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Ora di dottrina / 153 – La trascrizione

I misteri della Nascita – Il testo del video

La nascita di Gesù non è stata manifestata a tutti, per preservare il merito della fede, cioè di coloro che avrebbero creduto ai testimoni prescelti da Dio. È la stessa logica per la Risurrezione e gli altri misteri della fede. Una logica in cui rientra la mediazione della Chiesa.

Catechismo 02_03_2025

Proseguiamo le nostre riflessioni sui misteri della vita di Cristo. In particolare, oggi cercheremo di trarre dei principi importantissimi dall’esposizione che san Tommaso fa nelle questioni 36-37 della III parte della Somma Teologica, che trattano rispettivamente le manifestazioni di Cristo alla sua nascita – quindi la manifestazione ai pastori, ai Magi – e poi la circoncisione e la presentazione del Signore al Tempio.

Vediamo alcuni articoli di queste due questioni, soffermandoci appunto su questi principi importantissimi perché ci danno, possiamo dire, la struttura del pensiero cattolico, cioè alcune coordinate fondamentali per approcciarci ai misteri della fede. Nei primi due articoli della quæstio 36, san Tommaso si domanda rispettivamente se la nascita di Cristo dovesse essere manifestata a tutti, anziché solo ad alcuni (art. 1); e se questa nascita, anziché essere manifestata ad alcuni, forse era meglio non manifestarla affatto (art. 2). Queste le due polarità.

La risposta chiaramente è che ciò che Dio compie, secondo il principio di fondo della “convenienza”, lo compie sempre con infinita sapienza. E dunque noi dobbiamo cercare, chiedendo a Dio la luce, di capire quale sapienza c’è qua dietro. La domanda è: perché ad alcuni? Perché Dio ha scelto di manifestare la nascita del Figlio solo ad alcuni testimoni prescelti? Prescelti chiaramente come Maria e Giuseppe, poi i pastori, i Magi; e non ha scelto invece, ad esempio, di manifestarla con un proclama pubblico al Tempio di Gerusalemme o in qualche altra modalità che noi oggi definiremmo mediatica e quindi da un certo punto di vista, di strategia della comunicazione, forse con più successo?

Il punto fondamentale lo troviamo in una delle motivazioni che viene data nell’art. 1: «La nascita di Cristo non doveva essere manifestata indistintamente a tutti. Primo perché ciò avrebbe sminuito il merito della fede, per mezzo della quale Cristo era venuto a giustificare gli uomini secondo l’espressione dell’Apostolo: “La giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo” (Rm 3, 22). Se infatti, quando Cristo nacque, degli indizi palesi avessero rivelato a tutti la sua nascita, non vi sarebbe stato più bisogno della fede, la quale è “prova di cose che non si vedono” (Eb 11, 1)» (III, q. 36, a. 1). Si manifesta ad alcuni ma non a tutti, perché altrimenti non ci sarebbe stato il merito della fede, perché la fede, come ci dice la Lettera agli Ebrei citata da san Tommaso, è prova delle cose che non si vedono. Se si vedessero in modo esplicito, non ci sarebbe la fede.

Nell’art. 2, san Tommaso dice: «Come dice san Paolo, “quanto Dio fa, lo fa in modo ordinato” (Rm 13, 1). Ora, è proprio della divina sapienza trasmettere i suoi doni e i suoi segreti non a tutti alla stessa maniera, ma direttamente ad alcuni e per mezzo di questo agli altri. Per cui anche del mistero della Risurrezione si dice: “Dio volle che Cristo risorto apparisse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio” (At 10, 40-41). Lo stesso doveva succedere per la sua nascita, che cioè fosse palese non a tutti ma solo ad alcuni per mezzo dei quali potesse arrivare agli altri» (III, q. 36, a. 2). Qui abbiamo un gradino in più. Si parta di una parte che riceve la manifestazione e che poi fa da tramite agli altri; dunque, per alcuni c’è una manifestazione diretta e per molti altri c’è invece una conoscenza indiretta, per mezzo di testimoni. E san Tommaso mette in parallelo la scelta strategica di Dio alla nascita del Salvatore e la scelta, che corrisponde agli stessi criteri, dopo la Risurrezione, nel manifestarsi come risorto. Anche qui il Signore si manifestò a molti, ma non a tutti. E di nuovo, nella risposta alla prima obiezione dell’art. 2, san Tommaso spiega la ragione: «Come la salvezza umana sarebbe stata compromessa dalla manifestazione a tutti gli uomini della nascita di Dio, così lo sarebbe stata anche dal nascondimento totale, poiché nell’uno e nell’altro caso viene esclusa la fede: nel primo, perché la cosa sarebbe manifesta a tutti; nel secondo, perché non vi sarebbe nessuno di cui poter udire la testimonianza. La fede, infatti, dice san Paolo, “viene dall’ascolto” (Rm 10,17)». Questi sono dei testi straordinariamente densi. Qui san Tommaso ci sta dicendo non “semplicemente” qualcosa di relativo ai misteri della nascita di Gesù, ma ci restituisce tutta una logica, che è la logica della fede, che è la cifra della nostra vita qui sulla terra. La nostra vita su questa terra non è ancora la visione, che equivale alla manifestazione; eppure, non è il nulla di questa manifestazione perché Cristo realmente è venuto tra gli uomini, è realmente apparso tra di noi come uomo e Dio.

