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LIBIA

Il dopo Gheddafi? Caos tribale alle porte d'Italia

Karim Mezran, di origine libica, insegna Studi mediorientali alla Johns Hopkins di Bologna: «Se salta anche l'Arabia Saudita è l'inizio della fine».
- Gheddafi dal bunker: «In piazza i criminali di Al Qaeda»

Attualità 24_02_2011
Karim Mezran

 

Karim Mezran dirige a Roma il Centro Studi Americani e insegna Studi mediorientali alla Johns Hopkins University di Bologna. È autore di diversi volumi sugli scenari geopolitici mondiali e in specie islamici, il più recente dei quali è I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo (Utet, Torino 2010). Mazram il mondo nordafricano lo conosce bene e da anni lo segue con attenzione, non fosse altro perché è proprio di origini libica. «Però, sì, debbo confessarlo: l’esplosione della Libia mi ha sorpreso, davvero non me l’aspettavo. E così è successo a molti altri colleghi analisti».

Quindi non crede all’effetto domino delle “piazze” arabe che una dopo l’altra si avvicendano nella contestazione di regimi scarsamente democratici al potere da troppi decenni?
La prima cosa che mi viene da chiedermi è come mai tutto stia accadendo simultaneamente oggi e non sia successo 10, 15 o 20 anni fa. Stante che non ho la risposta, nutro però forti dubbi sul fatto che la situazione si spieghi semplicisticamente dicendo che siccome i tunisini ci hanno provato ed è andata bene, allora gli egiziani si sono galvanizzati, e poi sono venuti, in forme assai diverse l’una dall’altra, il Bahrein, lo Yemen, qualche timida sortita in Arabia Saudita e in Giordania, e quindi l’Iran e la Libia. Quel che accade ora in Libia, del resto, è assolutamente diverso…

Sta suggerendo che vi sia una regia?
Non posso escluderlo, ma al contempo non saprei fare nomi. Di fatto non credo però all’idea del “contagio” via Facebook, Twitter o Internet. Sono stati fattori decisivi, ma non scatenanti.

Suona complottista…
Infatti. Per questo mi fermo qui. Non voglio fare affermazioni che non posso documentare, né gonfiare quelle che restano sensazioni. E però sarebbe sciocco cavarsela con un po’ di facile retorica su “democrazia”, “rivoluzione”, “popolo”…

Però di burattinai non se ne vedono, si vedono solo le “piazze”…
Va bene, ma vogliamo continuare a credere a Babbo Natale? Colpisce il fatto che tutta l’attenzione si sia concentra sulle rivolte, ma che pochi s’interroghino sullo loro esito. Mi spiego. In Tunisia hanno cacciato Zine El Abidine Ben Ali, va bene: ma ora chi governa? E in Egitto? Di fatto sono al potere le vecchie nomeklature semplicemente spogliate dall’autocrate di turno. Durerà?

Concentramoci sulla sua Libia…
Una catastrofe, la situazione potrebbe degenerare prestissimo in una catastrofe. Di fatto la Libia non ha istituzioni, se non quelle impiantate a forza dalla rivoluzione del 1969. Le quali però non hanno mai attecchito veramente. Via quelle, il Paese è solo un coacervo di tribù, clan e potentati divisi e litigiosi. L’anarchia più totale. Il futuro? La prima ipotesi è che il regime di Muhammar Gheddafi tenga, magari anche spietatamente, ma tenga. Tutto tornerebbe, dopo un certo periodo, più o meno allo status quo ante. Il secondo scenario è invece il crollo del regime. Il Paese sprofonderebbe del caos, privo di forze egemoni, preda di bande contrapposte, di lotte intestine, di signori della guerra… Un buco nero al centro del Mediterraneo, che tutto rischia d’inghiottire.

Alle porte dell’Occidente…
A un’ora e mezza di volo dall’Italia. Chi controllerebbe il petrolio? Con chi ci rapporteremmo a livello politico?

Più qualche centinaia di migliaia di nuovi immigrati…
Un problema che può diventare un incubo, ma che non potrà mai essere solo italiano. Se tutto crolla, se la Libia diventa la nuova Somalia alle porte del nostro mondo il problema dev’essere dalla comunità internazionale tutta, delle Nazioni Unite, dell’Alto Commissariato per i Rifugiati.

Gheddafi sembra comunque forte. Davvero il regime rischia il tracollo?
Se sono vere solo la metà delle informazioni che giungono dalla Libia, accadrà. E nel bailamme tribale s’insinueranno anche i fondamentalisti islamici. Guardi, io non sono un islamofobo e ho sempre sostenuto che organizzazioni come i Fratelli Musulmani, avendo dato prova concreta di credibilità, debbono partecipare alla gestione democratica dell’Egitto. Ma nella Libia post-Gheddafi non ci sarebbe gente così: il modello sarebbe quello talebano. Da circa dieci anni sono cresciuti gruppi e  gruppuscoli islamisti: è successo perché in assenza di una possibilità politica alternativa al regime lo jihadismo è diventato per molti una sorta di “bene rifugio”.

Come giudica l’atteggiamento degli Stati Uniti di fronte alle rivolte arabe?
Mi auguro che l’attendismo di Washington non sia impasse, ma ponderazione. Certo è che la “Dottrina Obama” è quella di stare comunque sempre con la “piazza”, scaricando apertamente gli autocrati.

Niente più “interesse nazionale”?
Se la rivolta araba dovesse arrivare a Riad credo che gli Stati Uniti invierebbero subito sino all’ultimo uomo disponibile. Non possono permettersi il lusso di lasciar saltare l’Arabia Saudita, sarebbe l’inizio della fine.