Il cioccolato, un alimento dalle mille sorti
Le civiltà precolombiane ritenevano divino il Theobroma cacao e usavano preparare una bevanda paragonabile alla cioccolata. Il primo europeo a menzionarla fu il conquistador Cortés. Ma per un certo tempo alcuni uomini di Chiesa rimasero diffidenti verso l’alimento, sia per il suo carattere afrodisiaco che per l’impiego di schiavi. Passando per le innovazioni del XIX secolo il cioccolato è divenuto il prodotto di largo consumo che conosciamo.
LA RICETTA: FRAGOLE AL CIOCCOLATO
Mai un alimento ha avuto delle sorti così diverse come il cioccolato. Oggetto di curiosità, diffidenza, rigetto, amore, salvezza o peccato: ne ha passate di cotte e di crude, per dirla semplicemente.
Il Theobroma cacao (nome scientifico del cacao che significa cibo degli dei - theos significa “Dio” e broma “nutrimento”) ha origine nell’America Centrale. Già nel 1900 a.C. i popoli di quella regione avevano imparato a preparare i semi della pianta autoctona del cacao. Le prime fonti riferiscono che i semi venivano tritati e mescolati con farina di mais e peperoncini per creare una bevanda amara, schiumosa e tonificante.
Il cioccolato era uno degli alimenti più amati e rispettati in quell'epoca a quelle latitudini. Le popolazioni olmeche producevano per le partorienti una bevanda a base di pasta di cacao paragonabile a una cioccolata, che era un vero e proprio toccasana per la salute: servita fredda, era aromatizzata con fiori di vaniglia, peperoncino e cannella. Grazie alle sue proprietà, questa bevanda fu presto considerata sacra e venerata, tanto che nei secoli successivi i Maya, per assicurarsi un buon raccolto, si rivolgevano al dio Ek Chuah, il dio del cacao. Ritenevano che il cacao fosse un alimento divino, donato agli uomini da un dio serpente piumato, conosciuto fra i Maya come Kukulkán e fra gli Aztechi come Quetzalcóatl (d'altronde, la parola “cioccolato” ha origine dal nome di questa divinità azteca).
Gli Aztechi usavano i semi di cacao come valuta di scambio, bevevano cioccolato ai banchetti regali ma lo usavano anche come parte dello stipendio ai soldati o come ricompensa per la vittoria di una battaglia. Inoltre, veniva intensamente utilizzato nei rituali.
Il primo incontro di un europeo con il cioccolato risale al 1519 ed è menzionato in una lettera del protagonista di questo incontro, il famoso conquistador spagnolo Hernán Cortés, che visitò la corte di Montezuma a Tenochtitlan. Qui il re gli offrì, in segno di benvenuto, in una tazza di terracotta foderata d'oro, una bevanda nera e profumata, dolce e piccante allo stesso tempo, che incantò il palato del nobile spagnolo: era cioccolato al peperoncino.
Ma i resoconti dei missionari sulle oscenità dei costumi degli indigeni ruppero l’incanto: lo classificarono come afrodisiaco e come tale un elemento di lussuria e negativo per l’integralità spirituale dell’uomo; perciò, appena arrivò in Europa, il “cibo degli dei” finì nelle farmacie.
All’inizio, il suo sapore amaro lo rese adatto come cura contro alcuni disturbi e malattie, principalmente per lo stomaco e la milza. Il medico spagnolo Antonio Colmenero di Ledesma scrisse i primi trattati sul cioccolato come medicinale: nel 1631 appare Curioso tratado de la naturaleza y calidad del chocolate, dividido en quatro puntos, reperibile alla Biblioteca Nacional de España, seguito nel 1641 da Chocolata Inda, la cui prima edizione può essere acquistata alla libreria italiana Emporium (info@emporium-art.com). Un altro documento interessante è una nota ufficiale scritta nel 1653 da Bonaventura di Aragona (fratello del cardinale Richelieu) che sancisce che il cioccolato è un ottimo stimolante per la milza e per le funzioni digestive.
Luigi XIV, monarca assoluto, amante delle cose belle e buone, ebbe il merito di fare arrivare il cioccolato sulle tavole reali in Francia (anche se, altri reali - quelli di Spagna - prima di lui, per ovvie ragioni, arricchivano i propri banchetti con la dolce leccornia). Infatti, lui scoprì il cioccolato grazie alla consorte, Maria Teresa d’Asburgo, figlia del re di Spagna Filippo IV, che, per ragioni politiche, gli fu data in moglie.
Qui dobbiamo fare una parentesi e dire che, malgrado la messa in guardia della Chiesa, che considerava il cioccolato una bevanda “peccaminosa” (per il suo ruolo afrodisiaco), alla corte spagnola non esitarono ad aromatizzarlo con vaniglia e miele e consumarlo nei salotti della nobiltà. Maria Teresa ne era golosa e portò con sé alla corte francese un bel carico di cioccolato. Luigi XIV scoprì così il cioccolato e lo adottò.
