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IL RICORDO

Il giornalista Navarro Valls, autorevolezza e fiducia

Alla base del successo del lavoro di Joaquin Navarro Valls c'era l’autorevolezza che si nutre della ragionevole fiducia che ispirava ai colleghi giornalisti suoi interlocutori. La comunicazione non era un intreccio di manipolazioni e astuzie. Era l’applicazione delle virtù cristiane al proprium del giornalismo.

Ecclesia 09_07_2017
Joaquin Navarro Valls, scomparso a 80 anni

All’unanime cordoglio per la morte di  Joaquín Navarro Valls, dal 1984 al 2006 direttore della Sala Stampa della Santa Sede e portavoce del Papa, indimenticabile per il modo con cui seppe interpretare l’incarico datogli da Giovanni Paolo II (che poi fino al luglio 2006 continuò anche con Benedetto XVI),  vorrei aggiungere di mio una testimonianza personale.

Negli anni ’90 ebbi infatti l’occasione di partecipare a un seminario ristretto nel corso del quale Navarro spiegò, discutendone poi con i presenti, a quali criteri ispirava il suo lavoro di portavoce di Giovanni Paolo II. In una sala di riunione della sede di Lugano-Besso della Radio della Svizzera italiana eravamo  meno di venti persone, giornalisti ticinesi o comunque come me editorialisti di  giornali ticinesi.

In occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, l’allora vescovo di Lugano, il compianto mons. Eugenio Corecco,  amico e stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, aveva avuto il grande privilegio di poter contare sulla presenza in Ticino del già famosissimo portavoce. Fu un’occasione straordinaria  per tutti noi, ma in particolare per me che tra l’altro - sia pure per una sola settimana all’anno e ovviamente ben più in piccolo – avevo un incarico per molti aspetti analogo, quello cioè di portavoce del Meeting di Rimini, che lo stesso don Luigi Giussani mi aveva chiesto di assumere nel 1989 e che poi ricoprii fino al 2005.

Quel pomeriggio imparai molte cose di cui da allora in poi cercai di fare tesoro. Fondamentale, ci disse Navarro, era creare un clima di fiducia con i colleghi. Corrispondenti e inviati dovevano avere la certezza di poter avere tutti quanti tempestivamente tutte le vere notizie che era doveroso rendere pubbliche. Tanto più nel caso di un Papa, che è anche sacerdote, spiegò, può darsi che alcune notizie debbano restare riservate. I colleghi devono però essere certi che quanto si comunica pubblicamente è vero; ciò detto si può anche aggiungere, perché ciò sia noto, che di qualcosa che è stato detto non si dà notizia. Nei casi poi in cui ad esempio il contenuto di un certo colloquio non può venire reso pubblico, allora occorre dare notizia del clima umano in cui esso è avvenuto, e dettagli sulle circostanze e sui modi dell’incontro; occorre dare insomma tutte le notizie possibili.

In linea di principio occorre poi dire tutto per primi, anche se si tratta di questioni complesse e delicate, cercando in tutta la misura del possibile di evitare di dover poi intervenire a posteriori con smentite, chiarimenti e precisazioni. Non si devono dare a qualcuno notizie che ad altri non si danno o si danno successivamente. Così facendo si farebbe venir meno il clima di fiducia di cui si diceva e si stimolerebbero competizioni controproducenti fra i vari corrispondenti e inviati. E’ più giusto che tutti quanti possano avere senza difficoltà tutto il materiale su cui lavorare senza perdere troppo tempo per cercarselo o peggio ancora per rubarselo gli uni con gli altri.   

Da quanto Navarro spiegò in quel seminario si capì poi qualcosa che egli non disse, ma che evidentemente stava alla base del successo del suo lavoro: un portavoce è tanto più efficace quanto più è autorevole; e di un’autorevolezza che si nutre della ragionevole fiducia che egli ispira ai colleghi giornalisti suoi interlocutori. Per lui insomma la comunicazione non era un intreccio di manipolazioni e di astuzie, come purtroppo spesso accade, ma nemmeno una comunicazione inesperta e timida. Era l’applicazione delle virtù cristiane al proprium del giornalismo.