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Ora di dottrina / 127 – Il supplemento

Il Filioque nelle Sacre Scritture

Secondo gli ortodossi, da Fozio in poi, la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio non troverebbe riscontro nella Bibbia. La dottrina cattolica su Trinità immanente e Trinità economica. E il concetto-chiave (pro Filioque) nei capitoli 14-16 del Vangelo di San Giovanni.

Catechismo 01_09_2024
Trinità (Rublev)

«Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre egli mi renderà testimonianza» (Gv 15, 26). In generale, gli ortodossi, basandosi su questo passo evangelico, rivendicano la loro cristallina fedeltà al Vangelo nel professare la processione dello Spirito Santo dal solo Padre. Anche il Simbolo di Costantinopoli (381) era rimasto fedele al dettato evangelico, affermando l'“uscita” (dal verbo greco ekporeuo) dello Spirito Santo dal Padre, senza alcun riferimento al Figlio.

La posizione ortodossa rivendica dunque questa duplice fedeltà alle Sacre Scritture e al Concilio ecumenico, laddove invece i cattolici avrebbero “innovato”, aggiungendo la processione dello Spirito anche dal Figlio, che non troverebbe conferma né nelle prime né nel secondo. È collocandosi in questa prospettiva che si può comprendere come la posizione filoquista appaia agli occhi degli ortodossi una grave deviazione dalla retta fede e una rottura con la tradizione.

Tuttavia, la posizione ortodossa non è così lineare e così tradizionale come potrebbe sembrare a prima vista. Iniziamo con un semplice rilievo: la pericope evangelica appena citata appartiene al contesto più ampio dei capitoli 14-16 del quarto Vangelo, nei quali il Signore Gesù prepara i suoi discepoli alla sua morte ormai prossima e alla sua successiva ascensione al cielo, che avrebbe comportato il venir meno della sua presenza sensibile. In questo contesto, a più riprese, il Signore parla dello Spirito che egli avrebbe inviato, con espressioni che, nella disputa sul Filioque, i Latini hanno a loro volta opposto alla posizione del “solo Padre”: «il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26); lo Spirito Santo «mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà» (16, 14-15). Anche il passo citato in apertura, è preceduto da questa affermazione: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre...».

Come si può vedere, tutti questi versetti si collocano all'interno dello stesso contesto: l'invio dello Spirito da parte di Gesù Cristo, detto anche “invio economico”, perché non riguarda la Trinità immanente, ossia la vita e le relazioni interne alla SS. Trinità, ma la Trinità economica, ossia le sue operazioni ad extra. Questa osservazione è di estrema importanza e solleva uno dei problemi di fondo della disputa sul Filioque, ossia la corrispondenza tra Trinità immanente e Trinità economica: le operazioni trinitarie esterne riflettono l'immanenza della vita trinitaria?

La posizione cattolica afferma che la Trinità immanente è la stessa che si manifesta nelle sue operazioni ad extra; pertanto la missione temporale, dunque l'invio del Figlio e dello Spirito Santo nel mondo, riflettono le relazioni interne della Trinità. Se dunque, come risulta dai capitoli giovannei richiamati, non solo il Padre, ma anche il Figlio incarnato manda lo Spirito nel mondo, ciò riflette un “invio” interno alla vita trinitaria sia da parte del Padre che da parte del Figlio. Non v'è dubbio che questi passi giovannei riguardino l'invio temporale dello Spirito, ma se, come diciamo noi cattolici, tra Trinità immanente e Trinità economica c'è corrispondenza, allora questi passi corroborano la tesi della processione dello Spirito dal Figlio; se invece non c'è questa corrispondenza, come sostengono gli ortodossi, allora non è nemmeno possibile invocare Gv 15, 26 a sostegno della processione dello Spirito dal solo Padre, in quanto anche questo testo è inserito nell'invio economico dello Spirito.

Questa corrispondenza non è un'invenzione dei Latini. Se si pone attenzione ai testi che sottolineano la relazione tra Gesù e il Padre, si troverà sempre che è il Padre ad aver inviato il Figlio nel mondo, e non il contrario; che è il Figlio ad aver ricevuto tutto dal Padre e non viceversa, rispettando così la cosiddetta taxis (ordine) trinitaria. Si attesta così la corrispondenza tra la relazione Padre-Figlio intratrinitaria, dove è il Figlio ad essere generato eternamente dal Padre, e quella economica.

