più rilevanti. La prima: «Nessuno può meritare la mercede per il fatto che rende a un altro ciò che gli deve. Ora, anche il Filosofo [Aristotele] afferma che “con tutto il bene che facciamo, non possiamo mai ripagare a sufficienza ciò che dobbiamo a Dio, così da sdebitarci”. E nel Vangelo si legge: “Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare” [Lc 17,10]. Per cui l’uomo non può meritare nulla presso Dio» (ibidem). Questa è un’obiezione che san Tommaso si muove, per cui sembrerebbe che l’uomo non possa meritare nulla presso Dio.

E come risponde san Tommaso? Attenzione alla risposta che è sottile ma veramente precisa: «L’uomo merita proprio in quanto compie volontariamente ciò che deve. Altrimenti non sarebbe meritorio l’atto di giustizia con cui uno soddisfa al suo debito» (ibidem). Ora, lasciamo perdere questa seconda frase, quello che ci interessa è qui: «L’uomo merita proprio in quanto compie volontariamente ciò che deve». Chi ha stabilito questo? Dio. È proprio perché Dio ha preordinato l’uomo ad agire in modo da muovere sé stesso che l’uomo è degno di merito. Merito o demerito. Dunque, rispondere in modo conforme alla sua natura significa rispondere con merito o demerito, cosa che non succede per le creature che non sono dotate di libero arbitrio. Nessuno dà un premio alla vite perché fa l’uva, se non in senso lato, dandole un’innaffiata in più… ma si capisce che è un altro livello.

L’altra obiezione è questa: «Chi acquista un merito presso qualcuno se lo rende debitore: è un dovere infatti rendere la mercede a chi la merita. Ma Dio non è debitore verso nessuno, poiché sta scritto: “Chi gli ha dato qualcosa per primo sì che abbia a riceverne il contraccambio?” (Rm 11,35). Perciò nessuno può meritare qualcosa da Dio» (ibidem). È l’obiezione che abbiamo già detto: Dio non è debitore verso nessuno, anzi siamo noi debitori verso di Lui.

Qual è la risposta che dà san Tommaso? Attenzione: «Dato che la nostra azione ha l’aspetto di merito solo perché presuppone l’ordinazione divina, conseguentemente Dio non diviene puramente e semplicemente debitore verso di noi ma verso Sé stesso in quanto è dovuto che la sua ordinazione venga compiuta» (ibidem). Altro testo fantastico. San Tommaso qui ci sta dicendo che noi abbiamo un merito, anche nei confronti di Dio, perché si deve presupporre l’ordinazione divina. È Dio che ha stabilito così. In questo senso, Dio non è debitore verso di noi, ma è debitore verso Sé stesso perché Egli ha stabilito questo ordine delle cose per cui l’uomo agisse in modo libero, muovendo sé stesso. E dunque dice: «è dovuto che la sua ordinazione venga compiuta».

Quindi, Dio è veramente debitore verso di noi? Sì e no. Sì, se lo intendiamo in questo senso: è debitore verso di noi in quanto è debitore verso Sé stesso; Egli ha stabilito questo ordine, che l’uomo compisse le sue opere muovendo sé stesso e dunque fosse soggetto di merito o di demerito. Dall’altra parte, no, se riteniamo che Dio abbia un debito in assoluto verso di noi. Vedete dunque la sottigliezza. Qui il punto-chiave è questo: la preordinazione che Dio ha dato all’uomo.

Quanto abbiamo detto potrebbe risultare chiaro sul piano naturale: Dio ci ha dato una natura e questa natura è quella di essere il principio dei propri atti e, dunque, è la natura stessa che Dio ci ha dato, che ha preordinato in un certo modo, ad essere principio del merito naturale. Ma come la mettiamo quando parliamo della vita eterna?

