Il Crocifisso modaiolo: è questo il "made in Italy"?
Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso: «Pessimo gusto e provincialismo».
Gira una campagna pubblicitaria che affigge manifesti che tutti conosciamo e che apposta non mostriamo. Ci si vede un Gesù crocifisso agghindato in panni modaioli. Ce n'è un'altra che si reclamizza dicendo:«Padre perdona perché non sanno quello che indossano». Sono le idee, citrulle, di un paio di maison di cui apposta non facciamo i nomi per non fare il loro gioco. Però ne ragioniamo con Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso. «Non è certo una novità», dice Contri, «il troppo facile tentativo di strumentalizzare immagini religiose a fini pubblicitari. Però in questo caso si va oltre, poiché oltre che all’incredibile pubblicità dell’headline che lei ricorda, l’intero stand allestito da quell'altra casa di moda al Pitti Uomo è costruito come fosse una chiesa, con tanto di banchi, altare e un quadro con il solito modello vestito alla moda appeso alla croce...».
Come lei immagina, a queste osservazioni qualcuno potrebbe facilmente rispondere che parliamo così solo perché viene toccata la questione cattolica…
E che c’entra? Io non ne faccio affatto una questione di merito, anche se evidentemente il merito pesa molto. Qui c’entra il buongusto e lo stile, che per chi si occupa di fashion non sono certo elementi secondari. Una questione professionale, insomma tecnica. Noi della Fondazione Pubblicità Progresso siamo tutti pubblicitari professionisti e in questo ambito ci muoviamo. Ebbene, quelle pubblicità offendono anzitutto e soprattutto la professione. Sonmo di una pochezza e di una povertà d’idee impressionante, e ricorrono alla provocazione, persino allo scandalo, perché è facile, perché costa davvero poco. Ricordo altre campagne simili del passato. Il punto vero però è che, oltre al pugno nello stomaco e al cattivo gusto, pubblicità così portano la luce dei riflettori solo sui loro autori, non sui prodotti reclamizzati».
Il che è un controsenso: viene a mancare l’obiettivo principale di una pubblicità…
Di più. Finisce che si produce quello che noi del settore chiamiamo “effetto rebound”, il rimbalzo, una vera e propria repulsione, l’allontanamento dal prodotto. E dunque a che serve?
Vede, se si reclamizza un prodotto di bellezza, un cosmetico di un vestito o una cosa così ci sta anche l’utilizzo, intelligente, di un corpo - lo dico in termini pubblicitari -, per esempio di un corpo femminile. Perché il legame è evidente, il linguaggio chiaro, non offende. Ma utilizzare un corpo, persino un nudo decontestualizzato per un prodotto con cui esso non c’entra è un errore strategico. A maggior ragione, se il corpo è deturpato, come in alcuni casi è stato fatto. S’immagini poi utilizzare, come fa una delle maison di cui parliamo, un corpo che fa riferimento a uno strumento di tortura, e massimo e crudele, quale la crocifissione era in epoca romana… Non c’entra, e alla fine respinge il cliente. Vuole un parere? È roba da “provinciali”, nel senso peggiore del termine…».
Però sembra che gl’italiani, addirittura i media, di solito non certo restii a sfruttare ogni e qualsiasi informazione o immagine, non abbiano seguito queste cadute di tono…
Esatto. La maggior parte dei giornali italiani ha rifiutato l'inserzione pubblicitaria del Crocifisso modaiolo. Certamente in conformità a quanto stabilisce l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, ovvero al fatto che i professionisti non possono fare della pubblicità che offende le persone o i sentimenti filosofici e religiosi di alcuno; ma certamente anche perché chi di comunicazione se ne intende vede benisismo l’insipienza e la controproduttività di questa campagna.
Quindi, oltre ad auspicare un intervento dell’Istituto, che certamente sta già agendo, non resta che sottolineare che se questo è il modo di promuovere lo “stile” e la moda italiani, vuol dire che la creatività del “made in Italy” è proprio alla frutta. E nel caso di specie viene proprio voglia di ripristinare l’originale “Padre perdona perché non sanno quello che fanno”. Ringraziando invece per tutti quelli che promuovono il “made in italy” con creatività e idee vere, senza offendere i sentimenti religiosi usando la Crocifissione come un qualunque set cinematografico».
I media, insomma, si sono mostrati migliori di certi pubblicitari. Non le pare però che il ripetersi di campagne così indichi davvero, come lei pure suggerisce, che in alcuni ambienti interessa meno reclamizzare un determinato prodotto quanto invece insistere nell’offendere un sentimento caro, ancora caro alla maggioranza degl’italiani, credenti o semplicemente di buon senso?
Guardi, noi di Pubblicità Progresso non siamo affatto per la censura, anche se per la deontologia sì. Immagini però cosa sarebbe accaduto se una campagna pubblicitaria fosse stata lanciata in un Paese musulmano offendendo l’islam…