Il libro di Souad Sbai per capire la rivoluzione islamica dell'Iran
Mezzo secolo di involuzione a causa della rivoluzione islamica in Iran. Una prospettiva storica che risale fino ai tempi della "guerra civile" islamica per la successione a Maometto. Recensione di L'Iran dei Mullah, ultimo libro di Souad Sbai.
Cinquant'anni fa in Iran le donne, se volevano, si vestivano come a Roma e a Parigi. Andavano a scuola, il governo le incoraggiava a studiare. L’uso del velo islamico era mal visto. Già nel 1936, un anno dopo che il paese, fino ad allora noto come Persia, aveva assunto l’attuale nome di Iran, Reza Shah aveva proibito che le donne indossassero in pubblico hijab, chador e niqab, tre varianti del velo: il primo che avvolge il capo, il secondo che ricopre tutto il corpo, il terzo che nasconde anche il viso lasciando liberi soltanto gli occhi. Come già la Turchia di Mustafa Kemal Ataturk negli anni precedenti, anche l’Iran prima con Reza Shah e poi con il suo successore, Reza Pahlavi, guardava all’Occidente e tentava un processo di modernizzazione, nonostante la resistenza opposta da religiosi islamici e militanti comunisti e dalle comunità tribali.
Poi nel 1979, con la rivoluzione islamica, tutto è cambiato. L’imposizione alle donne del chador e di un abbigliamento rigorosamente prescritto è solo una delle innumerevoli regole adottate dalla teocrazia che governa da allora la repubblica islamica instaurata dagli ayatollah, intese a far sì che i musulmani iraniani, uomini e donne, seguano scrupolosamente la shari’a, la legge islamica, del tutto sottomessi alla volontà di Dio, rivelata nel Corano che è sua parola increata, secondo l’esempio del profeta Maometto tramandato dagli hadith, il racconto di ciò che il profeta ha detto e fatto nel corso della sua vita.
La rivoluzione islamica ha rappresentato una svolta drastica, radicale, non solo nella vita della popolazione, nei costumi e nel governo del paese, ma anche nelle relazioni internazionali dell’Iran. Il paese ha infatti assunto la guida del jihad sciita, direttamente e, tramite Hamas, in Israele, gli Hezbollah, in Libano, gli Houthi, in Yemen. La missione del jihad, la guerra santa, che al Qaeda e Isis conducono per l’islam sunnita, è conquistare e sottomettere tutta l’umanità all’islam, se necessario con la forza, ed è la guerra più lunga della storia umana.
Fu infatti iniziata da Maometto quando, trasferitosi a Medina nel 622, incominciò a imporre la nuova religione e a combattere e discriminare chi rifiutava di convertirsi. Cristiani ed ebrei fin dall’inizio sono stati considerati i maggiori avversari: quindi, adesso, il principale nemico da sconfiggere è l’Occidente di cui Israele costituisce una minuscola enclave, all’interno di un immenso territorio musulmano che si estende su due continenti, Africa e Asia. L’Iran, la cui popolazione è per oltre il 90% sciita (e musulmana al 98%), ha però assunto la guida anche di un altro interminabile conflitto, quello tra musulmani sciiti e sunniti divisi, a partire da quando nel 680 il quarto califfo Hussein fu ucciso a Kerbala, sulla questione di chi dovesse succedere a Maometto, morto nel 632. Oggi il primo avversario dell’Iran sotto questo profilo è l’Arabia Saudita, sunnita al 90%. Teheran e Ryadh si confrontano in Siria, Libano, Yemen, Iraq.
L’Iran infine è scenario dello scontro tra le diverse, inconciliabili concezioni dell’islam: quella di chi guarda al passato, vuole un islam immutato rispetto al VII secolo, alla generazione perfetta di Maometto, e quella di chi intende invece adattarsi alla modernità ed è perciò disposto a trasformare la propria professione di fede, senza tuttavia ritenersi blasfemo benché inevitabilmente ciò comporti non riconoscere, o non del tutto, la perfezione sovrumana e l’infallibilità del profeta Maometto. Gli iraniani che oggi si ribellano agli ayatollah e ne sfidano il potere non per questo necessariamente mettono in discussione l’islam, al contrario. Però rifiutano di essere considerati dei fedeli imperfetti, da correggere e punire solo perché, come peraltro fa la gran parte degli attuali oltre due miliardi di musulmani, ritengono di non tradire la loro fede se, nel rispetto dei suoi cinque pilastri fondamentali, la reinterpretano. La rivolta di tanti iraniani contro chi viola le loro libertà personali ha assunto dimensioni di protesta di massa soprattutto a partire dal settembre 2022, in seguito alla morte, mentre si trovava nelle mani della polizia, di Mahsa Amini, una ragazza di 23 anni arrestata a Teheran dagli agenti della polizia religiosa perché non indossava correttamente l’hijab.
Questo è l’Iran, però appena da 45 anni, in effetti una minima porzione della sua lunghissima storia. Ha tuttavia alle spalle 14 secoli di sottomissione all’islam. Per il ruolo che sta svolgendo, per la sua rilevanza nell’immediato e nel prossimo futuro nella regione medio orientale e nel mondo, conoscerlo meglio è importante, al di là della narrazione degli schieramenti politici e religiosi. Un libro appena pubblicato, L’Iran dei Mullah, fornisce un contributo essenziale per capire che cosa abbia reso possibile il successo della rivoluzione islamica, i cambiamenti che ha comportato nel paese, i progetti e le prospettive del regime degli ayatollah. Ne è autore Souad Sbai, studiosa, autrice di numerosi saggi, giornalista, docente, ex parlamentare e, dal 2021, membro dell’Osservatorio per la parità di genere del Ministero della cultura italiano.
Di Souad Sbai, “L’Iran dei Mullah”, Armando Curcio Editore, 2024