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il vecchio leone cinese

Il cardinale Joseph Zen denuncia il regime sinodale

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Sinodo significa "camminare insieme", ma a quanto pare solo in una direzione opportunamente prestabilita, anche grazie a procedure raffinate nel corso del pontificato. L'anziano porporato di Hong Kong invita a vigilare di fronte alle chiare derive in atto.
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Ecclesia 06_10_2023

Nel pomeriggio di mercoledì, ACI Stampa ha lanciato la notizia della lettera che il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun ha inviato ad una trentina di cardinali e vescovi, il 26 settembre scorso, riportandone alcuni stralci. Si tratta di un appello alla vigilanza ed anche all’opposizione di fronte alle chiare derive di questo Sinodo.

Nella lettera si trova una decisa denuncia dell’agenda che i quadri di questo Sinodo stanno portando avanti, nonostante le false rassicurazioni al riguardo, che, secondo il cardinale Zen, sono «veramente un’offesa alla nostra intelligenza». Ma il cardinale cinese non si sofferma tanto sulla disamina dei contenuti, quanto su quella procedura architettata ad hoc per permettere a questo sinodo di provocare una vera rivoluzione nella Chiesa. Zen, in altre parole, ha fiutato nelle procedure sinodali quella tipica copertura democratica che ogni regime oligarchico sa abilmente manovrare per esercitare la più spietata tirannia.

Dietro ai proclami dell’ascolto dello Spirito Santo, della valorizzazione del sensus fidelium, della partecipazione del popolo di Dio, della parresia e della trasparenza, si trova un vero e proprio «piano di manipolazione», che al cardinale Zen, che di regimi ne sa qualcosa, risulta evidente e che riassume in questo modo: «Cominciano col dire che bisogna ascoltare tutti. Adagio adagio fanno capire che tra questi “tutti” ci sono specialmente quelli da noi “esclusi”. Finalmente, si capisce che si tratta di gente che opta per una morale sessuale diversa da quella della tradizione cattolica». Quindi l’invito ad una inclusività a tutto tondo, senza giudicare nessuno, che è presentato come la divisa ufficiale del Sinodo in corso, è funzionale allo sdoganamento dei comportamenti delle persone “accolte”.

A spingere in questa direzione è il continuo richiamo, da parte degli organizzatori del Sinodo, alla “conversazione nello Spirito”. Questo Sinodo sarà caratterizzato appunto da interventi che dovranno essere in linea con la “conversazione spirituale”. Nella pletora di documenti, sussidi e parole che caratterizzano questo Sinodo (ma non bisognava tacere per ascoltare lo Spirito?), troviamo che la “conversazione spirituale” sembra una seduta psicoterapeutica, nella quale il contenuto delle parole ascoltate e pronunciate praticamente non ha alcun valore di per sé. Si raccomanda infatti di «ascoltare gli altri senza giudizio», prestando attenzione «non solo alle parole, ma anche al tono e ai sentimenti di chi sta parlando»; poi il suggerimento di «evitare la tentazione di usare il tempo per preparare ciò che si dirà invece di ascoltare» e la raccomandazione di controllare «le possibili tendenze ad essere egocentrico» quando si parla. Si tratta in sostanza di una castrazione preventiva di qualsiasi intervento che si volesse situare nella linea della difesa della dottrina della Chiesa e persino della semplice discussione. Questa fissazione sulla modalità della conversazione piuttosto che sui contenuti indica già abbastanza chiaramente che questi ultimi sono già stati decisi in altre stanze.

Giustamente, il cardinale Zen manifesta più che un sospetto di fronte alla regola sinodale del «conversare, ma non discutere»: «Ma allora il consenso e l’unanimità avvengono miracolosamente? (…) Evitare discussioni è evitare la verità». E, con singolare perspicacia, consiglia ai confratelli: «Non dovete obbedire a loro quando dicono di andare a pregare, interrompendo i lavori. Rispondete che è ridicolo pensare che lo Spirito Santo stia aspettando le vostre preghiere dell’ultimo momento».