Ed è quello che san Tommaso si chiede nell’art. 2: noi possiamo dire di meritare la vita eterna? La risposta è sorprendente: sì. Ma perché? Questo è il punto fondamentale da capire. San Tommaso ci dice che, analogamente a come la natura umana è principio di merito naturale, cioè sono responsabile di quello che compio, in modo da riceverne un merito o un demerito, così la grazia santificante – vi rimando alle lezioni dedicate – è essa stessa principio di merito della vita eterna. Cioè, non è la nostra natura ad essere quel principio che ci dice che possiamo meritare la vita eterna, realmente, come merito: è invece la grazia santificante quel principio. Perché? Perché la grazia santificante – come abbiamo visto – ci ordina al fine soprannaturale, crea una connaturalità, ci ordina alla beatitudine eterna, alla fruizione della vita divina. La grazia ci ordina a questo, in quanto grazia cooperante, anche questo lo abbiamo già visto. Cosa vuol dire? Vuol dire che la grazia entra in sinergia con l’atto umano, cioè la grazia suscita, guida, porta a compimento l’atto, le virtù dell’uomo, che dunque diventano virtù infuse o virtù soprannaturali. In questo senso la grazia santificante è realmente un principio di merito.

E dato lo stato decaduto dell’uomo, la nostra non è solo la situazione di una natura che senza la grazia non può essere elevata, come per Adamo ed Eva prima del peccato; la nostra è la condizione di una natura che è decaduta, dunque la grazia “ha bisogno” di fare un passaggio ulteriore. Qual è questo passaggio ulteriore per cui diventa principio di merito? È il fatto di rimuovere l’ostacolo del peccato. Perché il peccato in noi è principio di un altro merito: «Il salario del peccato è la morte» (Rm 6,23), dice san Paolo; cioè il peccato ci merita la morte eterna.

Ora, per meritare la vita eterna abbiamo bisogno dell’infusione della grazia, l’opera della giustificazione, che porta proprio a questo risultato: la remissione della colpa. Ma in entrambi i versanti, la grazia è principio di merito: questo è straordinario e già intuite quale possa essere la risposta a certe obiezioni. Cioè, proprio la grazia fonda il merito. È proprio la grazia che fa sì che i nostri atti possano meritare. Dunque, la grazia non esclude il merito. Vedete come tutto diventa coerente, armonico, e si ribalta la prospettiva “o il merito o la grazia”.

Dobbiamo sempre tenere presente in filigrana nell’Ora di dottrina di oggi e in quella della prossima volta quello che in generale, quando parliamo della grazia, san Tommaso esprime nella risposta alla terza obiezione dell’art. 2: «L’uomo non può meritare nulla presso Dio, se non per un suo dono» (I-II, q. 114, a. 2). Frase straordinaria. Il merito non è il punto di partenza; il merito è la conseguenza di un’ordinazione divina. Ma questa ordinazione divina è un dono divino: Dio ha disposto così. Quindi, l’uomo non potrebbe meritare – in questo caso stiamo parlando della vita eterna –, se Dio non avesse disposto la grazia come principio di merito, cioè la grazia che rimuove il peccato, che ci porta, ci eleva, ci ordina al fine soprannaturale e che entra in cooperazione con i nostri atti che sono realmente liberi.

E dunque la grazia e il libero arbitrio entrano in sinergia per rendere ragione del fatto che realmente possiamo meritare. Ma, di nuovo, il fatto che realmente possiamo meritare la vita eterna, qualcosa che è sproporzionato alla nostra natura – non lo potremmo meritare per natura –, è un dono della grazia, è un dono di Dio; è Dio che ha preordinato le cose in questo modo. Questo è il principio-chiave: l’uomo non può meritare nulla presso Dio se non per un suo dono. Il che significa però che, posto questo dono, l’uomo può realmente meritare.

L’ultimo articolo che trattiamo oggi è l’art. 3. Posto questo principio, per cui l’uomo non può meritare nulla presso Dio se non per un suo dono, allora si può parlare ancora strettamente di giustizia? È quello che si chiede san Tommaso nell’art. 3. Il punto-chiave della spiegazione è questo: l’opera meritoria procede dalla grazia dello Spirito Santo. «Se parliamo dell’opera meritoria in quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo, allora essa merita la vita eterna a rigore di giustizia, perché allora il valore del merito va considerato secondo la virtù dello Spirito Santo che ci conduce alla vita eterna, in base alle parole evangeliche [qui cita Gv 4,14, un testo fondamentale]: “Diventerà in lui una sorgente che zampilla per la vita eterna”» (I-II, q. 114, a. 3). Cosa sta dicendo san Tommaso citando questo testo? Ci dice che, per significare quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo, san Giovanni non usa l’immagine di un’acqua che “passa” in noi, come l’acqua che passa nel letto di un fiume, ma usa la figura della sorgente d’acqua per la vita eterna. Cioè, la grazia dello Spirito Santo non è che semplicemente porta l’acqua, irriga come farebbe un fiume, la pioggia, un impianto di irrigazione… ma suscita una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.

