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INTERVISTA / MARTINO D'AUSTRIA-ESTE

Il beato Carlo d’Asburgo: la politica come “servizio santo” ai popoli

Alla Bussola l’arciduca Martino d’Austria-Este parla del nonno, l’ultimo imperatore d’Austria, di cui oggi ricorre la memoria liturgica nell’anniversario delle nozze con Zita di Borbone-Parma. Dall’isola di Madeira, dove morì giovanissimo in esilio nel 1922, al mondo intero è diffusa la devozione verso il sovrano che san Giovanni Paolo II beatificò nel 2004 proponendolo a modello di politico e uomo di pace.

Ecclesia 21_10_2022

Nell’anno del centenario dalla morte, assume un particolare rilievo la memoria liturgica del beato Carlo d’Asburgo (1887-1922), ultimo imperatore d’Austria, che la Chiesa celebra il 21 ottobre, data delle nozze con Zita di Borbone-Parma (1892-1989). La devozione al santo imperatore è tuttora diffusa nel mondo attraverso la Gebetsliga, la Lega di preghiera nata quando Carlo era ancora bambino, su consiglio di una mistica ungherese, madre Vincenzina: «La gente deve pregare molto per il piccolo arciduca, perché un giorno egli diventerà imperatore; dovrà soffrire molto e sarà un bersaglio speciale da parte dell'inferno».
Salito al trono dopo il lungo regno del prozio Francesco Giuseppe, Carlo si distinse come uomo di pace nel drammatico frangente della Prima Guerra Mondiale, cercando di raccogliere – unico tra i governanti europei – l’appello di Benedetto XV a fermare «l’inutile strage».
Beatificandolo nel 2004 Giovanni Paolo II ricordò che in ogni circostanza, politica e familiare, l’imperatore si impegnava a «cercare in tutto la volontà di Dio, riconoscerla e seguirla» e «concepì la sua carica come servizio santo ai suoi popoli»: una vocazione sacra su cui non poteva “negoziare”, diventando sgradito al nuovo governo repubblicano che ne decretò l’esilio sull’isola di Madeira, dove morì di stenti a soli 35 anni il 1° aprile 1922, lasciando la giovane moglie Zita e otto figli piccoli.

Una figura che non perde di attualità come modello politico e familiare, e incarna per l’Europa odierna un messaggio di riconciliazione tra i popoli e con le proprie radici cristiane, come racconta a La Nuova Bussola Quotidiana S.A.I.R. l’arciduca Martino d’Austria-Este, nipote del beato.

Altezza, partiamo da Madeira: è ancora radicata la devozione al beato Carlo a un secolo dalla morte?
Il pellegrinaggio per il centenario, il 1° aprile a Madeira, proprio sulla tomba del beato Carlo, è stato molto sentito non solo in famiglia, ma anche dalla popolazione locale che nutre grande venerazione per il nonno. La tomba è sempre fiorita, c’è sempre gente che viene a pregare, il vescovo ha celebrato la Messa pontificale… si vede che il beato Carlo è amato a Madeira.

Dunque, c’è una memoria viva, non solo una tomba…
No, assolutamente, al contrario. Dall'aeroporto ho preso un taxi e il tassista mi ha chiesto da dove venivo, cosa facevo, eccetera, e quando ho detto che sono austriaco mi ha risposto: «Ah, ma ci sono tanti suoi connazionali che vengono per il beato Carlo!». Anche la popolazione partecipa e hanno organizzato un anno interamente dedicato a lui.

Ora noi lo vediamo sugli altari, ma per voi nipoti qual era il rapporto con questa figura del nonno, che avete conosciuto indirettamente ma tramite la testimonianza privilegiata dell’imperatrice Zita?
Quando eravamo piccoli non ne parlavamo tanto, forse per pudore, ma anche per una certa discrezione perché già tutto il processo era in essere. Soltanto dopo, quando eravamo più grandicelli, diciamo verso i 12 anni, ce ne hanno parlato di più, ma per noi era il nonno, non “il beato”. Poi abbiamo conosciuto la Liga e partecipato alle riunioni, sia organizzative sia di preghiera, ma molto più tardi.