Dunque, si tratta della via intermedia che caratterizza la nostra vita, tra una presenza che c’è già e che si annuncia a dei testimoni, che poi comunicano, annunciano: qui c’è tutto il senso della predicazione, dell’esistenza della Chiesa, che nasce e si fonda sulla testimonianza apostolica che raggiunge ogni luogo e ogni tempo. Di nuovo, è la testimonianza apostolica, non è la manifestazione diretta di Cristo; il quale può chiaramente anche manifestarsi direttamente, ma lo fa – anche nel nostro tempo – sempre solo ad alcuni: pensiamo alle apparizioni private riconosciute dalla Chiesa. Agli altri giunge sempre come testimonianza. Perché? Perché questa è la logica della fede. E la fede è, ci ricorda san Tommaso, fonte di merito: la fede, che pure è un dono, è anche atto dell’uomo, quindi diventa fonte di merito. E in questo circolo – dono di Dio e risposta dell’uomo – entra la salvezza. È questa la salvezza: siamo giustificati dalla fede.

Quindi, questa scelta del Signore per la sua nascita, che corrisponde a quella per la sua risurrezione, indica il tempo della Chiesa, il tempo della vita quaggiù, che è un tempo collocato tra un “già” – perché realmente è apparsa la salvezza, veramente Dio è apparso e ci ha redento – e un “non ancora”, cioè l’attesa, nella speranza, della manifestazione piena, evidente e universale del Signore.

È importante quello che andiamo a dire anche per comprendere il senso della logica sacramentale e della liturgia della Chiesa. Nell’art. 4, infatti, san Tommaso si chiede se Cristo doveva manifestare la sua nascita da sé stesso; è curiosa come domanda, ma ora vedremo il grande contenuto della risposta. «La nascita di Cristo era ordinata alla salvezza degli uomini che si attua mediante la fede» (III, q. 36, a. 4). Vedete, questo concetto ribadito: mediante la fede. Su che cosa si basa la fede? Si basa su una certa notizia, ma non sulla visione. Ecco perché la fede nasce dall’ascolto, come dice san Paolo: fides ex auditu. Continua Tommaso: «La vera fede riconosce la divinità e l’umanità di Cristo. Era perciò necessario che la nascita di Cristo fosse manifestata in maniera tale da non pregiudicare la fede nella sua umanità. E ciò avvenne per il fatto che Cristo mostrò in sé stesso i segni dell’umana debolezza e tuttavia mostrò insieme il potere della propria divinità per mezzo delle creature di Dio» (ibidem). Anche qui, due polarità che vengono tenute insieme. Prima era la polarità tra il non manifestarsi per nulla e il manifestarsi a tutti, cioè tra il nulla di notizia e l’evidenza assoluta; qui abbiamo un altro tentativo di tenere insieme le due polarità: quali sono le due polarità? La divinità e l’umanità di Cristo. La fede le confessa entrambe.

Ora, se nella sua nascita il Signore non si fosse manifestato come uomo, cioè non avesse manifestato, come dice Tommaso, i segni della sua debolezza – un bambino, una mangiatoia, i vagiti, il fatto di aver bisogno di essere nutrito, allattato, accudito, come un vero bambino – non potremmo professare la nostra fede nella sua umanità. Ma se fosse stato solo questo e non ci fossero stati altri segni – segni, come dice san Tommaso, per mezzo delle creature di Dio che manifestano la sua divinità: pensiamo al canto degli angeli, alla stella, la famosa cometa che guida i Magi –, se non ci fossero stati questi segni, allora avremmo creduto solo all’umanità e non alla divinità. Abbiamo invece alcuni segni che manifestano la potenza divina, ma solo alcuni, perché dall’altra parte c’è l’umanità nella sua fragilità creaturale.

