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Il capo dei vescovi asiatici è con Zen: «Hong Kong è uno stato di polizia»

Il cardinale birmano Charles Maung Bo, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, affida alla Bussola un messaggio di vicinanza al confratello cardinale Zen dopo l'arresto e denuncia: «Hong Kong era una delle città più libere e aperte dell'Asia, oggi è stata trasformata in uno Stato di polizia. È spaventoso che il governo abbia infranto le promesse siglate in un trattato internazionale». L'appello a tutti i cristiani: «Il 24 maggio tutte le Chiese preghino Maria Ausiliatrice e facciano Messe votive per la libertà religiosa».  

Libertà religiosa 14_05_2022 English

Si leva la voce di un cardinale contro la deriva liberticida ad Hong Kong. E non è una voce qualunque: è quella di Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e soprattutto presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche, che di fronte all'arresto del suo confratello Joseph Zen ha deciso di non rimanere in silenzio. In una dichiarazione concessa in esclusiva alla Nuova Bussola Quotidiana, infatti, il porporato birmano ha espresso tutta la sua preoccupazione per la situazione dei diritti umani e della libertà religiosa nell'ex colonia britannica. 

«In qualità di presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, e dopo l'arresto, l'11 maggio scorso, del mio fratello cardinale e confratello salesiano, il cardinale Joseph Zen, desidero esprimere la mia profonda preoccupazione per la situazione dei diritti umani e per le minacce alla libertà religiosa a Hong Kong», ci dice l'arcivescovo di Yangon, lanciando un invito ai «cattolici e alla più ampia comunità cristiana in tutto il mondo a pregare per Hong Kong» ed esortando «la comunità internazionale a continuare a monitorare la situazione e ad esprimersi a favore della libertà e della giustizia».

«Hong Kong - afferma il cardinal Bo alla Nuova Bussola Quotidiana - era una delle città più libere e aperte dell'Asia, oggi è stata trasformata in uno Stato di polizia». Per l'arcivescovo di Yangon, «la libertà di espressione, la libertà di stampa, la libertà di riunione e di associazione e la libertà accademica sono state tutte smantellate». L'incarcerazione di un cardinale, già arcivescovo, peraltro novantenne e conosciuto in tutto il mondo per le sue battaglie pro-democrazia, è un durissimo colpo alla comunità cattolica locale che si trova a dover fare i conti con una situazione generale destinata a scivolare sempre più verso la repressione della libertà religiosa.

«LA CINA E' REPRESSIVA»
«Sono consapevole - aggiunge il cardinal Bo - dei recenti attacchi di propaganda contro la Chiesa nei media pro-Pechino a Hong Kong e della crescente autocensura tra i leader religiosi a causa delle circostanze: vedere una città che era un faro per la libertà, inclusa la libertà religiosa, muoversi così radicalmente e rapidamente lungo un percorso molto più oscuro e repressivo è straziante. Vedere il governo cinese infrangere le promesse fatte in un trattato internazionale, la dichiarazione congiunta sino-britannica, così ripetutamente e palesemente, è spaventoso».

Parole coraggiose di un prelato che anche in passato non aveva esitato a lanciare l'allarme sui rischi liberticidi della nuova legge sulla sicurezza nazionale, entrata in vigore nel 2020. Lo stesso cardinale Zen aveva apprezzato l'iniziativa del suo confratello birmano, condividendo sui social l'appello fatto a tutti i fedeli del mondo a pregare per Hong Kong. E a proposito della legislazione, nella sua dichiarazione alla Bussola il cardinale Bo osserva che «i primi segnali indicano che la libertà di religione o di credo, un diritto umano sancito dall'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, a cui Hong Kong ha aderito, è minacciata».

«UN PUNTO DI NON RITORNO»
L'arresto del cardinale Joseph Zen con l'accusa di collusione con forze straniere è probabilmente un punto di non ritorno nella storia di quella che Pechino chiama la democrazia con caratteristiche di Hong Kong. Nel 2014, ai tempi delle proteste del movimento Occupy Central a difesa della democrazia a cui lui stesso aveva aderito, l'arcivescovo emerito di Hong Kong aveva avvertito le autorità locali, affermando che «se cominciano ad arrestare qualcuno io vado a consegnarmi, perché anch'io vi ho partecipato. Devono arrestare me, prima». Otto anni dopo, quella che sembrava una provocazione, è diventata realtà con la notizia di un porporato novantenne trattenuto ed interrogato nella stazione di polizia di Chai Wan e poi rilasciato dopo ore su cauzione dopo la confisca del passaporto ai sensi della legge di sicurezza nazionale.

L'arresto di Zen, simbolo della lotta pro-democrazia, aumenta gli interrogativi sull'effettiva sopravvivenza del principio un Paese due sistemi e induce ad essere poco ottimisti sul fatto che la libertà religiosa e di espressione potranno continuare ad essere davvero garantite dalla Basic Law. Il cardinale Charles Maung Bo scende in campo in difesa di Zen, chiamandolo «il mio fratello Cardinale» che «è stato arrestato e accusato semplicemente perché ha servito come amministratore fiduciario di un fondo che ha fornito assistenza legale agli attivisti che devono affrontare cause giudiziarie». «In qualsiasi sistema in cui esiste lo stato di diritto, fornire assistenza per aiutare le persone che devono affrontare un'accusa a far fronte alle loro spese legali è un diritto corretto e accettato. Come può essere un reato aiutare gli imputati ad avere difesa e rappresentanza legale?», si chiede il cardinale birmano. 

L'APPELLO
Di fronte all'involuzione in corso sui diritti umani nell'ex colonia britannica, Bo invita tutti i fedeli a confidare nella forza della preghiera. Infatti, ci spiega il cardinale: «Il 24 maggio la Chiesa celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per la Chiesa in Cina e la Festa di Maria Ausiliatrice e, per la Cina, Nostra Madre di Sheshan; l'anno scorso ho chiesto che questa fosse trasformata in una Settimana di preghiera ogni anno, e sono stato rincuorato quando un gruppo di laici cattolici in tutto il mondo ha accolto il mio invito e ha istituito la Settimana globale di preghiera per la Cina. Quest'anno esorto i cristiani di tutte le tradizioni, a pregare ovunque per Hong Kong in particolare, e per la Chiesa in Cina, così come per gli uiguri, i tibetani e altri che subiscono persecuzioni in Cina, durante quella Settimana di preghiera, e a pregare specialmente per il cardinale Zen il 24 maggio stesso mentre cerchiamo le preghiere di Maria Ausiliatrice.

Ove possibile, le chiese potrebbero prendere in considerazione una messa votiva in questo giorno». Un appello che, tramite il nostro giornale, il presidente dei vescovi asiatici sente di dover rivolgere soprattutto ai fedeli che non vedono minacciata la loro libertà religiosa come invece accade ai cattolici cinesi e hongkonghesi: «Per il popolo di Hong Kong - conclude Bo - è ora sempre più difficile parlare liberamente, quindi quelli di noi al di fuori di Hong Kong che hanno una voce devono usarla a loro nome e dedicare le nostre preghiere e i nostri sforzi a mostrare solidarietà e sostegno per loro, in la speranza che un giorno le loro libertà saranno ripristinate».