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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

Il problema

I nuovi “peccati” e la Dottrina sociale della Chiesa

L’invenzione di nuovi “peccati” da parte dei registi del Sinodo sulla sinodalità pone delle difficoltà alla Dottrina sociale della Chiesa, per via della loro genericità e ideologia di fondo.

Dottrina sociale 09_10_2024
Papa Francesco con i Membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo, 24 giu 2024 (Vatican Media/LaPresse)

Questo giornale ha già ampiamente affrontato l’argomento della liturgia penitenziale tenutasi in Vaticano alla presenza di Francesco lo scorso 1 ottobre dove si è chiesto perdono per una serie di nuovi “peccati” [qui, qui e qui]. Cercherò qui di fare un breve approfondimento su cosa questo comporti per la Dottrina sociale della Chiesa.

Prima di tutto bisogna dire che il tema del peccato è centrale nella Dottrina sociale della Chiesa. Esso è visto come l’origine ultima delle ingiustizie e delle violenze che poi si vivono nella società. Per questo già Leone XIII diceva che «non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo». Anzi, si può dire addirittura che il principale peccato da cui discendono tutti i mali della società è indicato dal magistero sociale proprio nel negare che alla loro origine ci sia il peccato. Le ideologie moderne hanno invece abolito il peccato e hanno affidato alla politica il compito di salvare la società. Tolto il peccato, il ruolo della Chiesa in campo sociale diventa inutile.

Venendo ora alla lista dei nuovi “peccati” considerati nella liturgia penitenziale, essi mettono la Dottrina sociale della Chiesa in grande difficoltà. Prendiamo il peccato contro gli immigrati: detto in questo modo non si capisce in cosa consista, a quale azione concreta si riferisca. Il politico o l’agente della guardia costiera non capisce in concreto in cosa consti questo peccato. Il fenomeno delle migrazioni è da governarsi e questo può essere fatto con interventi di diverso genere che trovano nei principi della Dottrina sociale della Chiesa il quadro di riferimento e di guida. A meno che non si intenda che ogni atto che non si adegui al principio dell’accoglienza generalizzata sia da considerarsi peccato. Ma l’accoglienza generalizzata non è ammessa dalla Dottrina sociale e potrebbe essere vista come uno scarico delle proprie responsabilità.

Passiamo al peccato contro le donne e i giovani. Ci si chiede: perché proprio le donne e i giovani, e non anche gli uomini o gli anziani? Sorge spontaneo pensare che si parli delle donne per conformità con i fenomeni del cosiddetto “femminicidio”, che però ha una ragione non teologica ma sociologica e politica. Oppure alle carenze nel campo delle cosiddette “pari opportunità”, principio che pure risente molto di sociologia e di ideologia. Qualcuno potrebbe ritenere peccato cercare di dissuadere una donna ad abortire violando così la sua coscienza e la sua libertà. Come si vede, anche su questo tema siamo molto lontani dalla visione della donna nella società propria della Dottrina sociale della Chiesa.

Il peccato della “dottrina usata come pietra da scagliare” può essere molto corrosivo per la Dottrina sociale, la quale ha ancora l’ardire di chiamarsi, appunto, dottrina, con dei principi fermi assieme ad elementi mutevoli. Ricordare questi principi di riflessione e questi criteri di giudizio, difendendoli con forza, argomentandoli con rigore, chiedendo la loro applicazione, sarebbe peccato? I “principi non negoziabili” davanti a questo nuovo peccato dovrebbero essere abbandonati come l’incarnazione del male.

Infine, il peccato contro l’ambiente e, di conseguenza, contro il clima… Qui arriviamo a livelli così bassi che non vale nemmeno la pena parlarne. I Rapporti dell’Osservatorio Van Thuan su questi temi hanno già chiarito le nostre posizioni.

Possiamo allora dire, in conclusione, che i nuovi “peccati” sono da respingere, non solo perché generici e ideologici, ma anche perché mettono in difficoltà la Dottrina sociale della Chiesa.

Stefano Fontana