Altre anomalie procedurali fanno nascere più di un sospetto, come l’inversione dell'abituale procedura dei sinodi, che faceva precedere il dibattito nell’Assemblea generale al lavoro nei più ristretti gruppi linguistici. Ed ancor più la decisione del Papa di aggiungere 70 membri non vescovi, inclusi i laici, con diritto di voto «senza nessuna consultazione, nella immediata vicinanza del Sinodo». «Se io fossi uno dei membri ‒ incalza Zen ‒, farei una forte protesta, perché questo cambia sostanzialmente il Sinodo dei vescovi». È quanto ha messo in luce padre Gerald Murray al Convegno del 3 ottobre scorso (vedi qui). Zen fa notare che, sotto questo punto di vista, il Sinodo in corso è decisamente più radicale di quello tedesco, perché in quest’ultimo almeno «i voti dei Vescovi e quelli dei laici» sono stati «separatamente contati».

Un altro cambiamento a gara iniziata è stata l’aggiunta della sessione sinodale del 2024: «Il mio malizioso sospetto ‒ spiega il Cardinale ‒ è che gli organizzatori, non sicuri di raggiungere in questa sessione ciò a cui mirano, sperano di aver tempo di preparare altre manovre».

In effetti, è più che una sensazione che nei sinodi celebrati sotto questo pontificato ci sia stato un progressivo aggiustamento di procedure mirate a ridurre al minimo fattori disturbanti. Il Sinodo sulla Famiglia aveva messo sufficientemente in luce che la normale procedura presentava troppi rischi: c’erano ancora abbastanza vescovi che avevano coraggio e preparazione sufficienti per mettere i bastoni tra le ruote e rallentare l’onda della rivoluzione, esercitando anche una non trascurabile influenza verso molti confratelli. Non si deve dimenticare che il Papa dovette decidere il colpo di mano di reinserire nella Relatio Synodi finale anche quei tre paragrafi che non avevano raggiunto i due terzi dei voti favorevoli, e che dunque non avrebbero dovuto comparire nel documento finale.

Era già chiaro allora che Francesco non aveva alcuna remora a cambiare in corsa regole e procedure pro domo sua. Quest’ultimo sinodo è stato, da questo punto di vista, il capolavoro di un tale atteggiamento e il cardinale Zen lo mette lucidamente in evidenza. L’apparente procedimento più democratico è il paravento e lo strumento di cui si serve una ben precisa oligarchia per raggiungere i propri scopi, mentre tutti salutano meravigliati la nuova grande chiesa democratica. Zen acutamente domanda: «ma sono sicuri che questi laici invitati siano fideles? che almeno vadano in chiesa? Si noti che questi laici non sono stati eletti dal popolo cristiano praticante».

Quando apparve il Documento di lavoro, avevamo già fatto notare come le sintesi riportate dimostravano, nel loro frasario ideologico e del tutto estraneo al linguaggio della fede dei semplici, che ad essere rappresentato non era affatto il popolo dei fedeli, ma quella porzione opportunamente ideologizzata, con un duplice processo di falsificazione, che andava dagli oligarchi ai fedeli “scelti” e poi da quest’ultimi nuovamente all’oligarchia. Al sensus fidei si è così sovrapposta una «consultatio fidelium, ideologicamente condotta e riportata». Il Papa ha oltretutto sfruttato la sua facoltà di scegliere personalmente una porzione di membri del Sinodo per includere quegli “esclusi” che nessuno aveva voluto, come Mons. Paglia e il cardinale McElroy, accomunati dalla promozione dell’agenda rivoluzionaria.

È la normale tecnica di regime: si è democratici, fino a quando il demos, opportunamente catechizzato, va nella linea imposta; quando questo non avviene, l’oligarchia sceglie altre strade. In ogni caso, è sempre l’oligarchia che comanda.

 



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