Il disastro della burocrazia "legale e trasparente"
Settimana segnata dall'alluvione a Genova. Il cardinal Angelo Bagnasco punta il dito contro l'"inaccettabile e macchinosa burocrazia" che "per assicurare legalità e trasparenza fa affondare nel fango chi ha perso tutto". Legalità e trasparenza sono la nuova ideologia italiana. Ad essa si sacrifica tutto il resto.
È facile prevedere che questa settimana la cronaca sarà invasa dalle notizie sull’alluvione a Genova e altrove come, innanzitutto, a Parma.
Le alluvioni autunnali sono ormai una regola nel nostro Paese. Tra la fine di settembre, come fu il caso a Genova il 27 settembre 1992, e l’inizio di novembre si può stare certi che ce ne sarà una. Fu questo il caso della grande alluvione di Firenze (4 novembre 1966) e anche della precedente alluvione di Genova (4 novembre 2011). Nella metropoli ligure sono cinquant’anni che il Bisagno allaga i quartieri inconsultamente edificati a ridosso del suo alveo. Già nel 1974 la buonanima di Ciriaco De Mita, buonanima in senso politico sia chiaro, aveva definito il Bisagno un “problema nazionale” riaffermando così in due parole sia l’entità del problema sia i motivi per cui non viene risolto. I fiumi della Liguria sono in Italia un caso particolare: non fanno parte di grandi bacini, come il Po, l’Adige, il Tevere o il Volturno, ma sono in pratica ciascuno un piccolo bacino a sé. Il Bisagno nasce sotto il passo della Scoffera e in soli 30 chilometri (circa) sfocia in mare a Genova. Di suo è un problema comunale o intercomunale al massimo, tenuto conto dei pochi comuni appenninici del retroterra di Genova che attraversa prima di arrivare in città. La cosa più semplice e ragionevole sarebbe stata quella di lasciare che Genova e il suo retroterra se ne assumessero la piena responsabilità. Invece l’hanno fatto diventare appunto un “problema nazionale” con tutto il groviglio di poteri senza responsabilità che ne consegue; e quindi con i risultati che ancora una volta si sono visti.
Sin qui il caso di Genova e del resto della Liguria (con la sola piccola complicazione del Magra che è un po’ più complesso e più lungo, 62 chilometri, e nasce in Toscana). Altrove invece la situazione è in genere diversa, e non consentirebbe l’affidamento esclusivo della gestione dei bacini fluviali alle istituzioni del territorio direttamente interessato. Dappertutto però, dunque sia a Genova che nel resto del Paese, si devono fare i conti con un problema generale che sta a monte di tutti i problemi specifici: l’“inaccettabile e macchinosa burocrazia” di cui ha parlato il cardinale Bagnasco, arcivescovo della città oltre che presidente della Cei, durante la sua visita ai quartieri alluvionati. Quella burocrazia che, come il Cardinale ha bene sottolineato, “per assicurare legalità e trasparenza fa affondare nel fango chi ha perso tutto”. Vale la pena di soffermarsi su questo punto, che è fondamentale. La legalità e la trasparenza sono principi sacrosanti, ma nel concreto del contesto italiano si stanno in larga misura trasformando in ideologie che fanno più danno dei mali che si vorrebbero così estirpare. Oggi nel nostro Paese chiunque abbia responsabilità di governo sia politico che amministrativo vive sotto il timore costante di inchieste della magistratura inquirente che possono venire messe in moto con scarso fondamento e poi finire in nulla (si veda ad esempio l’inchiesta “Why not” di De Magistris), ma nel frattempo durare quanto basta per distruggere la reputazione e la vita di lavoro di una persona. In linea generale piuttosto che fare qualcosa di efficace e di incisivo è meglio stare sostanzialmente con la mani in mano.
Oggi, nel nostro Paese, se la pubblica amministrazione applica la legge non le si può rimproverare nulla, anche quando da tale applicazione non consegue alcun concreto risultato. Chi pertanto intende assumersi davvero la responsabilità di governare lo fa a proprio rischio e pericolo. Facciamo, visto che è d’attualità, il caso di Genova. Se tutto risulterà formalmente a posto, a nessuno verrà mai imputato il fatto che comunque le opere, già da tempo finanziate, non erano state costruite. Se invece fossero state fatte, ma non applicando alla lettera leggi e regolamenti, adesso qualcuno sarebbe alla berlina mediatica se non in carcere. Ecco una questione-chiave della crisi politica italiana che Berlusconi non poteva nemmeno toccare. Sarebbe invece alla portata di Renzi, grazie non solo al consenso popolare di cui dispone (e del quale ai suoi tempi belli disponeva anche Berlusconi), ma anche e soprattutto grazie alla benevolenza di quell’establishment che invece vedeva costui come il fumo negli occhi. Resta da vedere se Renzi avrà il coraggio di giocare una partita politicamente tanto pericolosa, e anche tanto complessa e impegnativa.
In sede internazionale questa settimana non ci si attendono purtroppo grandi novità. Diremo, parafrasando Erich Maria Remarque, che non c’è niente di nuovo né sul fronte orientale né su quello occidentale, il che però non significa che si sia smesso di terrorizzare, di uccidere e di distruggere. A Milano, non in questa settimana ma all’inizio della prossima, c’è un’occasione importante per avere notizie di prima mano sulla situazione nel Vicino Oriente per bocca di un testimone molto qualificato. Martedì 21 ottobre al Teatro Dal Verme, facilmente raggiungibile via metropolitana, con inizio alle 18,30, mons. Louis Sakho, patriarca caldeo di Baghdad, parlerà dell’Iraq e del drammatico esodo dei cristiani e dei yazidi dalle terre del Nord Iraq occupate dagli estremisti del cosiddetto Stato Islamico, IS. È una persona che mi colpì subito sin da quando lo conobbi a Erbil quando era ancora arcivescovo di Kirkuk. Chi può non perda l’occasione di andare ad ascoltarlo.