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REALTÀ VS IDEOLOGIA

Il fallimento della Santa Sede in Cina

Le nuove misure sul personale religioso che entreranno in vigore il prossimo 1 maggio dettano le modalità della nomina dei vescovi cattolici ignorando totalmente l'accordo con la Santa Sede recentemente rinnovato. Ulteriore conferma del fallimento della politica vaticana, gravissima macchia di questo pontificato che mette in discussione lo stesso concetto di fedeltà alla Chiesa.

Editoriali 18_02_2021 English Español

Si chiama “Misure amministrative per il personale religioso”, entrerà in vigore il 1° maggio e si tratta di un provvedimento con nuove disposizioni che soffocano ulteriormente le cinque religioni riconosciute in Cina (cattolicesimo, protestantesimo, islam, buddhismo, taoismo). Ma la questione interessante per la Chiesa cattolica è che le disposizioni che riguardano i vescovi ignorano totalmente l’accordo sino-vaticano siglato nel settembre 2018 e rinnovato il 22 ottobre 2020.

Il documento è stato reso noto nei giorni scorsi (c’è anche una traduzione integrale in inglese): l’obiettivo di tali misure è chiaramente quello di inasprire il controllo delle religioni, attraverso la creazione di un complicato database su cui devono registrarsi i ministri del culto delle diverse religioni. Chi non è registrato – e non ha quindi giurato fedeltà al Partito Comunista e non intende piegarsi alla sinizzazione della religione – non può più qualificarsi come sacerdote pena pesanti sanzioni pecuniarie e detentive. Il database è una vera e propria schedatura che sarà sempre aggiornato sulla situazione dei singoli iscritti.
Dice l’articolo 3 che per poter esercitare la funzione religiosa si deve «amare la madrepatria, sostenere la leadership del Partito comunista cinese, sostenere il sistema socialista, rispettare la Costituzione, le leggi, i regolamenti e le regole, praticare i valori fondamentali del socialismo, aderire al principio di indipendenza e autogestione della religione e aderire alla politica religiosa della Cina, mantenendo l'unità nazionale, l'unità etnica, l'armonia religiosa e la stabilità sociale».

Ma l’articolo più interessante per noi è il no. 16, che si riferisce alle modalità di nomina dei vescovi cattolici, che è anche l’oggetto dell’accordo sino-vaticano. Ebbene il nuovo regolamento prevede che i vescovi siano eletti attraverso l’Associazione patriottica dei cattolici (controllata dal Partito Comunista Cinese) e ratificati dalla Conferenza episcopale cinese (anche questa controllata dal Partito Comunista). Nessun riferimento al Papa o all’accordo del 2018.

Il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha sempre difeso a spada tratta l’accordo con le autorità cinesi – che resta inspiegabilmente segreto – sostenendo che per la nomina dei vescovi è riconosciuto il ruolo del Papa, anche se non è mai stato spiegato esattamente in che misura. E lo stesso papa Francesco lo scorso 8 febbraio, nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, è tornato a difendere l’accordo con il governo cinese inserendolo tra «gli accordi internazionali che permettono di approfondire i legami di fiducia reciproca e consentono alla Chiesa di cooperare con maggior efficacia al benessere spirituale e sociale» dei rispettivi paesi. «Si tratta – aveva detto il Papa - di un’intesa di carattere essenzialmente pastorale e la Santa Sede auspica che il cammino intrapreso prosegua, in spirito di rispetto e di fiducia reciproca, contribuendo ulteriormente alla soluzione delle questioni di comune interesse».

La Santa Sede, insomma, si ostina a esaltare non meglio specificati risultati positivi mentre la realtà dimostra esattamente il contrario. Da quando gli accordi sono stati firmati nel 2018 la persecuzione contro i cattolici si è ulteriormente intensificata e la situazione è peggiorata sia per chi segue la Chiesa ufficiale sia per la Chiesa clandestina, ora abbandonata al suo destino anche dalla Santa Sede. E il governo – come ha ricordato il cardinale Joseph Zen alla Bussola lo scorso ottobre – usa l’accordo con la Santa Sede «come un suo strumento. A chi resiste, il regime risponde: ‘anche il Papa è d’accordo’, anche se la Santa Sede sconfessa. Per chi è nella chiesa clandestina la situazione è ancora più grave. Adesso non ci sono più loro chiese perché ‘anche il Papa è d’accordo’ quindi non si chiude più un occhio su chi celebra messe clandestine. I preti stessi sono tornati alle catacombe».

Queste nuove misure amministrative sono l’ulteriore conferma dell’atteggiamento sprezzante del regime comunista cinese nei confronti della Chiesa, ma anche la conferma di una politica fallimentare da parte della Santa Sede, che di fronte a quanto accade fa finta di nulla ed evita qualsiasi presa di posizione.

L’abbandono dei cattolici cinesi, che pure per decenni hanno pagato con il martirio la loro fedeltà alla Chiesa, è una macchia gravissima di questo pontificato e della sua diplomazia e non riguarda soltanto la Cina. Perché nei fatti – se non nelle intenzioni - cambia il significato stesso di fedeltà alla Chiesa, riducendola a un fatto politico, con il sacrificio della verità sull’altare del dialogo tra istituzioni.