Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Ora di dottrina / 131 – Il supplemento

Il chiarimento sul Filioque al Concilio di Lione II

Al Secondo Concilio di Lione dobbiamo la Constitutio de summa Trinitate che costituisce un vero progresso nella comprensione della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. I delegati dei Greci recepirono il testo, che però poi nelle chiese e nei monasteri d’Oriente incontrò forti resistenze.

Catechismo 29_09_2024
Beato Gregorio X

Prima di giungere a parlare dell'importante disputa sul Filioque durante il Concilio di Ferrara-Firenze, è d'obbligo dedicare un articolo al Secondo Concilio di Lione (7 maggio-17 luglio 1274), quattordicesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica.

Voluto da Gregorio X (ca 1210-1276) per affrontare il problema della presenza saracena in Terra Santa e per giungere ad un’unione con i Greci (oltre che prendere alcune decisioni per riformare la Chiesa), il Concilio vide la partecipazione di grandi pastori e teologi, come il cardinale Pierre de Tarentaise (1224/5-1276), successore di Gregorio sul Soglio pontificio con il nome di Innocenzo V; Bonaventura da Bagnoregio (che morirà durante il concilio), Alberto Magno, Guglielmo Durando, Filippo Benizi. Anche Tommaso d'Aquino fu convocato dal Papa per intervenire al Concilio, ma morì il 7 marzo 1274, durante il viaggio, nell'abbazia di Fossanova, per cause ancora non chiarite, lasciando tra l'altro un piccolo gioiello teologico, il Contra errores Græcorum (1263), nel quale Tommaso cercava, dieci anni prima del Concilio lionese, di chiarire la posizione cattolica di fronte alle incomprensioni dei teologi greci.

La nuova assise, nella sua quarta sessione, ricevette la Professione di fede dell'imperatore Michele VIII Paleologo (1223-1282), che era in sostanza quella che papa Clemente IV (+1268) aveva sottoposto all'imperatore come condizione indispensabile per la riunificazione dei Greci. In essa si confessano la processione «dal Padre e dal Figlio» e il primato effettivo, e non solo d'onore, della Sede petrina.

A costituire però un vero progresso nella comprensione ed espressione della processione dello Spirito è la Constitutio de summa Trinitate del 18 maggio 1274 (cf. Denz. 850). Questo testo appartiene alla seconda sessione del Concilio ed è perciò antecedente la Professio fidei appena menzionata; la quale però, come accennato, non è altro che la riproposizione di un testo anteriore del 1267, scritto da Clemente IV. Dunque, di fatto, la Constitutio si pone come una reale e preziosa precisazione interpretativa della verità dogmatica del Filioque, che costituisce il criterio ermeneutico per la comprensione dell'espressione “piana” ex Patre Filioque procedit. Vediamolo: «Con fedele e devota professione, confessiamo che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principi, ma come da uno solo; non per due spirazioni, ma per una sola». E poco oltre si condannano gli errori contro questa processione, errori che provengono da “due sponde” opposte. Da un lato viene riprovata la posizione di coloro che «osano negare che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio»; dall'altro si respinge l'affermazione che «lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, come da due principi e non come da uno solo». Questa processione dal Padre e dal Figlio come da un unico principio costituisce, secondo il Concilio, «l'immutabile e vera dottrina dei padri e dottori ortodossi, sia latini che greci» (sulla dottrina dei Padri, vedi qui e qui).

Con questo testo chiarificatore si intendeva offrire agli interlocutori greci una visione più equilibrata della dottrina del Filioque, condannando non solo la negazione della processione dal Figlio, che si era diffusa in ambito greco, ma anche respingendo una spiegazione altrettanto eterodossa e inconciliabile con gli scritti dei Padri di tale processione, tipica invece del mondo latino, la quale, pensando a due spirazioni, una del Padre e l'altra del Figlio, introduceva un nuovo principio della vita trinitaria, diverso dal Padre.

