“Il Libano è in miseria, l’incontro con il Papa dà speranza”
Molti libanesi oggi non hanno né casa né cibo, «mai avevamo visto scene simili, neppure ai tempi della guerra civile». L’economia «peggiora di giorno in giorno», l’instabilità politica e certi fanatismi religiosi non aiutano. L’incontro dell’1 luglio in Vaticano tra Francesco e i leader delle comunità cristiane libanesi «è un segno di speranza anche perché la preghiera è lo strumento più potente che abbiamo». La Bussola intervista Boulos Abdel Sater, arcivescovo maronita di Beirut.
La devastante esplosione nell’area del porto di Beirut avvenuta lo scorso 4 agosto è diventata il simbolo della gravissima crisi politica, economica e sociale che sta vivendo il Paese dei Cedri. A quasi un anno da quella tragedia che, sull’onda delle proteste popolari e delle pressioni internazionali scaturite, portò alle dimissioni dell’allora primo ministro Hassan Diab, il Libano è ancora senza un governo stabile. Incertezza politica e svalutazione monetaria hanno fatto precipitare la situazione interna e adesso un terzo della popolazione rischia di morire di fame, secondo i dati della Fao.
Nell’Angelus di domenica 30 maggio, Papa Francesco ha annunciato che l’1 luglio si incontrerà in Vaticano con i principali responsabili delle comunità cristiane libanesi per pregare insieme a loro e chiedere al Signore “il dono della pace e della stabilità”. L’iniziativa voluta dal Pontefice, che più volte ha dimostrato di avere a cuore il “caro Libano”, ha contribuito a riportare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulla repubblica mediorientale. Sofferenze, attese e speranze di una terra che a lungo è stata rifugio sicuro per i cristiani del Medio Oriente: la Nuova Bussola ne ha parlato in quest’intervista con monsignor Boulos Abdel Sater, arcivescovo maronita di Beirut.
Eccellenza, qual è la situazione, attualmente, in Libano?
La situazione economica è molto dura. Non ci sono point zero dove la gente può ottenere un pasto, così molti restano anche un intero giorno senza mangiare. Tantissimi non hanno una casa, vivono in mezzo alla strada e trascorrono la giornata in cerca di cibo. In Libano mai avevamo visto scene simili, neppure ai tempi della guerra civile. L’economia nazionale peggiora di giorno in giorno. Noi come Chiesa siamo pronti ad aiutare il nostro popolo: ci rendiamo conto che sempre più persone vivono al di sotto della soglia della povertà.
Quanto pesa l’instabilità politica?
Dal punto di vista politico abbiamo una situazione molto complicata. I leader politici provenienti da differenti comunità religiose sono detentori di prerogative personali a cui non hanno intenzione di rinunciare per il bene di tutti. Esistono anche fenomeni di fanatismo religioso che rendono tutto più problematico perché cercano di interferire negli affari interni del Paese. Il quadro è complicato, ma la preoccupazione principale attualmente è l’economia, specialmente perché i libanesi non sono abituati a questi livelli di povertà. Siamo un popolo che ama la vita e la gioia.
Papa Francesco ha annunciato un incontro di riflessione e preghiera per la pace in Libano che si terrà in Vaticano l’1 luglio. Che cosa si aspetta da quest’evento?
È un segno di speranza per cristiani libanesi perché non ci sentiamo soli nella nostra crisi, ma abbiamo il Papa e tutta la Chiesa con noi. È un segno di speranza anche perché la preghiera è lo strumento più potente che abbiamo e sono sicuro che il Signore ci regalerà molti doni da questo incontro. Ci consentirà di avere abbastanza fede e saggezza per affrontare meglio la crisi in corso e magari trovare soluzioni più facilmente.
Poi c’è da dire che vedere tutti i responsabili delle comunità cristiane riunirsi per discutere e pregare insieme è qualcosa di cui avevamo davvero bisogno. Non sono, infatti, soltanto leader spirituali ma anche politici. Metterli insieme a pregare e riflettere è ciò che serviva perché la divisione tra gruppi cristiani è uno dei problemi del Libano. Sono molto fiducioso che quest’incontro a Roma avrà effetti positivi sulla popolazione cristiana libanese. Spero che, una volta tornati, i responsabili continueranno ad incontrarsi e pregare insieme anche qui.
Di ritorno dall’Iraq, Papa Francesco ha svelato di voler visitare il Libano. Quando pensa che potrebbe realizzarsi un viaggio apostolico?
Spero che succeda il prima possibile perché i cristiani libanesi hanno bisogno della presenza di Sua Santità. Avere il Papa qui darebbe grande forza all’intera comunità cristiana, trasmettendole un messaggio di amore, di speranza e di unità. Credo, comunque, che la realizzazione del viaggio dipenda dalle circostanze in cui si troverà il Libano nel futuro prossimo.
L’esplosione del 4 agosto ha provocato i danni maggiori in zone abitate da cristiani. Teme che ci sarà un’ulteriore riduzione della presenza cristiana, dopo quella già avvenuta durante la guerra civile?
È ciò che sta già avvenendo. I danni della distruzione non possono essere riparati in un anno o due. Le organizzazioni della Chiesa hanno provato a fare di tutto per aiutare la gente a non andare via. Ma moltissimi stanno partendo e non solo a Beirut! L’esplosione, infatti, ha lasciato un senso di insicurezza in tutto il Paese. I giovani, in particolare, vogliono certezze per il proprio futuro e, se non riescono a trovarlo qui, preferiscono cercarlo all’estero. Questo è stato il doppio risultato negativo della tragedia di quasi un anno fa sui cristiani libanesi (e non solo): c’è chi se ne va perché ha perso la casa e chi lo fa per il senso di insicurezza.
Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per aiutare il Libano?
Ci vorrebbe un piano Marshall su modello di quello attuato dagli Stati Uniti per la ripresa dell’Europa nel secondo dopoguerra. Solo questo può aiutare il Paese ad uscire dalle difficoltà e a sopravvivere. Non sarebbe giusto punire la popolazione per gli errori dei politici corrotti, a maggior ragione se questi politici, in molti casi, sono stati appoggiati in passato da potenze straniere. Loro sanno chi è corrotto e chi no: se vogliono aiutare concretamente il Libano, lo facciano spingendoli a farsi da parte per il bene del Paese.
Continua ad avere speranza per la sua terra?
Non potrei fare a meno, sono un vescovo maronita: il radicamento nei valori profondi del Cristianesimo ci ha consentito di sopportare persecuzioni e continuare a testimoniare la fede in Medio Oriente. Continueremo a professare la fede nel Signore anche nella sofferenza, ma rimarremo in quella che è la terra dei nostri padri. Come diceva San Giovanni Paolo II, il Libano rappresenta qualcosa di più di uno Stato, il Libano è un messaggio di libertà.