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ELEZIONI USA

Il discorso di Kamala Harris: molto fumo contro Trump e poca sostanza

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Kamala Harris ha tenuto un discorso che i titolisti hanno subito definito "storico" perché è la prima donna di colore candidata presidente. Ma i contenuti sono vaghi, a parte la lunga arringa contro Trump. Kamala è finora solo una candidata virtuale costruita dai Democratici: non è nemmeno mai stata intervistata da quando è candidata. 

- Democratici pro-life emarginati nel partito di Luca Volontè

Esteri 24_08_2024
Kamala Harris a Chicago (La Presse)

Il discorso più importante della sua carriera. Questa è la definizione che Kamala Harris ha dato del discorso di accettazione della candidatura alla Casa Bianca, giovedì 22 agosto, alla Convention Nazionale Democratica a Chicago. Un discorso che i titolisti, non solo italiani, si sono affrettati a definire “storico”, perché segna l’inizio della corsa della prima candidata alla presidenza che è sia donna che di colore.

Il biglietto da visita di un presidente è la storia personale e famigliare. Un modo classico per rompere il ghiaccio con i militanti e gli elettori è quello di parlare di sé, della propria famiglia e delle proprie origini. La Harris lo ha fatto all’inizio del discorso e ha presentato una famiglia “allargata”, quasi alla Murgia. Infatti, dopo aver tessuto le lodi della madre indiana Shyamala che “ha attraversato il mondo” per realizzare il suo sogno di ricercatrice medica in America, «l'armonia tra i miei genitori non durò. Quando frequentavo la scuola elementare, si separarono e fu soprattutto mia madre a crescerci». Ma anche: «Mia madre lavorava a lungo e, come molti genitori che lavorano, si appoggiava a una cerchia fidata per aiutarci a crescere. La signora Shelton, che gestiva l’asilo nido sotto di noi e divenne una seconda madre. Zio Sherman, zia Mary, zio Freddy e zia Chris. Nessuno di loro era parente di sangue. Ma tutti parenti per amore».

Già con questo biglietto da visita, la Harris si presenta ad un elettorato che è socialmente molto diverso dall’America che siamo abituati a vedere. Da quando la Harris è nata, negli anni Sessanta, ad oggi, le coppie sposate con figli sono calate dal 44% al 18% della popolazione statunitense. Quella di oggi è una nazione di single che nello stesso arco di tempo sono passati dal 13% al 29%. È soprattutto a loro che la Harris si rivolge per cercare consensi. Le sue parole d’ordine sono “diritti civili” e soprattutto “aborto”. I diritti civili sono una causa storica, ma ormai sono diventati sinonimo di diritti sessuali e riproduttivi. Che Trump, a suo dire, vorrebbe eliminare del tutto.

A Trump, la Harris dedica quasi la metà del discorso. E la BBC, che non passa certo per essere un’emittente di destra, ha individuato varie bufale della Harris. Il programma repubblicano non coincide con il “Progetto 2025” della Heritage Foundation, think tank conservatore. Trump non ha intenzione di vietare l’aborto su scala nazionale, cosa su cui rischia, anzi, di incrinare i rapporti con il popolo pro-life. Il candidato repubblicano non ha intenzione di abolire Medicare (il programma sanitario per i non abbienti) e la Social Security (il sistema pensionistico), né ha intenzione di abolire il Dipartimento dell’Istruzione. Non è neppure corretto affermare, come ha fatto la Harris, che Trump voglia uscire dalla Nato: lo ha detto nella sua campagna elettorale delle primarie, ma appena diventato candidato presidente ha smentito (o ha cambiato idea) e assicura che gli Usa resteranno “nella Nato al 100%”. Purché gli alleati europei contribuiscano di più alle spese.

Tuttavia, oltre alle critiche a Trump, la Harris non è chiara sulle sue proposte. La parte del discorso sulle sue proposte economiche è incredibilmente vaga, con formule retoriche tipo « Un’economia delle opportunità in cui tutti abbiano la possibilità di competere e di avere successo. Sia che si viva in una zona rurale, in un piccolo paese o in una grande città». Oppure: «Garantiremo l'accesso al capitale ai proprietari di piccole imprese, agli imprenditori e ai fondatori. Metteremo fine alla carenza di alloggi in America e proteggeremo la Social Security e Medicare». Sì, ma come?

Anche in politica estera, i cenni alle prossime linee strategiche degli Usa sono vaghi e nel caso del Medio Oriente anche cerchiobottisti: «Israele non deve mai più affrontare l'orrore che l'organizzazione terroristica Hamas ha causato il 7 ottobre». E però «Allo stesso tempo, ciò che è accaduto a Gaza negli ultimi 10 mesi è devastante». E quindi: «Israele sia al sicuro - gli ostaggi siano liberati - le sofferenze a Gaza finiscano - e il popolo palestinese possa realizzare il suo diritto alla dignità, alla sicurezza, alla libertà e all'autodeterminazione». E “Buona fortuna”, direbbero tutti i presidenti che finora hanno provato a raggiungere questi obiettivi, a partire da Jimmy Carter.

Tanto fumo, tanta campagna anti-Trump, ma poco arrosto. Kamala Harris, cooptata dal Partito Democratico per sostituire un ormai impresentabile Joe Biden, ha il solo scopo di battere il tycoon. Non importa come, non importa con quali programmi. Non importa “chi”: Kamala Harris era ritenuta una vicepresidente impopolare, un imbarazzo per il partito, al punto di suggerire a Biden di sostituirla. Adesso il Partito e la fitta schiera di media suoi alleati (inclusa la quasi totalità di quelli italiani, che pure non si rivolgono al pubblico di elettori americani) hanno costruito un’immagine di Kamala totalmente diversa da quella che abbiamo sempre vista. Un’immagine, appunto, perché la vera Kamala Harris, da 35 giorni candidata, ora anche ufficialmente, non ha ancora rilasciato una sola intervista, né ha tenuto alcuna conferenza stampa. Al di là dei discorsi preparati, dove segue un copione, non sappiamo ancora nulla di lei, di cosa voglia fare o se sia in grado di farlo. E il suo discorso non ci aiuta molto a capirlo.