Quindi, cosa ci dice l’idea della sorgente? Vuol dire che è qualche cosa che emana dall’interno, sostenendo, trasformando le opere dell’uomo. Ecco perché abbiamo affermato che l’opera meritoria procede dalla grazia dello Spirito Santo. Proprio questa grazia fa sì che l’uomo diventi sorgente, cioè principio di atti meritori. Di nuovo, non c’è opposizione tra la grazia e il merito, ma è la grazia che fonda il merito. Il merito è fondato precisamente nella grazia di Dio.

Nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso commenta alcune parole della Glossa (dei commenti ai testi della Sacra Scrittura); in questo caso era un commento al testo di Rm 6,23: “La grazia di Dio è la vita eterna”. Ora, questa Glossa che cosa commenta? «Avrebbe potuto anche dire “il compenso della giustizia è la vita eterna”, ma ha preferito dire “la grazia di Dio è la vita eterna”, per farci comprendere che Dio ci conduce alla vita eterna non per i nostri meriti ma per la sua misericordia» (I-II, q. 114, a. 3). Allora uno potrebbe dire: non sono i meriti che ci portano alla vita eterna, ma è la misericordia di Dio. E san Tommaso risponde con una distinzione che ormai dovrebbe essere chiara: «Le parole della Glossa vogliono sottolineare che la prima causa che ci fa raggiungere la vita eterna è la misericordia di Dio. Mentre il nostro merito è una causa subordinata» (ibidem). E qui chiudiamo il cerchio. Che cosa abbiamo appena detto? Che la grazia fonda il merito. E il merito è tale proprio in virtù della grazia; e abbiamo spiegato perché. Ora san Tommaso dice la stessa cosa con un altro linguaggio. Ci sta dicendo che la grazia di Dio, la misericordia divina che ci concede la grazia è la prima causa: non c’è niente che causi questo, se non la benevolenza divina, la sua misericordia.

Il merito non precede la grazia. E dunque la prima grazia, come avremo modo di vedere la prossima volta, non è meritata. E tuttavia questa grazia non è come l’acqua che scorre, per cui beviamo un po’, irrighiamo un po’ e poi non ci resta più niente, ma crea in noi una sorgente che zampilla per la vita eterna. Questa grazia diventa principio di atti meritevoli, principio di merito. In questo senso, san Tommaso dice che il merito è causa subordinata. È vera causa, ma è subordinata.

Dunque, c’è veramente il merito? Sì, il merito è vera causa della vita eterna. Veramente si merita la vita eterna. Ma che veramente si meriti la vita eterna è causato dalla grazia che è la prima causa, è voluto da Dio.

Sono temi importantissimi, “caldi”, perché di nuovo rispondiamo a quel criterio fondamentale che san Tommaso ci mette davanti: non c’è una competizione tra l’azione umana e l’azione divina. E quindi non c’è un antagonismo, per cui quanto più c’è l’uno, tanto meno c’è l’altro e viceversa. Ma è esattamente il contrario. Ricordate quante volte è ritornato questo concetto, e qui ne abbiamo un’applicazione fondamentale. Non è che più c’è grazia e meno c’è merito: è esattamente il contrario, è proprio la grazia a sostenere il merito. E dunque grazia e merito non hanno un rapporto conflittuale, antagonistico, di rivalità. Ma il merito dipende dalla grazia, è causato dalla grazia di Dio che preordina le cose in un certo modo, che infonde quella grazia che sostiene il libero arbitrio, non lo annulla, non lo restringe, non lo inibisce.

La prossima volta vediamo come la grazia agisce per mezzo della carità e poi concretamente che cosa l’uomo può meritare e non meritare.



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