Vedete quindi come questo articolo ci aiuta a capire anche la logica della liturgia, che si comprende se si tengono presenti queste due cose che abbiamo appena detto, cioè:

1) da un lato, la condizione in cui siamo di una salvezza già presente nella storia ma non ancora compiuta. La liturgia ci dice proprio questo: se non ci fosse questa salvezza, noi non celebreremmo nulla in fondo, se non dei ricordi; invece, noi compiamo un memoriale e i sacramenti sono segni efficaci della grazia: indicano quindi tutta l’economia liturgica della Chiesa, indicano una presenza di Dio nella storia, nel mondo, nel tempo.

2) dall’altra parte, c’è un “non ancora”. Perché? Perché altrimenti non avremmo bisogno dei segni, avremmo già la visio Dei. Invece, sappiamo che questa visione, ancora, non c’è. Da qui dunque il senso dei segni liturgici, dei riti liturgici. Questo è il primo aspetto.

Secondo aspetto: questi segni devono corrispondere alla divinità e all’umanità di Cristo. Sul lato dell’umanità manifestano la debolezza dell’umanità; dunque sono segni materiali, potremmo dire anche banali: l’acqua, l’olio, il vino, l’incenso, il fuoco della candela, un oggetto, un paramento, un suono, un canto liturgico. Ma dall’altra parte, attenzione, devono manifestare la divinità. Quindi, in questi segni fragili deve sprigionarsi tutta la potenza della divinità. Ecco il senso della sollemnitas: la Chiesa sempre ha difeso la solennità dei riti, non la loro sciatteria. Noi abbiamo perso completamente la bussola quando pensiamo che per manifestare la povertà del Signore, la sua umanità, allora dobbiamo crollare nella sciatteria o in invenzioni di gesti più semplici, più “alla mano”. Questa è la distruzione della liturgia, perché la liturgia sta se entrambe le polarità vengono mantenute insieme: il segno – che manifesta il lato dell’umanità – è il “non ancora”; dall’altra parte, la sua solennità, la sua sacralità – che manifesta la divinità – è il “già” presente.

Vedete come certi articoli della Summa, che in apparenza potrebbero sembrare più “leggeri”, in realtà contengono i punti-cardine della logica cristiana, cattolica.

Nella quæstio 37, dove san Tommaso si interroga sul senso della circoncisione ricevuta dal Signore e sulla sua presentazione al Tempio, emergono altri principi fondamentali. Lo zoccolo duro è presentato da Tommaso nell’art. 1, nella risposta alla terza obiezione: «Per dare compimento alla realtà prefigurata, ne assunse la figura» (III, q. 37, a. 1). Questo è il principio cardine. Tutte le volte che noi troviamo il Signore che adempie i riti della legge antica, dobbiamo sempre comprenderlo con questo principio di fondo: assume la figura per portarla a compimento. Come Lui stesso ci dice, non è venuto ad abolire la legge, ma a compierla (cf. Mt 5, 17), che è un modo per dire che la legge antica, soprattutto in questo caso i precetti cerimoniali, avevano senso precisamente in quanto prefiguravano Cristo. Cristo non li abolisce, ma li compie. E compiendoli, in qualche modo ne decreta il termine.

Qui abbiamo tutto il senso dei precetti cerimoniali della legge antica, che san Tommaso aveva affrontato nella I-II della Summa, alla quæstio 101, art. 2. È un articolo un po’ lungo, articolato, ma che a mio avviso vale proprio la pena di prendere in considerazione, perché di nuovo qui abbiamo una chiave di lettura importantissima, in questo caso per comprendere il senso del “prima di Cristo” e per capire come tutta l’antica legge, l’Antico Testamento, la storia antica hanno puntato verso Cristo, adombrandolo di volta in volta fino a ricostruirne in qualche modo la figura: la figura chiaramente della Redenzione e della vita eterna.