Nella prospettiva degli ortodossi questo parallelo armonico si spezza nella relazione dello Spirito con il Figlio, dal momento che Gesù manderebbe lo Spirito solo nella dimensione ad extra, e lo Spirito prenderebbe ciò che è del Figlio solo nella sua missione nel mondo, senza alcuna relazione con le relazioni delle Persone trinitarie. Questa rottura è singolare: mentre i Padri della Chiesa sono partiti dai testi che si riferiscono alla missione temporale del Figlio per inferire le relazioni trinitarie ad intra, questa inferenza non sarebbe più legittima per la processione dello Spirito Santo dal Figlio (in un prossimo articolo vedremo come i Padri latini abbiano invece confermato questa inferenza anche per lo Spirito).

Se si rileggono con attenzione i passi giovannei riportati, ci si può rendere conto che ve n'è uno che difficilmente può essere interpretato fermandosi alla Trinità economica; lo riprendiamo: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che [lo Spirito] prenderà del mio e ve l'annunzierà» (16, 14-15). Circa le sue relazioni con il Padre, Gesù ha spiegato agli apostoli di aver fatto conoscere loro «tutto ciò che ho udito dal Padre» (Gv 15, 15); questa espressione esprime non solo la relazione della sua umanità con il Padre, ma anche, per inferenza, la relazione della sua Persona divina con il Padre, perché il Figlio riceve eternamente tutto dal Padre (tranne il suo essere Padre). In questo caso, se pure si volesse negare tale inferenza (cosa che fecero gli ariani, ma non certo cattolici e ortodossi), ci potrebbe essere comunque l'“alibi” dell'umanità di Cristo: Gesù avrebbe udito tutto dal Padre in quanto è uomo; pertanto questo testo potrebbe non dire nulla sulla vita intratrinitaria. Ma nel caso dello Spirito Santo, cosa pensare del fatto che Egli debba prendere dal Figlio tutto ciò che questi ha ricevuto dal Padre? Che Egli debba udire dal Figlio per “ricordarlo” ai discepoli? Nello Spirito Santo, infatti, c'è una sola natura, quella divina: se dunque questa Persona deve ricevere dal Figlio, ciò significa che si tratta di una ricezione eterna non di qualche verità – perché lo Spirito Santo è Dio e Dio è onnisciente – ma della stessa propria Persona. Quel passo di Giovanni indica quindi che lo Spirito Santo riceve l'onniscienza, e dunque la divinità, di cui l'onniscienza è attributo, anche dal Figlio; prende tutto dal Figlio, oltre che dal Padre, perché procede dall'uno e dall'altro.

In realtà, che il testo di Gv 15, 26 intenda affermare la processione dello Spirito dal solo Padre, i Greci lo sostengono a partire da La mistagogia del Santo Spirito del patriarca Fozio (vedi qui), non prima. Lo stesso si dica della lettura esclusivista del Simbolo del Concilio di Costantinopoli, che storicamente aveva ben altro di mira, ossia l'affermazione della divinità dello Spirito Santo contro gli pneumatomachi (vedi qui): affermare l'origine dello Spirito (come del Figlio) dal Padre significava blindarne la divinità, distinguendolo però dal Figlio per il fatto che lo Spirito esce eternamente dal Padre non per generazione, ma per processione. Che la formula ex Patre volesse escludere la processione anche dal Figlio non era minimamente nelle intenzioni di quel Concilio; semplicemente, né lo negò né lo affermò; così come il passo di Gv 15, 26.

E questo spiega la pacifica convivenza delle due formule del Simbolo – con il Filioque per i Latini e senza per i Greci – fino al 1014. Dunque, l'affermazione della processione dal solo Padre, con esplicita esclusione del Figlio, non mostra, nonostante l'apparenza, una fedeltà alle Sacre Scritture e al Simbolo costantinopolitano, ma all'interpretazione che ne diede Fozio. Interpretazione che, come si è visto, ha generato altri problemi non risolti. Problemi che aumentano allorché vedremo le posizioni dei Padri.



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