C'era però un problema: questa pur corretta formulazione era stata decisa prima dell'arrivo dei rappresentanti dei Greci, i quali si erano in sostanza limitati a recepire il testo, impedendo così un necessario serio dibattito, con la conseguente possibilità di apportare chiarimenti circa le reciproche posizioni su un tema tanto spinoso. Il 29 giugno, appena cinque giorni dopo l'arrivo della parte greca, durante la Messa presieduta da papa Gregorio, i Greci presenti, Germano III di Costantinopoli (+1289), Teofane, vescovo di Nicea, e Giorgio Acropolita (1217/20-1282), cantarono per tre volte durante il Credo, nella propria lingua, l'espressione della processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio. L'unione sembrava compiuta e il Papa, il 6 luglio, fece sedere alla propria destra, nel consesso dei Cardinali, i vescovi greci. I problemi però vennero a galla allorché le decisioni di Lione vennero comunicate a Costantinopoli e in tutte le province della Chiesa greca, riscontrando forti resistenze all'unione particolarmente nei monasteri, che esercitavano un’enorme influenza sul popolo. Da parte di Roma, ancora sotto il pontificato di Gregorio X, si pose grande attenzione a non alterare in nulla le tradizioni liturgiche greche e a lasciare grande autonomia di governo ai patriarchi, curando di evitare quelle che subito potevano essere intese come “ingerenze” dei latini.

Innocenzo V optò invece per una politica più stringente; se, comprensibilmente, volle che tutto il clero greco sottoscrivesse la formula di fede di Lione, toccò invece un nervo scoperto e ancora troppo sensibile nell'esigere che i Greci aggiungessero il Filioque al Simbolo. Il pontefice morì dopo solo cinque mesi di pontificato; il successore, Adriano V (ca 1205-1276), dopo appena 38 giorni. Finalmente fu eletto Giovanni XXI (ca 1210-1277), che proseguì la linea di Innocenzo. Nel 1277, un sinodo venne convocato nell'omonimo Palazzo del quartiere Blacherne di Costantinopoli, con lo scopo di sancire la ritrovata unità, già celebrata a Lione, alla presenza e con l'assenso di Giovanni XI Bekkos (ca 1225-1297), patriarca di Costantinopoli. Fu proprio Bekkos a tener testa alle reiterate ondate antiunioniste che si sollevavano di frequente. La nuova rottura ufficiale avvenne però per ragioni di sapore politico, in particolare per le tensioni tra il Papa, che favoriva la politica angioina, e l'imperatore Michele; ragioni che esulano lo scopo dei nostri articoli, ma che occorre tenere presenti per capire come le argomentazioni teologiche si fecero più rigide, quasi un muro contro muro, per effetto di posizioni di altra natura.

Sta di fatto che la consumazione di una nuova rottura avvenne con la convocazione, questa volta da parte degli antiunionisti, di un nuovo sinodo a Blacherne (1285), nel quale prevalse la linea “fondamentalista”, che rifiutò persino l'espressione della processione eterna dello Spirito dal Padre mediante il Figlio, colpendo con anatema chiunque sostenesse in qualsiasi modo la processione dal Figlio. Si venivano così a delineare tre posizioni sulla questione: quella latina, espressa al Concilio di Lione, e accolta da una parte dei Greci; la posizione greca “intransigente”, che negava qualsiasi intervento del Figlio nella processione dello Spirito nella Trinità immanente, e relegandolo solo nell'ambito della Trinità economica (per questa distinzione, vedi qui); la posizione greca “energetica”, sostenuta in particolare da Gregorio Ciprio (1241-1290), patriarca di Costantinopoli dal 1283 e antiunionista, che ebbe un folto seguito. Quest'ultima posizione cercava di correggere il sinodo di Blacherne del 1285, dal momento che nei Padri si trovavano espressioni esplicite della mediazione del Figlio nella processione.

È questa sostanzialmente la situazione che porterà all'importante dibattito durante il Concilio di Ferrara-Firenze.



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