In questo articolo, san Tommaso si chiede se i precetti cerimoniali dell’antica legge siano precetti figurali, figura di Cristo: «Il culto di Dio è di due specie: interno ed esterno. Essendo infatti l’uomo composto di anima e di corpo, sia l’uno che l’altro componente deve essere applicato al culto di Dio: l’anima per onorarlo con un culto interno e il corpo per onorarlo con un culto esterno. Per cui nei Salmi si legge: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente” (Sal 83, 3)» (I-II, q. 101, a. 2). Primo principio, da cui ancora una volta scaturisce il fondamento della vita della Chiesa quaggiù e in particolare della vita liturgica: il culto è interno ed esterno perché l’uomo è anima e corpo. E dunque, come dice il Salmo: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”, ma con un ordine. Prosegue infatti Tommaso: «Come il corpo è ordinato a Dio mediante l’anima, così il culto esterno è ordinato a quello interno» (ibidem). Primo grande principio.

San Tommaso continua dicendo che nello stato di beatitudine noi vedremo Dio; quindi, in questo caso il culto esterno non consisterà in figure, ma nella lode di Dio che sgorga dal cuore e si riverbera nel corpo, che sarà glorificato. «Invece, nello stato della vita presente non siamo in grado di vedere la verità divina in sé stessa, ma è necessario che ci giunga un raggio di essa sotto qualche figura sensibile: però, in maniera diversa, secondo i vari stadi della conoscenza umana. Infatti, nell’antica legge né la verità divina si era manifestata in sé stessa, né era stata aperta la via per giungervi» (ibidem). Di nuovo, è un principio fondamentale: qui abbiamo bisogno di figure sensibili, data la nostra natura e la nostra condizione, quel famoso “già” e “non ancora”, di cui abbiamo parlato prima.

Nell’antica legge la situazione era tale per cui la verità ancora non si era manifestata in sé stessa – non era avvenuta ancora l’Incarnazione – e la via per raggiungere la vita divina non si era ancora aperta, perché Cristo è la via. Continua san Tommaso: «Perciò era necessario che il culto dell’antica legge non si limitasse a figurare la verità che in futuro doveva essere manifestata nella patria, ma che figurasse anche Cristo, il quale è la via che conduce alla verità della patria» (ibidem). Quindi, nell’antica legge, non solo è prefigurato il termine, ma anche la via per raggiungerlo, cioè Cristo. Ecco perché tutti i precetti cerimoniali dell’antica legge prefigurano Cristo. «Invece, nello stato della legge nuova [cioè il nostro] questa via è ormai rivelata. Per cui non è necessario prefigurarla come futura» (ibidem), come se debba ancora venire: ecco perché i riti dell’antica legge, essendo stati compiuti, vengono meno. Noi cristiani non rifacciamo i riti dell’antica legge, sebbene li ricomprendiamo pienamente nei riti nuovi. Quindi, non dobbiamo prefigurarla come futura, ma rammentarla come cosa passata o presente. «Si deve invece prefigurare la verità futura della gloria, che ancora non è svelata» (ibidem). Noi oggi dobbiamo prefigurare come presente la via che è Cristo e come non ancora presente la condizione futura.

Perché leggiamo questo testo? Perché qui capiamo tutto il senso della legge cerimoniale antica, ma anche dei principi cerimoniali della nuova legge, cioè i nostri. Tutta la loro densità e preziosità sta in questo: hanno una logica analoga a quella dei precetti antichi, che Cristo infatti non è venuto ad abolire, ma a compiere. Ecco perché Cristo sceglie, decide, essendo Dio e non un semplice bambino, di sottoporsi alla circoncisione e perché viene presentato al Tempio. Qui abbiamo proprio il senso di questo adempimento: poiché la legge cerimoniale antica viene da Dio – come anche la legge cerimoniale del Nuovo Testamento per sua natura non è una creazione umana, nonostante ci sia una mediazione umana, la mediazione della Chiesa – il Signore adempie questi riti per approvare quella legge, ma nello stesso tempo per trasformarla da dentro, in quanto i segni che adombrano ormai vengono meno, essendo presente la realtà. E si hanno nuovi segni e nuovi riti, che indicano non più la realtà di Cristo che deve venire, ma quella di Cristo presente. E, come dice Tommaso, indicano anche una realtà ancora non presente, che è la realtà della vita eterna, che deve essere anticipata nel segno, adombrata.

Andiamo ora a vedere il senso proprio della circoncisione. C’è un testo della tradizione rabbinica, il Targum di Ezechiele, che dice così: «In memoriale dell’alleanza dei vostri padri davanti a me, mi rivelai per la vostra salvezza perché è rivelato davanti a me che eravate oppressi per la vostra schiavitù e dissi a voi: “Per il sangue della circoncisione vi risparmierò, per il sangue della pasqua vi libererò”». Questo testo esprime una convinzione profonda dell’Israele antico, e cioè che la circoncisione non fosse un semplice “marchio” per dire l’appartenenza a una stessa tribù, ma c’era la convinzione che tramite il sangue della circoncisione si veniva risparmiati dalla morte. E questo sangue della circoncisione va legato al sangue della Pasqua: ricordiamo il sangue dell’agnello che liberava dall’angelo sterminatore. Ora, nella tradizione rabbinica, questo sangue della circoncisione, questo sangue della Pasqua era collegato alla famosa Akedà. Cos’è? Il sacrificio di Isacco.

