Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
Ora di dottrina / 119 – Il supplemento

I sacerdoti, destinatari privilegiati dei miracoli di Gesù

Dai Vangeli si comprende come Gesù compia i miracoli non solo per offrire alle folle il segno della presenza divina in Lui, ma soprattutto per dare questa testimonianza alle guide religiose del Suo popolo. Un fatto che dovrebbe far riflettere, anche alla luce delle nuove Norme del Ddf...

Catechismo 09_06_2024
Risurrezione di Lazzaro (Duccio di Buoninsegna)

Nell'articolo della scorsa domenica, si è messo in luce quanto Dio stesso voglia mostrare dei segni affinché l'uomo possa riconoscere l'impronta del Suo intervento nella vita degli uomini. Nessuna volontà di stupire con “effetti speciali”, né tantomeno quella di voler vendere la fede a buon mercato, solleticando la pura curiosità degli uomini. A scansare questo equivoco, è sufficiente la risposta del Signore a quanti andarono alla Sua ricerca, dopo aver assistito al miracolo della moltiplicazione dei pani: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6, 26). Quel miracolo voleva essere invece un segno manifesto, offerto agli astanti perché ne cogliessero un duplice significato: da un lato mostrava apertamente che, sul Signore Gesù, «il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo»; dall'altro esortava a non procurarsi «il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna» (Gv 6, 27). L'uomo è perciò chiamato a comprendere i segni che Dio manda, proprio per riconoscere il dito divino e accoglierne così il messaggio.

C'è però un altro aspetto fondamentale che caratterizza i segni compiuti dal Signore, così come vengono narrati nei Vangeli, e che non è stato messo abbastanza in luce. Facciamo un piccolo passo indietro. La sostanza delle novità introdotte dalle nuove Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali, come abbiamo avuto già modo di vedere, sta nel fatto che i pastori della Chiesa non sono più chiamati ad esprimersi sulla soprannaturalità di un evento (mentre lo potranno fare per escluderla del tutto), ma saranno chiamati a dare indicazioni “pastorali”. Ora, quando si leggono con attenzione le narrazioni evangeliche dei miracoli, si comprende come Gesù li compia non solo per offrire alle folle il segno della presenza divina in Lui, ma soprattutto per dare questa testimonianza ai capi d'Israele, alle guide religiose del suo popolo.

Alcuni episodi sono in merito eclatanti: si pensi al fatto più straordinario, ossia la risurrezione di Lazzaro. Questo miracolo, Gesù lo compie a Betania, che «distava da Gerusalemme meno di due miglia» (Gv 11, 18), appena tre chilometri, nei riguardi di una persona molto conosciuta e frequentata dai notabili di Gerusalemme. Questi “Giudei”, come genericamente vengono chiamati da Giovanni, dopo il prodigio andranno subito ad informare i farisei e i sommi sacerdoti (cf. Gv 11, 46); le guide d'Israele a loro volta, venute a conoscenza del fatto, ritennero credibili le persone che lo riferirono, dal momento che, confrontandosi sul da farsi, riconobbero che «quest'uomo compie molti segni» (Gv 11, 47). Eppure, fu proprio da quel giorno che cercarono di uccidere il Signore (cf. Gv 11, 53).

Gli esempi possono proseguire: la guarigione dell'uomo idropico, avvenne in giorno di sabato, proprio «in casa di uno dei capi dei farisei» (Lc 14, 1); risanato un uomo «coperto di lebbra», il Signore gli ordinò di mostrarsi al sacerdote e fare l'offerta per la purificazione «perché serva di testimonianza per essi» (cf. Lc 5, 12-14); è di fronte ai farisei e ai dottori della legge «venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme» che Gesù guarisce il paralitico calato dalla tettoia (cf. Lc 5, 17-26); tutto il capitolo nono del Vangelo di Giovanni, che narra la guarigione del cieco nato, rimarca in continuazione come l'uomo guarito abbia attestato davanti ai farisei del prodigio avvenuto per opera di uno che egli nemmeno conosceva, ma a cui rendeva una testimonianza cristallina: «Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla» (Gv 9, 33).

