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PAROLA DI MINISTRO

Il governo non uscirà dallo stallo della scuola

Non si può parlare di parità in un governo che vede il M5S su posizioni centraliste. Perciò, intervenendo al Meeting di Rimini, il ministro dell'Istruzione Bussetti ha confermato che l'impostazione della riforma Gentile, di quasi un secolo fa, è intoccabile. L'unica cosa che ha promesso è la revisione della legge sulla “Buona Scuola”, ossia l'ennesimo cambiamento del reperimento di docenti.

Editoriali 23_08_2018

Fare il Ministro dell’Istruzione, in Italia, non è mai stato un compito semplice e non è certamente la strada più agevole per gareggiare in popolarità: problemi enormi da gestire, scarsi margini di manovra, molti pomodori in faccia da tutti i fronti…

Men che meno deve esserlo se il ministro in questione rappresenta una coalizione di governo nella quale dimorano concezioni sulla scuola e l’educazione quasi antitetiche: da una parte la Lega, che si dice favorevole alla parità e all’autonomia scolastica, dall’altro il M5S che, sin dagli albori della sua comparsa sulla scena politica, ha presentato programmi sulla scuola molto simili a quelli di Rifondazione Comunista, improntati ad un forte statalismo e fortemente avversi ad ogni forma di finanziamento alle scuole “private”.

È proprio questa la scomoda posizione del Ministro Bussetti, che come molti dei suoi predecessori è stato invitato a parlare al Meeting 2018 per l’amicizia fra i popoli di Rimini, di fronte a una numerosa platea che tradizionalmente ha molto a cuore il tema dell’educazione e dell’istruzione. Il suo intervento fa seguito a un dibattito abbastanza acceso che, durante i mesi di luglio e agosto, è stato presente sulle colonne di alcune testate giornalistiche specializzate e non, suscitato proprio da dichiarazioni e interviste da lui rilasciate. 

Leggendole, si capisce quanto debba essere difficile –soprattutto nella sua posizione- trovare la quadratura del cerchio. Sul tema delle scuole paritarie, in particolare, convergono le opposte pressioni dei due schieramenti politici che sono insieme al governo. Solo un paio di esempi: «All’ordine del giorno – aveva detto il Ministro ad Avvenire nei primi giorni di luglio – non ci sono interventi o modifiche sulla questione delle scuole paritarie», per poi correggere il tiro, alcuni giorni dopo, affermando che sui finanziamenti «...è mia intenzione rivedere il meccanismo, in maniera proporzionale alla retta, basandoci sulla qualità del servizio». 

Sul costo standard (“quota capitaria” spettante all’alunno e alle famiglie, che lo assegnano alla scuola prescelta, statale o paritaria), dopo le iniziali aperture, cui hanno immediatamente fatto seguito commenti negativi da parte di esponenti del M5S e dei soliti irriducibili sindacalisti, è arrivato l’annuncio di un probabile congelamento della commissione di studio istituita dal precedente ministro Valeria Fedeli. 

Cosa ha detto dunque il ministro al popolo del Meeting? Non molto, verrebbe da dire, e in ogni caso non buone notizie per le scuole paritarie. Ne ha ribadito l’apprezzamento e l’importanza all’interno del sistema nazionale di istruzione, ma ha confermato che le risorse ad esse devolute dallo Stato «non saranno più un finanziamento, ma un sostegno, un aiuto che dovrà andare a chi effettivamente produce un’ottima qualità dal punto di vista formativo» (si preparano tempi duri per la libertà di educazione, perché oltre al prevedibile calo delle risorse, sarà ancora una volta lo Stato a decidere chi ha diritto di vivere e chi no, invece di lasciare il giudizio e la scelta alle famiglie); ha riconosciuto i problemi che la legge 107 (la cosiddetta “Buona Scuola”) ha prodotto per quanto riguarda il reperimento di docenti abilitati per le paritarie e dichiarato di voler provvedere rapidamente a risolvere la situazione.

La sensazione dominante, tuttavia, è quella di una impostazione pragmatista fortemente centralistica e statalista e che non si voglia o non si riesca a riconoscere la drammaticità della situazione della scuola italiana, premessa indispensabile per un deciso cambio di rotta. Dalla riforma Gentile in poi, varata quasi un secolo fa, sono stati fatti numerosissimi interventi di maquillage, ma la qualità è andata progressivamente declinando e oggi, possiamo dire, abbiamo l’impressione di essere vicini a un punto di non ritorno. Dalle parole del Ministro esce invece l’immagine di una scuola che certamente ha bisogno di qualche correttivo ma che tutto sommato funziona.

Se davvero il Ministro Bussetti, come ha dichiarato, ha davvero a cuore l’educazione/formazione delle nuove generazioni e la qualità della scuola italiana, metta seriamente mano alla madre di tutte le riforme: una vera e completa autonomia scolastica, che in Italia invece è ancora poco più che flatus vocis. Non una autonomia di negoziazione, come ha detto oggi, ma autonomia gestionale ed economica, di arruolamento del personale, di orientamento pedagogico e didattico, con forte riferimento al territorio di appartenenza. Si potrebbe partire con un progetto pilota comprendente un nucleo limitato di scuole statali e paritarie, per poi estendere progressivamente la sperimentazione a tutto il sistema. Per realizzarla, a regime, sarebbe molto utile introdurre la quota capitaria, pertanto bisognerebbe dare un forte impulso alla commissione di studio recentemente istituita. Probabilmente, però, tutto questo resterà ancora nel libro dei sogni.