Tra il beato Carlo e san Giovanni Paolo II c’è un intreccio persino nelle date della morte (rispettivamente 1° e 2 aprile) e ora della memoria liturgica (21 e 22 ottobre). Non è provvidenziale che sia stato beatificato da lui, che si chiamava Karol proprio per l’ammirazione che il padre del futuro Papa nutriva per il giovane sovrano?
Guardi, ho avuto esattamente la stessa impressione, identica: l’ultimo dei cinque beati proclamati quel giorno è stato proprio lui, e parlandone poco dopo noi cugini abbiamo avuto tutti l’impressione che si chiudesse un cerchio.

In precedenza, Giovanni Paolo II aveva ricevuto più di una volta la famiglia Asburgo…
Io ero presente a una di queste udienze ed è stata per noi molto emozionante. Era la messa del mattino, abbastanza presto, e dovevamo cantare. Dopo lui ci ha ricevuto, ci ha salutato tutti, e all’uscita, vedendo me, che sono un po’ più alto della media, mi ha chiesto: «Come va, com’è l’aria lassù?». Con lui ci siamo sentiti veramente in famiglia.

È vero che il Papa si rivolse a sua nonna chiamandola «la mia imperatrice»?
È vero, è vero: io in quell’occasione non ero presente ma tanta gente me lo ha raccontato.

Gli Asburgo hanno fatto la storia d’Europa ma ora hanno l’onore e l’onere di veicolare quei valori umani e cristiani incarnati dal beato Carlo: si può affermare, in qualche modo, che suo nonno vi abbia trasmesso una “vocazione” di famiglia?
Assolutamente, e lo dobbiamo alla nonna, che ha continuato a trasmetterci quei valori, ai nostri genitori, agli zii e alle zie e così via, che hanno sempre tenuto alti quei principi, l’attaccamento alla Chiesa e alla fede. La nonna ci ha trasmesso tutto questo con il suo esempio, lei che ha vissuto cose enormi sul piano storico, ed era sempre discreta, sempre umile. Uno dei frutti consiste anche nelle vocazioni  sacerdotali: per tre secoli non ce ne sono state in famiglia e adesso abbiamo dei cugini sacerdoti, tra cui il figlio di un mio cugino che ha fatto una testimonianza anche durante le celebrazioni del centenario. È una ricaduta delle grazie che abbiamo ricevuto dal beato Carlo e attraverso il suo esempio.

Anche sua nonna, l’imperatrice Zita, è “candidata” agli altari?
Sì, è stata proclamata serva di Dio e il processo sta andando avanti.

Un’Europa lontana dalle proprie radici cristiane, può ancora guardare a un imperatore santo? O forse oggi è ancora più necessario?
Ahimè, sì: vede, la storia ha dei ricorsi curiosi. Adesso c’è la guerra in Ucraina, nel territorio che un tempo si chiamava Galizia. Il nonno era stato di stanza proprio lì per due anni, pertanto conosceva bene il Paese. A maggior ragione andrebbe invocato oggi come paladino della pace.

Quindi, non si può relegare questa figura nel passato?
No, no, è proprio qui la bellezza della proclamazione dei beati e dei santi: sono eterni, si possono calare in ogni situazione di ogni tempo. Al giorno d’oggi si può indicare anche lui come esempio di capo di Stato e uomo di pace, ed è proprio quello che ha fatto Giovanni Paolo II. La Gebetsliga sta fortemente ponendo l’accento su questo: uomo di pace, capo di Stato e anche padre di famiglia, visto che ai nostri giorni la famiglia è minacciata. Tutti questi motivi per cui è stato proclamato beato sono oggi da riscoprire.

Altezza, grazie per il tempo che ci ha dedicato…
Sono io che la ringrazio. Il tempo impiegato per il beato Carlo è un tempo investito bene (e glielo dico da uomo pratico, da imprenditore) perché ritorna non solo quando saremo lassù, ma già adesso. E poi devo dire che sono privilegiato: una volta durante una conferenza ho detto che sono “raccomandato”, perché chiedo direttamente al nonno di aiutarmi e guardi che funziona sempre...!