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Ora di dottrina / 125 – Il supplemento

Il Concilio di Ferrara-Firenze e la riconciliazione con i Greci

Il Concilio che si riunì a Ferrara e poi a Firenze fu dedicato primariamente alla riconciliazione con i cristiani delle chiese orientali. Ciò significava innanzitutto affrontare la questione del Filioque. Vediamone le origini.

Catechismo 21_07_2024
Giovanni XI Bekkos, patriarca di Costantinopoli

Riprendiamo i nostri supplementi domenicali dedicati al tema delle crisi nella storia della Chiesa, che avevamo momentaneamente sospeso per portare la riflessione sul significato apologetico dei miracoli.

Il Grande Scisma d'Occidente era stato risolto in modo a dir poco rocambolesco dal Concilio di Costanza, ma l'assise convocata a Basilea si dimostrò terreno fecondo per una nuova divisione. Si è visto come papa Eugenio IV (1383-1447) abbia cercato una via d'uscita dalla piega scismatica che molti padri riuniti a Basilea avevano preso, con l'indizione di un nuovo concilio, che si riunì dapprima a Ferrara (1438-1439) e poi a Firenze (1439-1442), dedicato primariamente alla riconciliazione con i Greci, ossia i cristiani delle chiese orientali.

La riconciliazione con i Greci significava fondamentalmente (ma non esclusivamente) affrontare la questione del Filioque. Si tratta dell'introduzione nel testo del simbolo della fede dell'affermazione della processione dello Spirito Santo non solo dal Padre ma anche dal Figlio. Questione molto complessa, che ha richiesto sottili ma importanti distinzioni.

Il Simbolo costantinopolitano del 381 conosceva infatti la versione qui ex Patre procedit (nella versione greca, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον) senza l'aggiunta della processione dal Figlio. Tuttavia, occorre tener presente che nella “metà occidentale” della Chiesa, già dal V secolo, vi erano in realtà dei simboli che contenevano anche l'esplicitazione relativa al Figlio, che si radicherà maggiormente nel periodo carolingio, per finire con l'essere inserita nel Credo da papa Benedetto VIII (980-1024) nel 1014.

La disputa relativa al Filioque ci terrà impegnati per qualche domenica, perché comprendere quanto avvenuto storicamente, la dottrina sottesa e la reazione greca può divenire di grande utilità anche per affrontare la crisi attuale. Ma occorre andare con calma e prestare molta attenzione a come sono andate le cose.

Iniziamo mettendo alcuni punti fermi, che diventeranno fondamentali per la comprensione del problema. Si è anticipato che il Simbolo, frutto del primo Concilio di Costantinopoli, non riportava il Filioque. Tuttavia, nelle chiese latine, erano diffusi dei simboli della fede che invece affermavano la processione anche dal Figlio. Anzitutto, il cosiddetto Fides Damasi, che risale all'anno 500 circa, e che riporta l'espressione sed de Patre et Filio procedentem, affermatosi soprattutto nei territori della Spagna. Il simbolo Quicumque vult, detto anche “atanasiano”, godeva di un'autorità ancora maggiore, perché se ne attribuiva la paternità al grande sant'Atanasio, particolarmente venerato in Occidente come il campione della fede. Questo simbolo, che la critica fa invece risalire al V secolo, include l'espressione a Patre et Filio, affermando così la processione dello Spirito Santo da entrambi. Riguardo all'uso liturgico, il Filioque si diffuse principalmente all'interno del rito spagnolo mozarabico e dalla Spagna si diffuse nella Gallia Narbonese e poi in tutta la Gallia. La presenza del Filioque nei simboli nella Chiesa latina trova i suoi fondamenti nell'articolazione del pensiero di diversi Padri della Chiesa occidentale, tra cui sant'Agostino e sant'Ambrogio.

