Il futuro che incombe su di noi
Da una parte c’è il mondo di chi era lieto della vita, aveva interessi, valori, capacità di sacrificio e di dedizione, che rappresentano una delle caratteristiche fondamentali del nostro popolo. Dall’altra è il mondo nero, senza colori. Abiti che intristiscono e imprigionano la persona, occhi bassi: ridotte in schiavitù.
Ho sempre avuto e ho una grande ammirazione per il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, perché in molte occasioni è intervenuto su questioni di carattere culturale e sociale, parlando innanzitutto da italiano prima ancora che da cattolico o da arcivescovo. Non per niente il sottotitolo della sua straordinaria autobiografia è “Confessioni di un italiano cardinale”.
Con lo stesso spirito intendo intervenire sulla vicenda delle due giovani volontarie italiane rapite in Siria di cui abbiamo visto l’immagine in questi giorni. È un intervento dettato fondamentalmente dalla preoccupazione di richiamare a tutti i nostri concittadini un evento che mi sembra decisamente emblematico di quello che sta accadendo o che può accadere nella nostra disattenzione, piaggeria, ipocrisia.
Il confronto tra la fotografia delle due volontarie prima della partenza per la Siria e quella resa pubblica in questi giorni è devastante. Sono due mondi assolutamente diversi. Da una parte c’è il mondo di chi era lieto della vita, aveva interessi, valori, capacità di sacrificio e di dedizione, emanava quel sano gusto dell’esistenza e dell’impresa, del tentare, del sacrificarsi, che rappresentano una delle caratteristiche antropologiche fondamentali del nostro popolo. Un popolo che è capace di grandi cose nello spazio dei rapporti personali, familiari e sociali, come dimostra quella dedizione che vediamo tutti i giorni prodigata nei confronti di quanti arrivano sulle nostre coste, sbattuti o strumentalizzati da una perversa politica alleata dello scafismo.
Dall’altra è il mondo nero, senza colori. Abiti che intristiscono e imprigionano la persona, occhi bassi, apparentemente nessuna reazione, personalità sfuggenti o forse già sfuggite al grande quotidiano interesse della vita. Cioè ridotte in schiavitù. E ritorna quel sentimento che per secoli il nostro popolo ha provato nei confronti della minaccia che appariva inesorabile a scadenze fisse, da parte di questo mondo islamico che voleva la sottomissione fisica, morale, politica di quelli che razziava e portava a morire; a vivere e a morire senza storie e senza dignità nella schiavitù delle grandi città islamiche.
I nostri concittadini dovrebbero guardare con attenzione la prima foto e quest'ultima e lodevolmente molti direttori di giornali le hanno pubblicate appaiate. Sulla nostra società incombe la possibilità della riduzione, della distruzione dei valori fondamentali su cui abbiamo giocato la nostra esistenza, personale e di popolo. Per questa volontà di vivere bene, per questa gioiosità dell’esistenza, per questa serietà di rapporti, per questa capacità di dedizione, per questa volontà di ricerca, per questo desiderio di partecipare in maniera creativa al bene comune della società.
Questa è la ricchezza della nostra tradizione occidentale, in particolare della nostra tradizione italiana. Bene lo aveva intravisto, anzi bene lo aveva conosciuto e se ne ne era fatto più di una volta portatore il papa emerito Benedetto XVI, soprattutto in quel formidabile discorso alla Chiesa italiana tenuto a Verona nel 2006 (clicca qui).
Dall’altra parte c’è stata una società a senso unico, unificata negli abiti, nei costumi, unificata da quello sguardo sfuggente perché è lo sguardo di chi ha paura: incombe il nemico-padrone che afferma il suo potere su di noi.
Ci pensino bene soprattutto i giovani abituati, addirittura in modo scriteriato, a una libertà di vita, di costumi, di divertimenti, di abitazioni. Ci pensino bene. In un certo contesto finirà presto tutta questa libertà di espressione e comincerà il rigore della prigione, una società fatta prigione come aveva intuito in maniera formidabile Vasilij Grossman in alcune pagine del suo capolavoro “Vita e destino”.
Non ditemi: eh, quante osservazioni sul confronto tra due fotografie. Ci sono nella vita di una persona, così come di un popolo, dei fatti emblematici: ebbene, il confronto tra queste due fotografie è un fatto emblematico. È meglio che nessuno tenti di voltarsi dall’altra parte perché questo confronto ci perseguiterà: non per i prossimi giorni, ma certamente per i prossimi anni.