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NICHILISMO GENERAZIONALE

I suicidi del liceo monzese e il vuoto degli adulti

Due studenti del rinomato liceo scientifico Frisi si uccidono, la risposta della scuola è l'incapacità di offrire risposte, lo stringersi vicini e gli psicologi. Nulla di peggio per un giovane che cerca negli adulti qualcuno che sappia spiegargli perché valga la pena esserci. Qualcuno che lo sfidi a domandarsi se le risposte del mondo (sballo, ambientalismo, successo etc) sono davvero sufficienti. E che abbia il coraggio di prendere sul serio l'ipotesi che la sua generazione ha rifiutato. 

Editoriali 15_02_2020

Non c’è niente di più insensato che rispondere alla mancanza di senso con la sua assenza. Eppure non deve aver trovato altro da dire la dirigenza del Liceo scientifico Frisi di Monza di fronte al suicidio, nel giro di pochi giorni, di due suoi alunni.

Scrive Lucia Castellana, preside di uno degli istituti più rinomati della provincia: «Gli eventi che in pochi giorni si sono abbattuti su di noi sono più grandi di ogni nostro possibile sforzo di comprensione. Il grande dolore che noi tutti stiamo vivendo annulla tutte le differenze. Non ci sono più studenti, docenti, dirigente, segretari, collaboratori scolastici e genitori. Siamo tutti un’unica comunità sofferente e siamo tutti uguali. Siamo cuori insieme ad altri cuori, siamo mani che stringono altre mani, siamo abbracci che si stringono intorno ad altri abbracci, siamo esseri umani e per questo fragili, senza risposte di fronte al grande mistero della vita». Parole pesanti quelle di Castellana: «Siamo senza risposte» e, ancora, «il grande dolore…annulla tutte le differenze».

Eppure, non c’è comunicazione peggiore da parte del mondo adulto di un generico “siamo uguali”, che poi è come dire “spiacente, non ho nulla da tramandarti”. Perché l’età della giovinezza è l’età delle domande: “Come mai sono al mondo?”; “Chi mi ha voluto?”; “Per cosa vale la pena vivere?". Quesiti che pretendono delle risposte. Che urgono, quindi, una generazione adulta in grado di offrire un senso per vivere e che insegni la fatica del riconoscerlo e dell’offrire l’esistenza per esso.

A conferma c’è il fatto che il mondo giovanile sia spesso fortemente ribelle, come a chiedere uno sguardo su di sé, che poi è l’espressione di una sola profonda esigenza, quella di essere amati. Di un significato che sia corrispondente al bisogno di verità che alberga nel cuore umano, ma che nello stesso tempo sia affettivo. Di un amore incondizionato per cui solo vale davvero la pena vivere. Senza l’ipotesi che ci sia qualcosa di simile, l’esistenza si riduce ad un insieme di cose da fare e da ottenere, ma di una portata che non può bastare a nessuno. Figurarsi ad un giovane. Per questo si parlò nel ’68 di ribellione contro l’ideale borghese. È solo che i figli di quella rivoluzione oggi non sanno che predicare, se non l’assenza di limiti che spinge i ragazzi a disperarsi nello sballo per dimenticare il peso di un'esistenza insensata. Come alternativa resta solo l’ideale del successo (uno dei motivi per cui il Liceo Frisi è noto), così che i ragazzi sono spronati alla performance per la performance. Alla riuscita fine a sé stessa, non tanto “perché tu vali” o perché “c’è qualcosa per cui vale la pena conoscere”. E infatti, sebbene uno dei due giovani corrispondesse perfettamente agli obiettivi alti del liceo (aveva vinto una borsa di studio), non gli bastava a credere che valesse la pena esserci.

Ma il comunicato della dirigente dice anche altro: «La nostra unione è l’unico nostro punto di forza in questo momento e dentro di essa accogliamo il dolore della famiglia, con immenso affetto». Purtroppo viene in mente la poesia “I due orfani” di Pascoli, la cui unica alternativa alla morte e alla paura è lo stringersi vicini per ripararsi dalla durezza della vita e dalla mancanza della madre: «“Ho paura...” “Anch’io”. “Credo che tuoni: / come faremo?” “Non lo so, fratello: / stammi vicino: stiamo in pace: buoni”». A ribadire che l’orizzonte indicato dagli adulti, se c’è, è davvero troppo piccino. Basti pensare che uno dei due ragazzi che si è tolto la vita apparteneva al movimento #FridaysForFuture ispirato a Greta Thunberg, per cui bisognerebbe dare la vita per la difesa del pianeta avendo come modello il buon cittadino che fa la raccolta differenziata. Perciò, quando i compagni del Frisi hanno scritto che «sentiamo forte il dovere di portare avanti le sue battaglie e i suoi ideali (del compagno, ndr)», qualcuno avrebbe dovuto avere il coraggio di chiedere loro come mai, dato che non sono bastati a fargli pensare che la vita avesse uno scopo? Perché, appunto, nemmeno questo stringersi insieme arrabbiati e impauriti è servito a chi si è tolto la vita.

Allora cos'è che manca a questa e alla precedente generazione? Sicuramente il rifiuto di ciò che ha ricevuto. Anzi, l’unico che abbia mai preteso di bastare all'uomo, rivelandosi come «la via, la verità e la vita» è colui che che la cultura e la scuola stanno facendo di tutto per togliere definitivamente di mezzo. Infatti, se già la Sua pretesa (l’unico uomo che abbia mai detto di essere Dio) è ormai considerata inutile da anni, ora perfino il segno del Suo amore per l’uomo, il crocifisso, resiste a stento nelle aule. Solo che poi i nodi vengono al pettine e siccome non si sa che dire, si ricorre all’intervento degli psicologi, come ha annunciato sempre Castellana. Peccato che l’assenza di un significato adeguato per vivere non può essere sostituita dal tentativo di sistemare gli inghippi o le ferite psichiche delle menti dei ragazzi. È chiaro invece che ci vorrebbe qualcuno che sia in grado di abbracciarle come qualcosa che non li definisce. Ma, appunto, questo nella storia lo ha fatto solo Uno, cambiando la vita di peccatori, poveri, malati. Basterebbe poco, basterebbe il coraggio di un adulto che, di fronte a tutta questa assenza di risposte, provi a verificare insieme ai ragazzi la verità della Sua pretesa.