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IL GIUBILEO LETTERARIO / 4

Il cardinale Stefaneschi, il Giubileo e la buona confessione

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Testimone del primo Giubileo della storia cristiana, il cardinale Jacopo Stefaneschi si soffermò nei suoi scritti sulla dottrina alla base del perdono giubilare, ricordando i tre passi per una confessione efficace.

Cultura 25_11_2024

Il cardinale Jacopo Stefaneschi (1260-1341) fu un testimone particolare del Giubileo del 1300 che ci lasciò memoria nelle sue opere di quell’anno eccezionale, di grazia, il centesimus annus. Tanto più eccezionale fu quell’evento, scrive Stefaneschi, perché si collocava in un periodo di grave crisi per la Chiesa.

Papa Niccolò III tenne il pontificato tra il 1277 e il 1280 favorendo la simonia e il nepotismo per accrescere il potere dei suoi parenti. In un momento in cui la Chiesa sembrava asservita alla monarchia francese di Carlo II d’Angiò e le potenti famiglie romane, come i Colonna e gli Orsini, alimentavano le contrapposizioni tra i cardinali, il monaco eremita Pietro da Morrone venne eletto papa col nome di Celestino V, un papa che finalmente avrebbe posto fine alle dispute tra le schiere cardinalizie e alla corruzione della Chiesa. Eppure, proprio quel papa, inadeguato agli impegni della Curia e alle responsabilità del soglio pontificio, con l’abdicazione solo dopo cinque mesi aprì la strada all’elezione papale di Benedetto Caetani, che prese il nome di Bonifacio VIII, tenace assertore della teocrazia, acceso nemico di Dante e di Iacopone da Todi, come di tutti i francescani spirituali.

In quegli anni travagliati, dopo l’elezione di Bonifacio VIII, Pietro da Morrone fu imprigionato nel castello di Fumone. Il papa entrò in conflitto anche col re di Francia Filippo il Bello, che nel 1303 lo fece imprigionare ad Anagni da Guglielmo di Nogaret. Il papa subì una grave umiliazione: liberato dal popolo, morì pochi mesi più tardi. Erano solo i primi segni della subalternità del papato al regno di Francia. Bertrand de Got, eletto papa nel 1305 col nome di Clemente V, trasferì la sede papale da Roma ad Avignone nel 1309.

Su questi decenni drammatici per la storia della Chiesa il cardinale Stefaneschi compose un poema in esametri intitolato Opus metricum nella cui prefazione scrive: «Per il ritorno dell’anno centesimo o giubileo, che ricorreva allora nel 1300, e per qualunque futuro anno centesimo, [papa Bonifacio VIII] confermò altresì e concesse una piena, più piena e pienissima remissione di tutti i peccati a coloro che, sinceramente pentiti e sinceramente avendo confessato i proprii peccati, visitassero le dimore degli apostoli e le loro basiliche in Roma, in ciascun anno centesimo, per quindici giorni, se forestieri, per trenta, se Romani, come risulta dalle sue lettere successivamente bollate ed è spiegato nel nostro libro sul Centesimo o Giubileo, che su quest’argomento abbiamo composto in prosa e in verso».

Nella prefazione il cardinale ricorda l’importanza della conoscenza diretta dell’evento e l’opportunità di tramandare i fatti alla posterità, perché, annota, «poco importa se un evento accaduto sia stato grandioso o insignificante, quando l’uno e l’altro vengono cancellati dall’oblio». Naturalmente, scritto 15 anni dopo l’evento, l’Opus metricum non ha l’obiettivo di incentivare il Giubileo, ma è dedicato alla memoria di quanti avrebbero partecipato ai futuri giubilei, perché possano prepararsi con l’anima e col cuore, e di quanti hanno vissuto il primo, perché possano confermarne gli effetti.

Per questa ragione il cardinale Stefaneschi si sofferma particolarmente sulla dottrina che illustra il perdono centenario. La base del perdono giubilare si trova nel ministero petrino, cioè nelle chiavi conferite a san Pietro e poi ai pontefici successivi. Di qui deriva la possibilità del papa di concedere l’indulgenza sulla pena che rimane dopo la remissione della colpa con la confessione, in virtù dei meriti sovrabbondanti di Cristo e dei santi.

Il Giubileo è così un invito alla conversione, che proviene dall’abbondanza del perdono concesso, e alla confessione completa dei peccati, anche quelli più irriducibilmente ostinati. La remissione avviene attraverso l’adempimento delle tre fasi della confessione: la contritio cordis («la contrizione del cuore»), la confessio oris («la confessione a parole») e la satisfactio operis («la soddisfazione per mezzo delle opere»).

Negli anni in cui il cardinale Stefaneschi ricordava il metodo di una confessione efficace, anche Dante poneva quel sacramento come strada della purificazione e della remissione dei peccati. Tre gradini di tre colori differenti introducono all’accesso al Purgatorio: il primo è bianco (la contrizione del cuore), il secondo è nero (la confessione a parole), il terzo è rosso (la soddisfazione con le opere). Davanti alla porta, Virgilio invita Dante a chiederne con umiltà l’apertura. Il poeta fiorentino si getta ai piedi di un angelo portiere e implora misericordia. Questa mendicanza, sottolineata dal cardinale Stefaneschi e da Dante, è l’atteggiamento, è la chiave del perdono che avviene per grazia. A noi tocca solo quest’umile richiesta di aiuto nella consapevolezza della pochezza della capacità umana e della necessità che sia Dio a soccorrerci e a salvarci.

Nell’Opus metricum il cardinale espone naturalmente anche i fatti del Giubileo in ordine cronologico, soffermandosi su alcuni temi, come il pellegrinaggio dei Romani e dei forestieri, l’ospitalità dei cittadini, la moderazione dei pellegrini, le elemosine (modeste) che vennero devolute alle basiliche. Affronta anche le necessità di approvvigionamento di Roma, invasa da forestieri come non era mai accaduto prima di quel momento. I prezzi di vitto e di alloggio crebbero a causa di quella moltitudine. Vennero presi dei provvedimenti per fronteggiare il numero dei pellegrini, come l’apertura di una porta nelle mura, e furono adottate misure annonarie per l’approvvigionamento di cereali alla popolazione. La preoccupazione era che non si verificassero carestie «mentre si desiderava la salvezza delle anime». Quanti avrebbero avuto la responsabilità dei prossimi giubilei avrebbero così potuto provvedere a un’efficace gestione delle risorse a disposizione.

L’Opus metricum si conclude con un’appendice documentaria, come spesso accade nella storiografia ecclesiastica. Dalle fonti risulta che papa Bonifacio VIII vietò ai penitenzieri di imporre penitenze diverse rispetto alle visite delle basiliche, nel numero e nella durata stabiliti dalla bolla giubilare.



IL GIUBILEO LETTERARIO / 3

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