Il sacrificio di Isacco però non si compì in modo cruento. Quindi, da un lato abbiamo degli elementi cruenti: la circoncisione e il sangue di un agnello; dall’altra parte abbiamo un’offerta, senza che ci sia propriamente una volontà di offerta: il bambino deve essere circonciso all’ottavo giorno, quindi chiaramente non fa un’offerta di sé; e l’agnello nemmeno. Invece Isacco sì. Nella tradizione ebraica, non c’è solo Abramo che offre Isacco, ma è Isacco stesso che accetta di essere offerto, immolato dal padre. Ma questo sacrificio non avviene in modo cruento, perché doveva essere solo figura. Chi unisce in Sé l’aspetto cruento e l’aspetto incruento, ma interiore, fondamentale, che dà senso a quello cruento? Gesù Cristo.

Nella circoncisione, abbiamo il primo segno dell’altro sangue che sarà versato nella Pasqua del Signore, cioè nella sua Passione, per mezzo del quale il popolo sarebbe stato risparmiato e liberato. Dunque, vedete il senso profondo della circoncisione del Signore: è un senso redentivo, salvifico. Ed ecco perché la circoncisione di Cristo è il compimento dell’antica circoncisione, che da sé non poteva salvare se non in quanto figura. Ed è il segno della nuova circoncisione: il battesimo, cioè, l’essere sepolti nella morte di Cristo.

Qualcosa di analogo lo troviamo, come logica, nella presentazione del Signore al Tempio, dove c’è il precetto di riscattare il primogenito, offrendo, secondo il precetto del libro del Levitico, l’olocausto di un agnello di un anno e il sacrificio di una colomba o di una tortora, che poteva essere commutato in una coppia di tortore o di colombe quando non c’era la possibilità di sacrificare l’agnello. È stato fatto notare che l’offerta di san Giuseppe e della Madonna fu l’offerta dei poveri. Il che è vero, ma nasconde qualcosa di più profondo ancora che non semplicemente la manifestazione di una vita povera e cioè che l’agnello che veniva offerto in olocausto non era presente nell’offerta che Giuseppe e Maria fanno di Gesù, perché l’agnello è lo stesso Signore. Dunque, gli agnelli che hanno riscattato i figli di Israele sono adempiuti in Colui di cui erano figura: cioè, l’Agnello di Dio viene offerto e il suo sangue viene offerto in riscatto, in salvezza per tutti.

Dunque, spero di avervi dato dei principi che, secondo me, sono importantissimi per vivere da un lato il senso della liturgia della Chiesa, dall’altro il senso del nostro approccio all’Antico Testamento, che rivela veramente un mondo: l’Antico Testamento riceve luce nel Nuovo e, poi, è a sua volta luce per comprendere alcuni passaggi del Nuovo, sui quali noi passeremmo oltre, non avendo sufficiente familiarità con il senso dei segni degli antichi precetti cerimoniali, quindi della tradizione di Israele. Ho voluto fare questa sintesi per darvi dei criteri, delle logiche che spero possano poi servire nella crescita della formazione cristiana e nella vita cristiana.



Ora di dottrina / 153 – Il video

I misteri della Nascita

02_03_2025 Luisella Scrosati

La nascita di Gesù non è stata manifestata a tutti, per preservare il merito della fede, cioè di coloro che avrebbero creduto ai testimoni prescelti da Dio. È la stessa logica per la Risurrezione e gli altri misteri della fede. Una logica in cui rientra la mediazione della Chiesa.

Ora di dottrina / 152 – La trascrizione

La Madre di Dio – Il testo del video

23_02_2025 Luisella Scrosati

In ragione delle sue due nature, divina e umana, per Cristo è corretto parlare di due nascite, una come generazione eterna dal Padre e l’altra, nella carne, dal seno di Maria. Che è realmente Madre di Dio, in virtù dell’unione ipostatica. Nascita di Cristo nel luogo e nel tempo: Betlemme e il 25 dicembre, le ragioni di convenienza.