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Delirio in Scozia

Il bimbo-lupo ci proietta verso la disforia di specie

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Una scuola scozzese ottiene di assecondare il delirio di un minore che si crede lupo. E conia l'espressione “disforia di specie”, che non esiste in letteratura. Tutti i disturbi deliranti verranno prontamente sanati dal politicamente corretto.

Vita e bioetica 02_10_2024

C’era una volta un bimbo che si credeva un lupo. Non è l’inizio di una favola, ma l’inizio di un pezzo di cronaca. Il pezzo di cronaca è stato scritto dal Daily Mail  il quale ci informa che un bambino che frequenta le scuole medie in Scozia si crede un lupo e gli organi scolastici hanno permesso allo studente di identificarsi ufficialmente come tale. Forse le vere bestie sono i docenti, il preside e il personale amministrativo che hanno concesso simile facoltà.

Il personale scolastico ha fatto sapere che ha offerto allo studente un supporto psicologico da un «operatore del benessere» (figura professionale che vorremmo costantemente accanto a ciascuno di noi, ammettiamolo). L’operatore ha informato che, per trattare il caso del bambino-lupo, ha usato le linee guida del governo scozzese chiamate Getting It Right For Every Child (Girfec), ossia Far la cosa giusta per ogni bambino. E all’operatore e alla scuola è parso giusto assecondare il delirio del minore che da fantasia carnevalesca, grazie all’intervento degli adulti, si è consolidata in un atteggiamento potremmo dire psicotico.

Nelle linee guida c’è uno strumento che si chiama Ruota del benessere che aiuta i bambini a «superare le disuguaglianze» e ad assicurare che le loro esigenze e il loro parere saranno ascoltati in quelle «decisioni che riguardano la loro vita». Dunque, se il bimbo si crede lupo occorre assecondarlo. Possiamo solo immaginare cosa potrebbe accadere al resto della classe o a tante altre classi qualora alcuni studenti non particolarmente brillanti a scuola si sentissero degli asini. Lo studente lupastro è stato anche astuto o fortunato, dato che ha scelto una specie protetta e dunque potrà ululare in classe senza tema di essere zittito perché tutelato dal divieto di non discriminazione.

La scuola ha fatto sapere che la questione è seria e non risibile, dato che il discente soffre di disforia di specie, espressione che ovviamente è assente in letteratura scientifica (ma non temete che prima o poi comparirà). E così come c’è chi è uomo e si crede donna – e questa è la famigerata disforia di genere – ora c’è anche chi è essere umano e si crede animale – e questa è la disforia di specie. Ora, se il mio percepito riferito alla mia persona deve essere sempre riconosciuto da terzi, ne consegue che le categorie della disforia saranno numerose come le autopercezioni, perché non si può discriminare tra disforia e disforia.

Dunque, potremmo avere la disforia di regno: una persona si crede una felce oppure un muschio o un’ortica o infine un cristallo di quarzo; la disforia di artificiosità se uno si crede un robot, uno smartphone, un castello o, in caso di bassa stima di sé, un bidet; la disforia di realtà se uno pensa di essere un personaggio di fantasia: se un bambino è un lupo, nulla vieta che la sua compagna di banco possa essere Cappuccetto Rosso; la disforia religiosa, quando un credente ritiene di essere un angelo, un demone o addirittura Dio con tutte le prerogative che dovremmo riconoscerGli; la disforia filosofica, se Tizio pensa di essere un concetto o un’ideologia o una tesi di pensiero; la disforia grammaticale o sintattica, se uno crede di essere un articolo determinativo o una subordinata; la disforia personale se Carlo pensa di essere Marco (forse a motivo dell’avvenente moglie di Marco), la quale disforia ha più declinazioni. Ad esempio quella storica: Caio che si crede Napoleone o Giulio Cesare o Dante. Oppure quella professionale: Sempronio, che è contabile, si crede un neurochirurgo o un pilota di aerei di linea (e dato che non potete discriminarlo pregate che non diventi vostro medico o che non dobbiate imbarcarvi sull’aereo pilotato da lui). Tutti disturbi deliranti che verranno prontamente sanati dal politicamente corretto.

Torniamo alla notizia del bimbo lupo a cui sommessamente consigliamo, se incline alla socialità, di evitare di incontrarsi con i suoi simili. Dopo aver letto che i docenti assecondano la credenza lupesca del loro studente, dobbiamo allora constatare che esiste una disforia più pericolosa delle altre: la disforia dell’intelletto. Essere stolti e credersi intelligenti.