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ANTISEMITISMO IN FRANCIA

Il fallimento dell'integrazione per assimilazione

Sono all'ordine del giorno gli episodi di antisemitismo in Francia in una crescente tensione tra gruppi musulmani e le comunità ebraiche. Colpa di una controsocietà che non si integra. E' il risultato fallimentare del modello di integrazione assimilazionista, basato sulla perdita delle caratteristiche culturali e religiose dell'immigrato, al fine di potersi meglio adattare ai canoni del paese ospitante. Un monito anche per l'Europa che sta adottando questo modello. 

Editoriali 02_08_2018

Sono all'ordine del giorno gli episodi di antisemitismo in Francia, l'ultimo dei quali riguarda la sinagoga di Havre, imbrattata nella notte tra venerdì e sabato scorso da scritte anti-Israele e da bandierine palestinesi, francesi e libanesi. Ultima notizia della serie di numerosi atti vandalici e aggressioni, avvenuti in Francia nell'ultimo periodo, a danno della comunità ebraica. Una comunità che riceve in media il 40% degli attacchi di odio, pur costituendo solo l'1% della popolazione francese.

In molti casi, come l'omicidio di Mireille Knoll nel marzo di quest'anno e quello di Sarah Halimi nell'aprile 2017 al grido di “Allah akbar”, la componente religiosa della vittima e del colpevole sembra non essere completamente irrilevante. Anzi, vi è in Francia – e più i generale in Europa – una crescente tensione tra certi gruppi musulmani e le comunità ebraiche, inaspriti sicuramente dalla guerra sempre in corso tra Israele e Palestina e da una propaganda mossa ormai da diversi fronti, che non fa altro che gettare benzina sul fuoco, ma non solo. Sarebbe da ingenui credere che le ragioni di questi episodi di violenza riguardino solo ed esclusivamente la politica mediorientale. 

Secondo un rapporto del Ministero dell'Interno francese datato 31 gennaio 2018, che riporta i dati degli atti razzisti, antisemiti, antimusulmani e anticristiani nel corso del 2017, tali episodi sarebbero numericamente in diminuzione rispetto agli anni precedenti, ma molto più violenti, e sebbene la religione più colpita sia sicuramente quella cristiana, con 878 attentati ai suoi luoghi di culto, nessuna delle comunità religiose e culturali pare essere risparmiata.

Georges Bensoussan, storico francese di origine ebraica, riferendosi all'antisemitismo islamico in Francia, e in generale alle problematiche di integrazione delle seconde e terze generazioni nel Paese, parla di “una controsocietà che non si integra”. Ma come è possibile che proprio una delle nazioni più multietniche e laiche dell'Occidente si ritrovi a vedere il fallimento non solo del suo processo di integrazione, ma anche del suo storico laicismo?

Pare che il crescente antisemitismo francese e i noti problemi legati alle seconde generazioni delle banlieues parisiennes abbiano un'origine comune: un modello di integrazione sbagliato.

Come è noto, la Francia laica ha adottato un modello di integrazione, quello assimilazionista, basato sulla perdita delle caratteristiche culturali e religiose dell'immigrato, al fine di potersi meglio adattare ai canoni del paese ospitante. Un processo che ha mostrato ben presto la sua fallacia, in modo sempre più evidente con il passare degli anni (a riprova del fatto che i tratti culturali e la necessità di costruire la propria identità secondo le proprie radici non possano essere soffocati nell'intervallo di una o due generazioni), soprattutto per quanto riguarda l'integrazione di un gruppo, quello arabo-islamico, in cui la fede religiosa è il tratto distintivo principale e irrinunciabile.

Ecco quindi la domanda a cui la Francia assimilazionista – e con lei l'Europa intera -  dovrebbe porsi: come si può ridurre la religione solamente ad un fatto privato, illudendosi di integrare laicamente una cultura la cui religione è un fatto pubblico e predominante?

La progressiva e fisiologica ribellione alla sistematica soppressione della componente culturale e religiosa, che nel caso ebraico-cristiano è maggiormente tollerata perché diverso è anche il modo di concepire e vivere la religiosità e la laicità, prima o poi sfocia inevitabilmente in un diffuso malessere. L'incapacità (o la non-volontà) di affrontare tale delicata situazione, si traduce in quel clima di tensione e di odio che oggi la Francia si trova a dover gestire.