Il Ddl Zan, Zaia e la morte della destra italiana
Se una manciata di anni fa era impensabile che un esponente di spicco di un partito della destra potesse esprimersi a favore di un disegno di legge filo-omosessuale oggi non è più così e l’uscita del presidente del Veneto lo conferma. Le ragioni dello slittamento verso lidi progressisti è la rivoluzione relativista e il fatto che i politici vivono per i voti.
- VIA L'ALLENATORE POLITICAMENTE SCORRETTO, di Luca Volontè
Zaia pro Zan. Leggiamo sul Corriere della Sera del 7 aprile scorso che il presidente del Veneto, Luca Zaia, si sarebbe così espresso in merito al Ddl Zan: «Le libertà devono essere garantite a tutti. Vedo che c’è un dibattito trasversale e non coinvolge solo la Lega. Penso che il principio della civile convivenza sia sempre lo stesso: la tua vita finisce dove inizia la mia. E ci vuole sempre il rispetto di mezzo. Immagino che questo provvedimento verrà prima o poi realizzato. Verrà trovata la miglior formula e penso che non ci sia nessuno che vorrà negare l’evidenza. Dopodiché ci saranno delle sfumature giuridiche che verranno valutate. Nessuno, ritengo, si oppone, in linea di principio». Poi Zaia ammette di «non aver letto il Ddl e di non aver seguito fino in fondo il dibattito». Non male questo endorsment al Testo Unico Zaia da parte di un politico che non l’ha nemmeno letto.
Non vogliamo qui spiegare a Zaia perché il Ddl Zan è bene che non diventi mai legge, bensì vogliamo accennare ai motivi per cui un politico di destra – qualificazione che ormai sappiamo trova il tempo che trova - possa appoggiare tale disegno di legge. È quanto mai sotto gli occhi di tutti che l’identità della destra italiana non può più essere individuata nello slogan «Dio, Patria e Famiglia», né qualificata come conservatrice. Infatti questi topos concettuali sono stati sostituiti da altri, seppur di segno negativo, più caratterizzanti l’orientamento culturale e quindi politico attuale: oggi si parla di sovranisti e populisti.
Se una manciata di anni fa era impensabile che un esponente di spicco di un partito di spicco della destra potesse esprimersi a favore di un disegno di legge filo-omosessuale oggi non è più così e l’uscita del presidente Zaia lo conferma. Le motivazioni di questo slittamento verso lidi progressisti e libertari potrebbero essere date almeno da queste due motivazioni. In primo luogo la rivoluzione culturale relativista, nichilista e secolarizzante non risparmia nessuno, politici compresi. Se facciamo una fotografia della vita privata di alcuni dei leader destrorsi più in vista ci accorgeremo che non è certo allineata ai principi non negoziabili: convivenze, divorzi, amanti, aborti, etc. Se è questo in cui tu credi va da sé che questi tuoi «valori» li porterai anche nell’agone politico. È per questa ragione che Zaia è favore del Ddl Zan senza nemmeno averlo letto: a priori è bene sostenere tutte le rivendicazioni del mondo LGBT perché l’omosessualità e la transessualità sono varianti naturali rispettivamente dell’orientamento sessuale e della cosiddetta identità di genere.
Secondo motivo forse più incidente: i politici, con lodevoli eccezioni, vivono per i voti. Il consenso è il loro dio. Dato che l’aria che tira è pro Zan, si segue la direzione del vento. Opporsi potrebbe essere perdente per i sondaggi e poi per le urne. Per un cospicuo numero di politici di destra molte questioni eticamente sensibili sono ormai capitolo chiuso: riaprirle segnerebbe solo una sconfitta politica. Paradigmatico cosa è accaduto al Congresso Mondiale delle Famiglie svoltosi a Verona nel marzo del 2019. Quei politici che davanti alla platea si confessavano dichiaratamente pro vita e pro family, poco prima di entrare nella sala congressi o il giorno prima in TV, affermavano che la 194 non doveva essere toccata in alcun modo. Il consenso oggi, invece, si raggranella su temi come i ristori, la riapertura, la velocità delle vaccinazioni e, dopo che la pandemia non sarà più un’emergenza, su tematiche evergreen come la ripresa economica, l’immigrazione, l’Europa.
La destra come la sinistra quindi? No, c’è una differenza sostanziale anche se nel tempo questa differenza si sta sempre più assottigliando. Il politico di sinistra si batte per l’aborto, i «matrimoni» gay e l’eutanasia perché intimamente ci crede, perché sono battaglie ideologiche irrinunciabili e che costituiscono una parte fondamentale del DNA del suo partito o movimento politico. Il politico di destra, come accennato, lo fa per convenienza e perché il virus libertario pian piano ha infettato i suoi valori personali, ma, dovendo semplificare e generalizzare, non ancora il suo programma politico.
In tal senso ha ancora una certa, seppur minima, ragionevolezza tenere rapporti dialoganti con gli esponenti di destra proprio in riferimento a queste due motivazioni. Sul lato personale è bene, proprio perché persone non ideologizzate, tentare di far comprendere la ragionevolezza di alcune posizioni a favore della vita e della famiglia. Sul lato politico è ugualmente efficace far comprendere a costoro che esiste un sottobosco esteso di cittadini di buon senso che sono pronti a votare chi difende i valori che loro amano. Certo, occorrerebbe coraggio da parte di questi politici perché avrebbero contro tutti: media, blogger, influencer, artisti, l’Unione Europea, organismi internazionali, stati esteri. E così forse arriviamo al problema di fondo: più che politici tecnicamente preparati, ci servono politici virtuosi.