Il Signore utilizza la stessa “strategia” anche con i capi del nuovo Israele, gli Apostoli. Dalla guarigione della suocera di Pietro in poi, quasi tutti i miracoli avvengono davanti agli occhi meravigliati dei Dodici, che il Signore vuole confermare nella fede non semplicemente mediante un insegnamento sublime, ma anche offrendo ai loro sensi le prove della Sua unione con il Padre, della Sua origine divina, perché questi fatti che essi potevano constatare fossero sostegno di quelle verità che in questa vita non possono essere viste, ma “solo” credute.

Persino ai discepoli del Battista il Signore offre la prova della Sua messianicità, realizzando «in quello stesso momento» numerose guarigioni ed esorcismi sotto i loro occhi (cf. Lc 7, 18-23). Il passo è di estremo interesse, perché è Gesù stesso a rivelare che il senso dei miracoli da Lui compiuti è quello di mostrare la presenza di Dio nella Sua persona. Egli ordina a costoro di andare da Giovanni per riferire quanto visto e udito, e riportare a lui alcune parole, che risultano la fusione di alcuni passi del profeta Isaia, che indicano i segni per riconoscere l'opera di Dio e del servo da Lui inviato.

Che i destinatari privilegiati dei miracoli del Signore Gesù siano state le guide religiose dell'antico e del nuovo Israele non può lasciare indifferenti. Quando Dio interviene in modo prodigioso nella storia degli uomini, mediante miracoli, apparizioni, prodigi di ogni sorta, evidentemente vuole essere riconosciuto non solo dalle folle, ma precisamente da coloro cui ha affidato il Suo popolo per pascerlo, guidarlo, proteggerlo. Che la Rivelazione sia compiuta con la morte dell'ultimo Apostolo non significa affatto la fine dei prodigi divini: è sufficiente guardare alla storia della Chiesa per comprenderlo. Ma il punto è capire che quando Dio offre i segni di una Sua speciale presenza, scuotendo gli uomini dal loro torpore, rafforzandone la fede, corroborando la testimonianza di coloro che Egli, nella Sua infinita sapienza, ha voluto come Suoi messaggeri, intende venire in soccorso alla nostra debolezza in un delicato momento della vita di una nazione, di un continente, del mondo intero, della Chiesa. Dio non uscirebbe dal suo “anonimato” se non vi fossero motivi più che importanti per intervenire; ed Egli, proprio per questo, vuole operare insieme a coloro che ha posto come pastori del gregge, non sostituirli.

Nel progetto divino, dovevano essere i sommi sacerdoti, i membri del Sinedrio, gli scribi a riconoscere per primi la presenza di Dio nel Suo Cristo, e avere così l'onore e il merito di annunciarlo al popolo. Per questo preciso scopo erano stati posti a capo del popolo di Dio. Sappiamo che invece sono stati soprattutto costoro a chiudere gli occhi e il cuore di fronte ai segni divini che attestavano la venuta dell'Emmanuele. Ora, viene da domandarsi se l'automutilazione operata dalle Norme sopra richiamate, per cui i pastori della Chiesa non possono più esprimersi sulla soprannaturalità di un evento, ossia non possono più dire che vi sono segni moralmente certi della presenza di Dio in mezzo al Suo popolo, non sia un primo passo verso un accecamento. O forse, all'opposto, l'esito di un accecamento che perdura da decenni, come vedremo nei prossimi articoli. Di certo, lancia un triste messaggio ai fedeli: noi non indicheremo più la presenza di Dio in mezzo al Suo popolo.



ORA DI DOTTRINA / 118 – IL SUPPLEMENTO

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Ora di dottrina / 117 – Il supplemento

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I venerdì della Bussola

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25_05_2024 Ermes Dovico

Nelle nuove Norme sulle apparizioni «cambia chi giudica, cosa giudica e come giudica». Si distorce il ruolo dei veggenti e quello di Maria, nonché la funzione dei segni. Un approccio fideista, contrario a quello della Chiesa di sempre. Dal videoincontro con Manetti e Scrosati.

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