Questo breve inquadramento storico è di particolare importanza perché rivela due aspetti di rilievo: il primo riguarda il fatto che, per secoli, Oriente e Occidente hanno convissuto senza particolari problemi relativi al Filioque, accettando reciprocamente i diversi usi; il mondo greco, inoltre, venerava – e venera – come santi anche quei Padri che sostenevano la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. Il secondo aspetto riguarda la posizione della Chiesa di Roma. Il lettore avrà infatti notato che tra le Chiese che adottarono il Filioque non risulta quella romana, almeno fino alla svolta del Millennio. È fondamentale dedicare qualche riga alla posizione di papa Leone III (750-816), la cui santità è riconosciuta sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. San Leone III aveva esplicitamente difeso l'ortodossia della processione dello Spirito Santo sia dal Padre che dal Figlio, ma nello stesso tempo si era rifiutato di introdurre il Filioque nel Credo per la liturgia della Chiesa di Roma, nonostante le pressioni di Carlo Magno. Si era venuta così a creare la singolare situazione che tutte le Chiese d'Occidente, a partire dal Sinodo di Aquisgrana (809), cantavano il Credo con il Filioque nella liturgia, tranne la Chiesa di Roma. Inoltre, il papa proibì ai monaci latini insediatisi a Gerusalemme di conservare là il canto del Credo con il Filioque, uso che stava generando non pochi problemi “relazionali”. Atteggiamento di grande prudenza e sensibilità, che manifesta la consapevolezza di come la Chiesa greca non avrebbe accettato serenamente l'eventuale aggiunta del Filioque ad un simbolo che era stato deciso da un concilio ecumenico.

L'avvento di Fozio (ca 810-897) come patriarca di Costantinopoli costituisce un evento che ha acuito le difficoltà tra i due “emisferi della fede”. Nel suo La mistagogia del Santo Spirito, Fozio lanciava una decisa accusa alla Chiesa d'Occidente: secondo lui, la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio assesterebbe un colpo mortale alla dottrina trinitaria, perché non permetterebbe più di distinguere il Padre dal Figlio. La critica di Fozio era tutt'altro che banale: se lo Spirito Santo procedesse da entrambi, il Padre non sarebbe più l'unica causa eterna della divinità delle altre due Persone, che è invece un caposaldo della retta fede trinitaria, ma condividerebbe questa sua proprietà specifica con il Figlio e in questo modo non si distinguerebbe più da lui; inoltre, lo Spirito Santo risulterebbe subordinato al Padre e al Figlio.

Di fronte all'argomentazione di Fozio, i teologi carolingi iniziarono a barcollare, non riuscendo a fornire argomenti solidi; occorrerà attendere la scolastica più matura, in particolare san Tommaso d'Aquino nel suo Contra errores Græcorum, e gli ulteriori sviluppi, che vedremo emergere proprio nel Concilio di Firenze. Questa maggiore profondità nell'articolazione della dottrina riguardante la processione dello Spirito Santo permetterà ad alcuni Greci di comprendere la bontà della dottrina relativa al Filioque e la sua possibile armonizzazione con la dottrina dei Padri greci. Purtroppo però, come spesso accade, la disputa teologica non aveva più interessi squisitamente dottrinali, ma venne piegata a giustificare posizioni ormai già decise e consolidate sulla base di ragioni di altra natura, che avevano ormai alimentato un'ostilità montante.

Che ormai una buona parte dei Greci non volesse più l'unione con la Chiesa latina, e dunque con il Papa, fu abbastanza chiaro già al Concilio di Lione (1245), primo sinodo nel quale si tentò una riunione tra Latini e Greci. Significativa fu la vicenda legata a Giovanni XI Bekkos (ca 1225-1297). Bekkos, che era dapprima convinto dell’eresia latina, poté in seguito leggere le spiegazioni più mature della Chiesa latina relative al Filioque e approfondì il pensiero di alcuni Padri greci; si rese così conto che la posizione latina non era affatto eterodossa, ma conteneva solide ragioni e spiegava meglio alcuni testi patristici. Questa sua posizione gli costò le pene dell'Inferno. Ebbe la sfortuna di vivere e divenire patriarca di Costantinopoli al tempo dell'imperatore Michele VIII Paleologo, il quale pensava di riunificare Oriente e Occidente a suon di minacce e costrizioni. Dall'altro canto, la maggioranza dei Greci non voleva sentire ragioni di accordi e riunificazioni. Morto l'imperatore, Bekkos, ritenuto a torto la sua mano teologica, venne fatto oggetto di minacce di ogni genere, arrestato e imprigionato in un monastero; cedette così alle minacce, accettando di firmare una rinuncia delle sue posizioni favorevoli alla riunificazione. Posizione che poi abiurò, mantenendo la sua posizione unionista fino alla morte.



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