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CONTRO GLI WOKE

Negli Usa di Trump, la controrivoluzione parte da Colombo

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«Sto riportando in vita il Columbus Day» scrive Donald Trump sul suo social network Truth. La sostituzione della festa della scoperta dell'America con la Giornata dei Popoli Indigeni è stato il primo passo della rivoluzione woke.

Editoriali 29_04_2025
Columbus Day, la parata a New York (La Presse)

«Sto riportando in vita il Columbus Day. I democratici hanno fatto tutto il possibile per distruggere Cristoforo Colombo, la sua reputazione e tutti gli italiani che lo amano così tanto». Così ha scritto il presidente americano Donald Trump sul suo social network, Truth. Non è (ancora) un ordine esecutivo, ma un’esortazione a tornare a celebrare la virtù della scoperta dell’America da parte del navigatore genovese.

Il Columbus Day è ancora una festa federale, quindi non dovrebbe essere necessario ribadire l’ovvio. Il fatto è che, almeno dagli anni di Biden, è stato sostituito dalla Giornata dei Popoli Indigeni in oltre 200 città e in diversi stati.

La lunga marcia della festa dei popoli nativi è incominciata quasi mezzo secolo fa, nel 1977: in occasione di una conferenza delle Nazioni Unite a Ginevra, i delegati indigeni di tutto il mondo hanno deciso di «celebrare il 12 ottobre, giorno della cosiddetta ‘scoperta’ dell'America, come Giornata internazionale di solidarietà con i popoli indigeni delle Americhe». Il South Dakota è stato il primo Stato a celebrare ufficialmente questa giornata (chiamandola Native American Day) nel 1990. La città di Berkeley, in California, sede dell’università che ha dato i natali al Sessantotto americano, ha adottato la Giornata dei Popoli Indigeni nel 1992 come protesta contro il 500mo anniversario dell'arrivo di Colombo.

E così è nato il “woke” prima ancora che si usasse quel termine. Infatti uno degli obiettivi della contestazione di estrema sinistra è proprio quello di “restituire” la sovranità dell’America ai popoli indigeni, anche ribattezzando i luoghi geografici con i nomi nelle lingue native.

Attualmente, gli Stati del Maine, Vermont, New Mexico e District of Columbia (il distretto della capitale), oltre a grandi città come Los Angeles e Seattle sono tra le località che celebrano la Giornata dei Popoli Indigeni il secondo lunedì di ottobre, al posto del Columbus Day. Tre stati, New York, Rhode Island e Nebraska, riconoscono entrambe le festività.

Joe Biden è stato il primo presidente a celebrare la Giornata dei Popoli Indigeni, emanando nel 2021 un proclama che celebrava «il contributo inestimabile e la resilienza dei popoli indigeni» e riconosceva «la loro sovranità intrinseca». Il proclama sottolineava che l'America «è stata concepita sulla base di una promessa di uguaglianza e opportunità per tutti», ma che tale promessa «non è mai stata pienamente mantenuta. Ciò è particolarmente vero quando si tratta di difendere i diritti e la dignità dei popoli indigeni che erano qui molto prima dell'inizio della colonizzazione delle Americhe».

Una dichiarazione che è stata certamente apprezzata dalle minoranze, tranne una: quella italiana. Infatti il Columbus Day è soprattutto una festa degli italiani d’America, a partire dalla prima celebrazione del giorno di Colombo il 12 ottobre 1866 a New York. Fu soprattutto a seguito del pogrom di New Orleans del 1891, in cui vennero trucidati undici cittadini italiani (sulla base di un’accusa falsa), che si arrivò, per solidarietà, alla prima celebrazione del Columbus Day negli Stati Uniti, a livello nazionale. L’anno dopo, 1892, nel 400mo anniversario della scoperta dell’America, l’allora presidente repubblicano Benjamin Harrison, con un ordine esecutivo, la istituì come festa nazionale, ma solo per quell’anno. Divenne festa nazionale consuetudinaria con una legge del Congresso nel 1934, durante il primo mandato del presidente democratico Franklin D. Roosevelt.

Abbattere o vandalizzare le statue di Colombo, per i movimentisti woke, è stato un modo per rendere giustizia (a modo loro) ai popoli nativi americani perché, nella vulgata storica di sinistra, Colombo è “il primo schiavista” e “il primo genocida”. Colombo, sull’isola di Hispaniola governò effettivamente con metodi tirannici, ma fu la stessa giustizia spagnola (capace evidentemente di auto-correggersi) ad arrestarlo e a porre fine al suo regno del terrore nel 1500. Non è la storia di Colombo in sé che interessa ai contestatori. Da europei (quasi tutti lo sono, nella sinistra americana) a loro interessa contestare la presenza stessa della civiltà europea cristiana nelle Americhe, fino al punto di ripristinare lo studio delle religioni e delle tradizioni pre-colombiane. Sacrifici umani esclusi, almeno per ora.

Insomma, come la rivoluzione woke è partita dal tentativo di rimuovere Colombo, ora la controrivoluzione parte dalla sua rivalutazione, dalla scoperta dell’America da parte di un italiano. E non solo a beneficio della comunità italo-americana, bensì di tutta la storia e la cultura europee che appartengono anche, a pieno diritto, agli americani.