Ma nel mondo il cacao era ormai già diventato un prodotto di lusso molto ricercato, anche in Francia, dove nel 1659, un anno prima dell’arrivo di Maria Teresa, all’imprenditore David Chaillon venne concesso il monopolio sul cioccolato, monopolio che poi, nel 1692, passò al mercante Damame.
Il Seicento è il secolo dell’apparizione della cioccolatiera e del relativo frustino che serviva a mescolare il cacao. L'artigianato orafo crea una schiera di meravigliosi modelli in metalli vari, troviamo così delle cioccolatiere in oro, in argento e perfino in stagno. Secondo la rivista Mercure galant, Madame de Méré vinse nel 1689 come premio a una lotteria “una cioccolatiera d’argento, una di porcellana, sette bastoncini di cioccolato e una scatola di tè”.
Intanto nelle colonie dei Caraibi le piantagioni di cacao si diffondevano da una costa all’altra e da un’isola all’altra. Gli spagnoli, i primi arrivati, persero l’esclusiva nel commercio del cacao e dovettero misurarsi con gli intraprendenti marinai-mercanti olandesi, francesi e inglesi. Nell’isola di Martinica, colonizzata dai francesi, l’imprenditore ebreo Benjamin da Costa, importò alberi di cacao dal Venezuela e li piantò qui, con notevole successo, nel 1664: le prime esportazioni per la Francia avvennero nel 1679.
Produrre l’ambita bevanda su larga scala era difficile e richiedeva tempo e duro lavoro. Comportava lo sfruttamento delle piantagioni e degli schiavi nei Caraibi e sulle isole al largo della costa africana. E la Chiesa intervenne nuovamente per condannare questo aspetto. Padre Léopold de la Martinière de Monfalcon, di nobili origini, presente a Martinica, scrisse alla madre nel 1694: “Non attaccatevi alla triste abitudine dei nostri simili di consumare il cioccolato, questa bevanda demoniaca, che il Maligno usa come tentazione per portare l’umanità a lui. Il cioccolato si ottiene col sangue e il sudore degli schiavi, che lavorano fino a morire su queste piantagioni. Anche loro sono uomini come noi e pertanto sono nostri fratelli in Cristo: dovete abiurare il cioccolato”.
Il momento peggiore per il cacao dei Caraibi è menzionato nel IV volume della Storia Economica di Cambridge, che descrive la rovina di decine di piantagioni di cacao in seguito ad una serie di calamità avvenute tra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII. I giornali del tempo riferiscono che secondo diversi rappresentanti della Chiesa “è la punizione divina che ha messo in ginocchio gli avidi produttori inglesi di cioccolato che per il profitto non esitano a sacrificare vite umane [gli schiavi, nda] sull’altare del dio denaro”. (Il cioccolato fu oggetto di molte diatribe religiose, delle quali parleremo nei prossimi articoli).
Il mondo del cioccolato è cambiato radicalmente nel 1828, con l'introduzione della pressa inventata da Coenraad van Houten di Amsterdam. Questa macchina estraeva dal cacao il grasso naturale, o burro di cacao, che venne utilizzato per creare il cioccolato solido come lo conosciamo oggi. Qualche anno dopo, un cioccolatiere di nome Daniel Peter aggiunse latte in polvere alla miscela, inventando così il cioccolato al latte.
Il cioccolato si è democratizzato nel XX secolo, diventando un piacere diffuso fra la gente. Nascono aziende come la Ferrero (fondata nel 1946) i cui proprietari, ferventi cattolici, non esitano a fare benedire la fabbrica dai sacerdoti. Nel Novecento anche l’atteggiamento della Chiesa si ammorbidisce verso il cioccolato, salvo ricordarci che ci sono ancora zone dove per ottenerlo ci si serve dello sfruttamento umano. Proprio perché è diventato di largo consumo, il cioccolato deve soddisfare un'intensa domanda, fatto che richiede una maggiore coltivazione dell'albero di cacao, che può crescere solo vicino all'Equatore.
Ora, invece di imbarcare schiavi africani verso le piantagioni di cacao in Sudamerica, la produzione di cacao si è trasferita in Africa occidentale, dove la Costa d'Avorio fornisce dal 2015 due quinti del cacao mondiale. E purtroppo, con la crescita del settore, assistiamo a tante violazioni dei diritti umani. Molte piantagioni in Africa occidentale, che riforniscono le aziende occidentali, impiegano bambini, spesso venduti dalle famiglie. È un problema difficile e complesso che persiste nonostante gli sforzi delle maggiori aziende di cioccolato di collaborare con i Paesi africani per ridurre il lavoro minorile e forzato. Infatti, sono nate anche aziende etiche, che mettono un’apposita etichetta sui loro prodotti. E sono i prodotti di queste che dobbiamo scegliere quando acquistiamo cioccolato: è un piccolo gesto, ma importante.