I vescovi ucraini dal Papa, le incomprensioni restano
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I vescovi greco-cattolici ucraini, ricevuti ieri in udienza da Francesco, hanno espresso «una certa delusione del popolo ucraino» per l’atteggiamento sulla Russia. Ma la Santa Sede non ci sta e filtra l’irritazione del Papa e di Parolin.
Si può dire che la riunione annuale del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina a Roma sia capitata proprio come “il cacio sui maccheroni”. Difficile immaginare una tempistica migliore: i vescovi ucraini sono arrivati nella Città Eterna nemmeno due settimane dopo il videomessaggio del Papa a San Pietroburgo con il richiamo ai giovani cattolici locali sull'eredità di Pietro il Grande, di Caterina II e dell'impero russo.
Parole che avevano fatto rizzare i capelli a monsignor Svjatoslav Shevchuk (nella foto con il Papa, nel novembre 2021) e a tutta la comunità greco-cattolica ucraina. Un primo chiarimento c'è stato nella conferenza stampa sul volo dalla Mongolia quando Francesco ha spiegato che le sue parole andavano inquadrate in ambito culturale e non politico. È presumibile che dopo lo scoppio delle polemiche e la presa di posizione di Shevchuk, che in una nota aveva biasimato le dichiarazioni del Papa ai giovani cattolici russi pretendendo una spiegazione pubblica della Santa Sede, ci possa essere stato anche un contatto privato tra i due. Dall'inizio della guerra nel febbraio 2022, nonostante non siano mancate le incomprensioni, la linea telefonica tra Santa Marta e l'Arcivescovato maggiore di Kiev-Halyč ha continuato ad essere intensa, in certi periodi persino quotidiana.
Il Papa, infatti, mai ha fatto venir meno il suo sostegno al popolo ucraino ma con i vertici greco-cattolici ucraini non sempre c'è stata identità di vedute sull'atteggiamento da adottare con la Russia. Una diversità che non è cominciata allo scoppio della guerra ma che esisteva anche negli anni precedenti a proposito delle relazioni con il Patriarcato di Mosca. Shevchuk aveva anticipato nella nota di protesta che presto ci sarebbe stata l'occasione di presentare personalmente al Papa «i dubbi e il dolore del popolo ucraino». L'occasione si è presentata ieri nell'udienza concessa ai vescovi del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ricevuti in udienza nello studio dell’Aula Paolo VI. L'argomento è stato affrontato, come ammette anche il comunicato diramato dalla Sala Stampa della Santa Sede. Il Papa si è dovuto chiarire e per farlo ha fatto riferimento alla risposta già data in aereo alla domanda del giornalista dell'Ansa, Fausto Gasparroni.
Quello che però non è menzionato nella comunicazione della Sala Stampa della Santa Sede è l'aspetto giornalisticamente più rilevante dell'udienza privata e che conosciamo solo grazie ad una nota del segretariato di Shevchuk. Questa circostanza dovrebbe indurre ad una seria riflessione sul modello d'informazione centralizzato scelto per raccontare il prossimo Sinodo sulla sinodalità.
In ogni caso, dalla nota dei collaboratori dell'arcivescovo maggiore di Kiev-Halyč si è appreso che la conversazione è stata «franca» e che i vescovi ucraini «hanno espresso il dolore, la sofferenza e una certa delusione del popolo ucraino». Franchezza c'è stata anche da parte di Francesco che non deve aver incassato piacevolmente le rimostranze e ha detto ai presuli che «il fatto che abbiate dubitato con chi sia il Papa è stato particolarmente doloroso per il popolo ucraino». L'irritazione della Santa Sede è filtrata anche da un altro incontro con il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha lodato la Chiesa greco-cattolica ucraina per l'impegno in prima linea ma ci ha tenuto a rimarcare le missioni umanitarie inviate dal Papa nelle zone di guerra, aggiungendo che «di fronte a tali ripetuti e significativi gesti sarebbe ingiusto dubitare del suo affetto per il popolo ucraino e del suo sforzo, non sempre compreso e apprezzato, di contribuire a porre fine alla tragedia in atto e ad assicurare una pace giusta e stabile attraverso il negoziato». Le parole di Francesco e di Parolin manifestano il fastidio vaticano per le dichiarazioni inizialmente scettiche di Shevchuk sull'utilità della missione guidata dal cardinale Matteo Maria Zuppi e l'intervista in cui l'arcivescovo disse che «per qualche ragione è successo durante la guerra che il Papa non capisse l'Ucraina, e l'Ucraina non capisse il Papa».
Nell'udienza di ieri il capo della Chiesa greco-cattolica ha avuto modo di regalare al Santo Padre alcuni oggetti personali di padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Haleta, membri della Congregazione del Santissimo Redentore, rapiti e ancora nelle mani dei russi. L'arcivescovo ucraino ha chiesto l'aiuto di Francesco per arrivare alla loro liberazione. Il Papa ha rimarcato la «dimensione di martirialità » degli ucraini e ha condannato la guerra come «una cosa del diavolo, che vuole distruggere».
In generale, il confronto tra la Chiesa greco-cattolica ucraina e la Santa Sede è inevitabilmente da anni sottoposto a continue fibrillazioni perché le legittime preoccupazioni diplomatiche ed ecumeniche che muovono la politica della Santa Sede sono spesso più difficilmente comprensibili dalla comunità ecclesiale che vive ogni giorno in un confine così problematico. L'udienza di ieri sembra aver dimostrato lo spirito di parresia dei vescovi ucraini che, nel bene o nel male, discende da quell'«umanamente inspiegabile fecondità della Chiesa greco-cattolica ucraina negli anni bui della persecuzione» evocata da san Giovanni Paolo II parlando del metropolita Andrea Szeptycky [cfr. A. Babiak con presentazione di G. Codevilla, Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrej Szeptyckyj (1865-1944), Il Pozzo di Giacobbe].
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