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a cura di Anna Bono
Rifugiati

Il Libano rimpatria i rifugiati siriani

Tensioni interne, ostilità crescente nei confronti dei rifugiati e una seria crisi economica inducono il governo libanese a rimpatriare i rifugiati e gli immigrati irregolari siriani

Migrazioni 04_08_2019

Anche il Libano, come la Turchia, sta rimpatriando molti rifugiati siriani. Il governo sostiene che la guerra in Siria si può dire conclusa e che gran parte del territorio siriano è sicuro. Quindi il rimpatrio dei rifugiati è del tutto legittimo dal momento che la Convenzione di Ginevra impegna a non espellere o respingere una persona in territori in cui la sua vita o la sua libertà sono minacciate. Dall’inizio di luglio sembra che siano in corso licenziamenti sommari di immigrati siriani, gran parte dei quali senza documenti. Dipendenti dell’Unhcr parlano inoltre di “ rapporti costanti di rifugiati costretti a firmare documenti di rimpatrio volontario”. I provvedimenti di licenziamento ed espulsione sono stati spiegati dal ministro del lavoro Camille Abousleiman come una normale applicazione delle leggi in materia di lavoro, miranti a favorire l’occupazione locale, soprattutto quella giovanile, e a regolare la mano d’opera straniera, cosa quanto mai necessaria dato che il paese sta attraversando una seria crisi economica. Il Libano è il paese che ospita il maggior numero di rifugiati rispetto alla popolazione: il rapporto è di uno a sei se si consideravano i rifugiati registrati e sotto mandato dell’Unhcr che, secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia Onu, sono 929.624 su una popolazione di 6,1 abitanti. Ma il numero di stranieri residenti in Libano, inclusi quelli non registrati, dovrebbe aggirarsi intorno a 1,5 milioni. L’Unhcr continua a provvedere ai bisogni di base dei rifugiati, in particolare dei più vulnerabili, con un bilancio di spesa per il 2019 di 563 milioni di dollari (463 milioni nel 2018). Il Libano finora ha fatto il possibile per garantire ai rifugiati pari accesso a istruzione scolastica, ospedali e centri sociali. Ma l’aumentata pressione su servizi e infrastrutture, la competizione degli stranieri nel mercato del lavoro e altri fattori hanno causato tensioni interne e un crescente malcontento della popolazione autoctona, sempre più ostile a profughi e immigrati.